By Il Resto del Carlino
Cristiano Bendin
Cristiano Bendin
Don Georges Jahola, sarcerdote siro cattolico di Qaraqosh, città
irachena della piana di Ninive appartenente alla diocesi di Mosul, il
fanatismo islamico l’ha conosciuto di persona e parla con la durezza di
chi le violenze, le persecuzioni, le discriminazioni e le uccisioni di cristiani e yazidi le
ha viste e vissute in prima persona. Da qualche anno studia in Italia e
l’ultimo viaggio in Iraq risale alla primavera del 2014, pochi mesi
prima dell’avanzata dell’Isis, lo stato islamico che sta terrorizzando
il Medio Oriente, proiettando la sua ombra di morte verso l’Occidente.
Costante il suo contatto con amici e sacerdoti che vivono da profughi
nelle zone più sicure dell’Iraq. In attesa di tornare.
Don Georges, è possibile una convivenza con l’Islam?
«Solo se a monte ci sono una costituzione e leggi chiare, capaci di
garantire i diritti di tutti, e soprattutto un governo solido in grado
di farle rispettare».
E il dialogo? A che punto è?
«Dal punto di vista teologico il dialogo non è possibile.
E poi: con chi dialoghi visto che manca una guida? L’Islam non è una
fede ma una religione. Il rapporto rispettivo tra ebraismo e
cristianesimo è invece unico ed è basato sulla Bibbia. Questo con
l’Islam manca».
Quindi è una speranza vana?
«Non del tutto. Dal momento che i musulmani non scindono tra politica
e religione, l’unico dialogo possibile è a livello politico, tra
governi. Il resto viene da sé».
L’Europa è in pericolo?
«Sì, specie dopo gli ultimi fatti. Al di là dei fanatici e dei
terroristi, i musulmani pensando di potersi espandere in Europa volgendo
a loro vantaggio le leggi e la tolleranza occidentali. Loro sono
sottomessi ad Allah ma sognano la sottomissione di tutti all’Islam».
Com’è la situazione dei cristiani in Iraq e Medio Oriente?
«La situazione è drammatica: i cristiani, che negli anni 80 erano
circa un milione e mezzo e che, pur discriminati, potevano contare su
una certa protezione della legge, oggi sono poco più di 150mila ridotti a
profughi».
Colpa dell’Isis?
«La persecuzione perpetrata dalle milizie jihadiste dell’Isis li ha costretti a lasciare case e beni. Stiamo parlando di una comunità antichissima, che parla l’aramaico, la lingua di Gesù, e che rischia di sparire dopo secoli,
come è successo prima agli ebrei. Chi non è profugo si è concentrato
nelle città governative, come Baghdad e Kirkuk. Gli altri stanno
chiedendo asilo politico e sperano...».
Prima dell’Isis andava meglio?
«Non sono mai mancate disuguaglianze, umiliazioni e maltrattamenti. Ricordo che per l’Islam, i non musulmani sono dhimmi, sudditi, sottoposti con meno diritti».
C’è un futuro per i cristiani in Medio Oriente?
«Dipende da Europa e Usa e dall’esistenza di un progetto per la
stabilità di quest’area. Ma è una speranza remota dato il livello di
corruzione esistente in Iraq e nei paesi confinanti e, mi addolora
ammetterlo, senza un intervento di terra delle forze Occidentali».