By Baghdadhope*
Nell'ambito del suo viaggio in Giordania, Mons. Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, ha discusso la situazione dei circa 500.000 profughi iracheni, tra i quali molti cristiani, che negli ultimi anni sono fuggiti in Giordania e che, sono le sue parole riportate da l'Osservatore Romano: "mancano di uno status giuridico chiaro" come molti altri stranieri che vivono in Giordania.
"Persone che non possono lavorare, che non sono in grado di mantenere i propri familiari e che per questa ragione soffrono di depressione ed ansia". Persone che corrono il rischio di essere sfruttate e con la prospettiva di essere costrette a far ritorno nel paese da cui sono fuggite in cerca di pace e stabilità. "Una tragedia che dovrebbe toccarci personalmente" l'ha definito Mons.Vegliò che ha rinnovato l'invito alle organizzazioni cattoliche a sostenere spiritualmente e materialmente i rifugiati iracheni in Giordania perchè "la dignità di ogni persona è il punto centrale della dottrina sociale della chiesa" che "deve alzare la sua voce a difesa dei diritti dei rifugiati."
L'accoglienza data ai rifugiati iracheni in Giordania è stata lodata da Mons. Vegliò durante l'incontro avuto con il re Abdullah che ha espresso la volontà di accrescere e migliorare il dialogo islamo-cristiano.
All'incontro ha partecipato anche Mons. Giorgio Lingua, nunzio apostolico in Giordania ed Iraq, che a Baghdadhope ha espresso il suo accordo nel descrivere la situazione dei rifugiati iracheni cristiani in Giordania con le parole della lettera che Mons. Samir Nassar, arcivescovo maronita di Damasco, ha indirizzato ai loro fratelli fuggiti invece in Siria.
Lettera nella quale se da una parte vengono messi in risalto i problemi che sempre accompagnano una comunità che è fuggita "dalla morte e dalle violenze di cui è vittima dal 2003", dall'altra si elencano con meticolosità i contributi da essa data alla chiesa in Siria, tali da far definire dal vescovo i cristiani che la compongono "missionari ambulanti" che "davanti al crepuscolo delle loro chiese" potrebbero addirittura portare un "nuovo soffio" non solo nella cristianità orientale ma anche nelle "chiese d'Occidente che li accolgono."
Mons. Lingua ha accompagnato Mons. Vegliò, insieme a Mons. Frans Thoolen, SMA, responsabile del settore rifugiati del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, ad incontrare alcuni rappresentanti dei rifiugiati iracheni cristiani nella chiesa caldea del Sacro Cuore dove sono stati accolti da molti fedeli - quanti ne può contenere l'edificio di ridottissime dimensioni - e dal parroco Padre Raymond Moussalli che ha celebrato la Santa Messa in arabo ed aramaico e che si è fatto testimone e portavoce delle difficoltà della comunità, sia quelle vissute in Iraq, dove è stata ed è vittima di violenze, sia in Giordania, dove la mancanza di lavoro e certezza per il futuro rappresentano dei gravi motivi di tensione nella vita quotidiana.
Baghdadhope ha chiesto a Padre Moussalli di illustrare le condizioni di questa comunità.
"In Giordania vivono ormai circa 12.000 iracheni di fede cristiana" ha spiegato il sacerdote "e tra essi circa 7000 sono i caldei che dipendono dal vicariato patriarcale di Amman. Non tutti però vivono nella capitale ma anche a Al-Zarqa, Al-Madabah, Al-Fuhais ed Irbid."
Cosa sperano queste persone? Vogliono tornare in Iraq, rimanere in Giordania o emigrare in uno stato terzo?
"L'80% di loro desidererebbe emigrare in Europa, America o Australia. Le cifre dicono che circa 8000 iracheni cristiani sono registrati presso l'UNHCR (Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati). Il primo passo verso la dislocazione in un paese terzo."
Da qualche mese, a parte alcuni sporadici episodi, la comunità cristiana vive una relativa calma che è stata però preceduta dalla strage del 31 ottobre scorso a Baghdad. Ha notato un flusso migratorio verso la Giordania a seguito di quell'episodio?
"Più di 300 famiglie sono arrivate in Giordania dall'Iraq successivamente alla strage della chiesa di Nostra Signora della Salvezza, Un episodio gravissimo che ha seminato di nuovo il terrore."
Mons. Vegliò ha descritto la situazione della comunità irachena cristiana in Giordania come molto difficile...
"E lo è. Ha ragione. E' una comunità precaria in tutti i sensi. La loro presenza in Giordania non è regolamentata dalla legge e le conseguenze immediate sono l'impossibilità di trovare un lavoro regolare e quindi lo sfruttamento, la mancanza di assistenza sanitaria e di scuole che accettini i bambini ed i ragazzi. Tutto ciò porta al sorgere di diversi problemi psicologici: un uomo che non sia in grado di provvedere alla sua famiglia non si considera più tale e sfoga le sue frustrazioni sui familiari, i ragazzi che magari hanno dovuto interrompere gli studi non vedono un futuro, gli anziani hanno ormai preso la speranza di rivedere la propria patria, le donne temono per i propri figli e sopportano dei pesi materiali e morali gravosissimi."
Cosa si può fare per aiutare queste persone?
"Ogni aiuto è benedetto. Sostenere migliaia di persone povere è una sfida giornaliera. Un'idea potrebbe essere creare un comitato guidato dal Nunzio Apostolico, Mons. Lingua, che sensibilizzi e convogli gli aiuti delle chiese cattoliche nel mondo. Un'altra cosa da fare è chiedere ai governi di accogliere questi rifugiati per permettere loro di ricostruirsi una vita. Non chiedono altro che lavorare. Non tanto per sè, ma per i propri figli."
Pensa che la visita di Mons. Vegliò possa riportare a Roma l'attenzione verso iracheni cristiani che vivono in Giordania?
"Certamente. E' un diplomatico di grande esperienza e come ex segretario della Congregazione per le Chiese Orientali conosce bene le problematiche di questi paesi ed anche i leaders religiosi. Nel mondo ci sono molte tragedie ma, tra esse, c'è anche quella dei rifugiati iracheni in Giordania. Non dobbiamo dimenticarlo."
"Persone che non possono lavorare, che non sono in grado di mantenere i propri familiari e che per questa ragione soffrono di depressione ed ansia". Persone che corrono il rischio di essere sfruttate e con la prospettiva di essere costrette a far ritorno nel paese da cui sono fuggite in cerca di pace e stabilità. "Una tragedia che dovrebbe toccarci personalmente" l'ha definito Mons.Vegliò che ha rinnovato l'invito alle organizzazioni cattoliche a sostenere spiritualmente e materialmente i rifugiati iracheni in Giordania perchè "la dignità di ogni persona è il punto centrale della dottrina sociale della chiesa" che "deve alzare la sua voce a difesa dei diritti dei rifugiati."
L'accoglienza data ai rifugiati iracheni in Giordania è stata lodata da Mons. Vegliò durante l'incontro avuto con il re Abdullah che ha espresso la volontà di accrescere e migliorare il dialogo islamo-cristiano.
All'incontro ha partecipato anche Mons. Giorgio Lingua, nunzio apostolico in Giordania ed Iraq, che a Baghdadhope ha espresso il suo accordo nel descrivere la situazione dei rifugiati iracheni cristiani in Giordania con le parole della lettera che Mons. Samir Nassar, arcivescovo maronita di Damasco, ha indirizzato ai loro fratelli fuggiti invece in Siria.
Lettera nella quale se da una parte vengono messi in risalto i problemi che sempre accompagnano una comunità che è fuggita "dalla morte e dalle violenze di cui è vittima dal 2003", dall'altra si elencano con meticolosità i contributi da essa data alla chiesa in Siria, tali da far definire dal vescovo i cristiani che la compongono "missionari ambulanti" che "davanti al crepuscolo delle loro chiese" potrebbero addirittura portare un "nuovo soffio" non solo nella cristianità orientale ma anche nelle "chiese d'Occidente che li accolgono."
Mons. Lingua ha accompagnato Mons. Vegliò, insieme a Mons. Frans Thoolen, SMA, responsabile del settore rifugiati del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, ad incontrare alcuni rappresentanti dei rifiugiati iracheni cristiani nella chiesa caldea del Sacro Cuore dove sono stati accolti da molti fedeli - quanti ne può contenere l'edificio di ridottissime dimensioni - e dal parroco Padre Raymond Moussalli che ha celebrato la Santa Messa in arabo ed aramaico e che si è fatto testimone e portavoce delle difficoltà della comunità, sia quelle vissute in Iraq, dove è stata ed è vittima di violenze, sia in Giordania, dove la mancanza di lavoro e certezza per il futuro rappresentano dei gravi motivi di tensione nella vita quotidiana.
Baghdadhope ha chiesto a Padre Moussalli di illustrare le condizioni di questa comunità.
"In Giordania vivono ormai circa 12.000 iracheni di fede cristiana" ha spiegato il sacerdote "e tra essi circa 7000 sono i caldei che dipendono dal vicariato patriarcale di Amman. Non tutti però vivono nella capitale ma anche a Al-Zarqa, Al-Madabah, Al-Fuhais ed Irbid."
Cosa sperano queste persone? Vogliono tornare in Iraq, rimanere in Giordania o emigrare in uno stato terzo?
"L'80% di loro desidererebbe emigrare in Europa, America o Australia. Le cifre dicono che circa 8000 iracheni cristiani sono registrati presso l'UNHCR (Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati). Il primo passo verso la dislocazione in un paese terzo."
Da qualche mese, a parte alcuni sporadici episodi, la comunità cristiana vive una relativa calma che è stata però preceduta dalla strage del 31 ottobre scorso a Baghdad. Ha notato un flusso migratorio verso la Giordania a seguito di quell'episodio?
"Più di 300 famiglie sono arrivate in Giordania dall'Iraq successivamente alla strage della chiesa di Nostra Signora della Salvezza, Un episodio gravissimo che ha seminato di nuovo il terrore."
Mons. Vegliò ha descritto la situazione della comunità irachena cristiana in Giordania come molto difficile...
"E lo è. Ha ragione. E' una comunità precaria in tutti i sensi. La loro presenza in Giordania non è regolamentata dalla legge e le conseguenze immediate sono l'impossibilità di trovare un lavoro regolare e quindi lo sfruttamento, la mancanza di assistenza sanitaria e di scuole che accettini i bambini ed i ragazzi. Tutto ciò porta al sorgere di diversi problemi psicologici: un uomo che non sia in grado di provvedere alla sua famiglia non si considera più tale e sfoga le sue frustrazioni sui familiari, i ragazzi che magari hanno dovuto interrompere gli studi non vedono un futuro, gli anziani hanno ormai preso la speranza di rivedere la propria patria, le donne temono per i propri figli e sopportano dei pesi materiali e morali gravosissimi."
Cosa si può fare per aiutare queste persone?
"Ogni aiuto è benedetto. Sostenere migliaia di persone povere è una sfida giornaliera. Un'idea potrebbe essere creare un comitato guidato dal Nunzio Apostolico, Mons. Lingua, che sensibilizzi e convogli gli aiuti delle chiese cattoliche nel mondo. Un'altra cosa da fare è chiedere ai governi di accogliere questi rifugiati per permettere loro di ricostruirsi una vita. Non chiedono altro che lavorare. Non tanto per sè, ma per i propri figli."
Pensa che la visita di Mons. Vegliò possa riportare a Roma l'attenzione verso iracheni cristiani che vivono in Giordania?
"Certamente. E' un diplomatico di grande esperienza e come ex segretario della Congregazione per le Chiese Orientali conosce bene le problematiche di questi paesi ed anche i leaders religiosi. Nel mondo ci sono molte tragedie ma, tra esse, c'è anche quella dei rifugiati iracheni in Giordania. Non dobbiamo dimenticarlo."