Il 12 marzo di tre anni fa, veniva ritrovato morto nei dintorni di Mosul, dove era stato rapito il 29 febbraio, mons. Faraj P. Rahho, arcivescovo caldeo di Mosul. Fu prelevato con la forza da un gruppo di criminali subito dopo aver celebrato la funzione della Via Crucis nella chiesa di Santo Spirito. Tre i morti nell’agguato, l’autista e le guardie del corpo. 15 giorni di trattative non sono bastati per salvargli la vita che i suoi rapitori stimavano valesse 2,5 milioni di dollari. Questa la cifra richiesta per il riscatto. Mons. Rahho è stato lasciato morire di stenti, di mancanza di medicine, necessarie per chi come lui, a 65 anni, era stato da poco colpito da infarto.
Per ricordare la figura dell’arcivescovo, a Mosul, è stata celebrata una messa presieduta da mons. Emil Shimoun Nona, successore di mons. Rahho. "La vita e la morte di mons. Rahho - ha dichiarato a Baghdadhope mons. Nona - è una luce che illumina la nostra vita a Mosul e ci dà la forza di rimanere come testimoni della fede cristiana pur in una situazione così difficile". Nel corso della celebrazione è stato ricordato anche il 25° anniversario della fraternità “Carità e Gioia”, fondata da mons. Rahho per la cura e l’assistenza dei disabili. A guidare oggi la fraternità è il vicario patriarcale caldeo di Baghdad, mons. Shlemon Warduni, che durante il rapimento cercò di condurre le trattative con i rapitori. Il SIR lo ha intervistato.
Cosa ricorda di quei giorni?
“Ricordo cose tremende. Sono stati giorni dolorosi, tristi. Non sapevamo a chi rivolgerci, abbiamo cercato l’appoggio di tutti, anche di gruppi militanti. Ad un certo punto ci sembrava di vedere la luce in fondo al tunnel salvo poi piombare nello sconforto quando fu ritrovato il corpo senza vita di mons. Rahho. Mi ero anche offerto ai rapitori al suo posto, ma senza esito. La salute di mons. Rahho non era delle migliori. Nel giorni del sequestro non mi hanno mai fatto parlare con lui, adducendo scuse sempre diverse. Non so se i sequestratori erano terroristi islamici o semplici criminali, so però che un giorno al telefono mi chiesero di convertirmi in cambio del rilascio. Ma era una bugia perché era già morto”.
I colpevoli del sequestro sono stati arrestati?
“Veramente ancora non sappiamo chi lo ha ucciso. Chi portava avanti le indagini ci disse che era stata fermata una persona e forse poi impiccata. Non lo trovo giusto. Bisognava interrogarlo, capire chi erano complici e mandanti, il perché di quel rapimento. La giustizia deve essere giusta e non vendetta”.
Chi era mons. Rahho?
“Un uomo, un pastore, che ha amato la Chiesa e il suo Paese. Si è sacrificato, in tutta la sua vita, per gli altri, in particolare per i più deboli e svantaggiati, per i disabili. E’ stato un uomo votato al dialogo con i cristiani e con i musulmani, con i credenti di tutte le fedi ed un uomo di solidarietà. A Mosul ha fondato la fraternità ‘Carità e Gioia’ per sostenere i disabili e le loro famiglie. Quest’anno celebreremo i 25 anni della fondazione alla cui guida sono stato chiamato dopo la sua morte. Vorrei sottolineare che uno dei suoi tratti distintivi era anche l’attaccamento al suo paese, l’Iraq. Non si rassegnava all’idea che la sua terra dovesse soffrire così tanto per la guerra, per i contrasti interni, per la crisi. E’ stato rapito da gente priva di scrupoli, da terroristi, che non avevano altro interesse che il denaro. Egli è l’immagine chiara dell’amore che la Chiesa caldea ha sempre avuto per l’Iraq”.
Ma l’Iraq non li sta ripagando con la stessa moneta. I cristiani stanno emigrando, per loro sembra non esserci più posto nel Pese…
“I cristiani sono i primi abitanti dell’Iraq, nessuno può sostenere il contrario. La storia conferma che i caldei hanno lavorato tantissimo, sacrificandosi senza sosta, per la costruzione dell’Iraq, per la sua edificazione morale, sociale, culturale, intellettuale. I caldei hanno dato a questo paese, gente di cultura, preparata, scienziati, medici. Chi afferma il contrario lo fa sapendo di mentire”.
Cosa lascia mons. Rahho alla chiesa irachena?
“Certamente lo spirito di perdono. Spesso ricordava che non abbiamo nemici e che dobbiamo amare tutti. Altro lascito è lo spirito di riconciliazione”.
La propositio n. 29 del Sinodo per il Medio Oriente chiede di istituire una festa comune annuale dei martiri per le Chiese d'Oriente e di domandare ad ogni Chiesa orientale di stabilire una lista dei propri martiri, testimoni della Fede…Per ricordare la figura dell’arcivescovo, a Mosul, è stata celebrata una messa presieduta da mons. Emil Shimoun Nona, successore di mons. Rahho. "La vita e la morte di mons. Rahho - ha dichiarato a Baghdadhope mons. Nona - è una luce che illumina la nostra vita a Mosul e ci dà la forza di rimanere come testimoni della fede cristiana pur in una situazione così difficile". Nel corso della celebrazione è stato ricordato anche il 25° anniversario della fraternità “Carità e Gioia”, fondata da mons. Rahho per la cura e l’assistenza dei disabili. A guidare oggi la fraternità è il vicario patriarcale caldeo di Baghdad, mons. Shlemon Warduni, che durante il rapimento cercò di condurre le trattative con i rapitori. Il SIR lo ha intervistato.
Cosa ricorda di quei giorni?
“Ricordo cose tremende. Sono stati giorni dolorosi, tristi. Non sapevamo a chi rivolgerci, abbiamo cercato l’appoggio di tutti, anche di gruppi militanti. Ad un certo punto ci sembrava di vedere la luce in fondo al tunnel salvo poi piombare nello sconforto quando fu ritrovato il corpo senza vita di mons. Rahho. Mi ero anche offerto ai rapitori al suo posto, ma senza esito. La salute di mons. Rahho non era delle migliori. Nel giorni del sequestro non mi hanno mai fatto parlare con lui, adducendo scuse sempre diverse. Non so se i sequestratori erano terroristi islamici o semplici criminali, so però che un giorno al telefono mi chiesero di convertirmi in cambio del rilascio. Ma era una bugia perché era già morto”.
I colpevoli del sequestro sono stati arrestati?
“Veramente ancora non sappiamo chi lo ha ucciso. Chi portava avanti le indagini ci disse che era stata fermata una persona e forse poi impiccata. Non lo trovo giusto. Bisognava interrogarlo, capire chi erano complici e mandanti, il perché di quel rapimento. La giustizia deve essere giusta e non vendetta”.
Chi era mons. Rahho?
“Un uomo, un pastore, che ha amato la Chiesa e il suo Paese. Si è sacrificato, in tutta la sua vita, per gli altri, in particolare per i più deboli e svantaggiati, per i disabili. E’ stato un uomo votato al dialogo con i cristiani e con i musulmani, con i credenti di tutte le fedi ed un uomo di solidarietà. A Mosul ha fondato la fraternità ‘Carità e Gioia’ per sostenere i disabili e le loro famiglie. Quest’anno celebreremo i 25 anni della fondazione alla cui guida sono stato chiamato dopo la sua morte. Vorrei sottolineare che uno dei suoi tratti distintivi era anche l’attaccamento al suo paese, l’Iraq. Non si rassegnava all’idea che la sua terra dovesse soffrire così tanto per la guerra, per i contrasti interni, per la crisi. E’ stato rapito da gente priva di scrupoli, da terroristi, che non avevano altro interesse che il denaro. Egli è l’immagine chiara dell’amore che la Chiesa caldea ha sempre avuto per l’Iraq”.
Ma l’Iraq non li sta ripagando con la stessa moneta. I cristiani stanno emigrando, per loro sembra non esserci più posto nel Pese…
“I cristiani sono i primi abitanti dell’Iraq, nessuno può sostenere il contrario. La storia conferma che i caldei hanno lavorato tantissimo, sacrificandosi senza sosta, per la costruzione dell’Iraq, per la sua edificazione morale, sociale, culturale, intellettuale. I caldei hanno dato a questo paese, gente di cultura, preparata, scienziati, medici. Chi afferma il contrario lo fa sapendo di mentire”.
Cosa lascia mons. Rahho alla chiesa irachena?
“Certamente lo spirito di perdono. Spesso ricordava che non abbiamo nemici e che dobbiamo amare tutti. Altro lascito è lo spirito di riconciliazione”.
“Sarebbe bello che questi martiri, laici, sacerdoti, religiosi, vescovi, potessero essere ricordati. E’ importante non disperdere il loro esempio ed insegnamento da cui la chiesa, in particolare irachena, trae forza per andare avanti nonostante tutte le difficoltà sul terreno”.
Che sono molte come più volte da lei denunciato…
“La situazione è critica, mancano infrastrutture, acqua, servono scuole, ospedali, strade. Ma nessuno fa niente. Mentre parlo, per esempio, non c’è energia elettrica. Cosa hanno fatto gli occupanti e gli altri dal 2003 ad oggi? Otto anni di nulla. Paradossale dirlo ma il regime dittatoriale in pochi mesi avrebbe ricostruito tutto”.
Che sono molte come più volte da lei denunciato…
“La situazione è critica, mancano infrastrutture, acqua, servono scuole, ospedali, strade. Ma nessuno fa niente. Mentre parlo, per esempio, non c’è energia elettrica. Cosa hanno fatto gli occupanti e gli altri dal 2003 ad oggi? Otto anni di nulla. Paradossale dirlo ma il regime dittatoriale in pochi mesi avrebbe ricostruito tutto”.