By Vatican News
Alessandro De Carolis
C’è un patrimonio che rischia di dissiparsi, sotto la forza delle cose contingenti.
È il patrimonio liturgico delle Chiese orientali, che “migra” da est a ovest seguendo i flussi migratori, e che potrebbe smarrire le proprie caratteristiche, magari appiattendosi sullo stile latino, senza un’adeguata attenzione da parte dei responsabili delle Chiese dei due poli.
L’avvertimento viene dal cardinale Leonardo Sandri, che ha portato il suo saluto all’inizio dei lavori del convegno organizzato per i 25 anni dell’Istruzione per l’applicazione delle prescrizioni liturgiche del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali.
Tradizioni liturgiche a confronto
L’avvertimento viene dal cardinale Leonardo Sandri, che ha portato il suo saluto all’inizio dei lavori del convegno organizzato per i 25 anni dell’Istruzione per l’applicazione delle prescrizioni liturgiche del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali.
Tradizioni liturgiche a confronto
Il documento, denominato Il Padre incomprensibile, reca la firma del cardinale Achille Silvestrini con la data del 6 gennaio ’96 e avrebbe dovuto vedere l’anniversario celebrato lo scorso anno, evento rinviato a causa della pandemia.
Con lo slittamento al 2022, ha sottolineato il prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, si è voluto far coincidere l’inizio del convegno con quello della plenaria del dicastero, così da avere il più possibile presenti non solo i capi e i padri delle diverse Chiese cattoliche orientali, ma anche i membri delle rispettive chiese liturgiche, allo scopo di generare un ascolto e un confronto tanto con la Sede Apostolica, quanto, ha detto il porporato, “tra Chiese appartenenti alla medesima tradizione rituale: l’alessandrina, la costantinopolitana, la siro-antiochena, la siro-orientale, l’armena”.
Con lo slittamento al 2022, ha sottolineato il prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, si è voluto far coincidere l’inizio del convegno con quello della plenaria del dicastero, così da avere il più possibile presenti non solo i capi e i padri delle diverse Chiese cattoliche orientali, ma anche i membri delle rispettive chiese liturgiche, allo scopo di generare un ascolto e un confronto tanto con la Sede Apostolica, quanto, ha detto il porporato, “tra Chiese appartenenti alla medesima tradizione rituale: l’alessandrina, la costantinopolitana, la siro-antiochena, la siro-orientale, l’armena”.
Il rischio di perdere l’identità
Il cardinale Sandri ma messo in rilievo il fatto che la relazione d’apertura del convegno sia stata affidata all’arcivescovo Job di Telmessos, rappresentante del Patriarca ecumenico Bartolomeo I. Presenza, ha osservato il capo dicastero, che “fa sentire la celebrazione dei divini misteri nel suo respiro più ampio”, un respiro che sollecita la responsabilità di lavorare di comune accordo per scongiurare il “il pericolo della perdita dell’identità orientale”, oggi caratterizzato – si affermava già nell’Istruzione del 1996 – “da grandi migrazioni dall’Oriente verso terre ritenute più ospitali, di prevalente tradizione latina”.
E “cosa dovremmo dire oggi – ha riflettuto il cardinale Sandri - dopo la seconda guerra del Golfo, le cosiddette primavere arabe, la guerra in Siria, il DAESH, la situazione di Etritrea e di Etiopia ora aggravate dal conflitto nel Tigray, oltre a quanto accaduto e ancora oggetto di preoccupazione nell’Europa Orientale?”.
E “cosa dovremmo dire oggi – ha riflettuto il cardinale Sandri - dopo la seconda guerra del Golfo, le cosiddette primavere arabe, la guerra in Siria, il DAESH, la situazione di Etritrea e di Etiopia ora aggravate dal conflitto nel Tigray, oltre a quanto accaduto e ancora oggetto di preoccupazione nell’Europa Orientale?”.
Le due facce di una responsabilità
Nello scenario attuale quindi, ha concluso il prefetto delle Chiese orientali, tutelare questo patrimonio chiama da un lato i Pastori latini a non “limitarsi a garantire una “generica ‘Messa in lingua araba’” di fronte ai numerosi migranti nei loro Paesi. Dall’altro chiede ai capi e ai padri delle Chiese Orientali di non “inseguire una assuefazione ad una forma celebrativa come quella latina, come se essa pur maggioritaria fosse l’unico modello di riduzione cui tendere”.