By Asia News
Dall’uccisione di Abu Ibrahim al-Hashimi al-Qurayshi, successore di al-Baghdadi alla guida dello Stato islamico (SI, ex Isis), ai raid aerei turchi contro miliziani curdi del Pkk, passando per l’assalto al carcere di Ghwayran, sono giorni di tensione al confine fra Iraq e Siria. Una escalation che vede protagonisti i miliziani del califfato, che un tempo controllavano metà dei territori a cavallo fra i due Paesi, soprattutto le aree desertiche, e che oggi mantengono una presenza attiva con cellule dormienti, ma pronte a colpire. Violenze che preoccupano soprattutto la sponda siriana, mentre in Iraq è la crisi politica ad alimentare l’instabilità: sul fronte del terrorismo e della sicurezza la situazione è invece in massima parte sotto controllo.
Il domenicano mons. Michaeel Najeeb Moussa, dal gennaio 2019 arcivescovo caldeo di Mosul, metropoli del nord un tempo roccaforte jihadista, racconta che in città “non si respira un clima di paura” per quanto sta accadendo “soprattutto oltreconfine, in Siria”. Anche nella piana di Ninive, aggiunge, “la situazione è relativamente calma e stabile”. “In realtà - spiega ad AsiaNews - Mosul è oggi fra le aree più tranquille dell’Iraq, io stesso ci vivo in modo stabile da sei mesi”. A livello di base, prosegue, “la vita sta riprendendo il suo corso normale, con i propri ritmi e una armonia di fondo” che si cerca di costruire partendo dai principi di “pace, fraternità e rispetto reciproco”.
Una spinta fondamentale nella direzione del dialogo e della ricostruzione è stata impressa “da papa Francesco nel marzo scorso”, durante lo storico viaggio apostolico in Iraq. “Vi è grande attenzione - conclude l’arcivescovo caldeo - verso questa città martirizzata, per aiutarla a liberarsi dei retaggi del passato e contribuire alla ricostruzione delle infrastrutture e marciare assieme verso il progresso”.
In alcune aree del nord dell’Iraq viaggiare di notte può essere pericoloso, come racconta un cittadino di Jalawla, nel nord-est, per il timore di attacchi Isis. L’opinione comune è che Daesh [acronimo arabo per l’Isis] non sia così potente come nel 2014, le risorse sono limitate ma può approfittare di una situazione di confusione, del vuoto di potere e controllo di alcuni territori, soprattutto oltreconfine. Come fanno notare alcuni abitanti di Sinjar, la prima volta l’Isis è arrivato dalla Siria ed è proprio al di là della frontiera che la realtà appare meno stabile e le cellule dei miliziani siano più libere di muoversi, agire e colpire.
Al contempo resta ancora molto lavoro da fare per contrastare una mentalità settaria, in cui emergono episodi di abusi ed emarginazione. Secondo il sito ankawa.com la polizia di Mosul ha aperto una indagine sul decesso di una ragazza, probabilmente per cause naturali, in precedenza espulsa dalla preside della scuola media per essersi rifiutata di indossare il velo islamico. Mons. Paolo Thabit Mekko, vescovo coadiutore di Alqosh (Kurdistan irakeno) e in passato responsabile per anni della comunità cristiana a Karamles, nella piana di Ninive, conferma che sono emerse voci sulla vicenda, ma i contorni restano poco chiari e “non abbiamo alcuna certezza”.
Per quanto concerne gli attacchi di Daesh, mons. Mekko parla di “episodi che possono succedere”, come accaduto il mese scorso con “l’assalto a un reparto dell’esercito. Anche la fuga dei miliziani dalla prigione siriana ha sollevato qualche timore in Iraq, poi vi sono casi sporadici di violenze come avvenuto a Kirkuk, ma la vita scorre tutto sommato normale”. Il problema “principale”, avverte, è “il vuoto politico, l’incapacità di scegliere un presidente e poi i gruppi sciiti divisi al loro interno, non vogliono collaborare mentre qualche rappresentante in passato potente, oggi torna alla ribalta per chiedere un posto nel governo”. In questo contesto, conclude, “noi cristiani ci affidiamo alla preghiera e al digiuno, come stiamo facendo in questi giorni per la supplica di Ninive, un evento molto importante per tutti i cristiani iracheni”.