"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."

Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014

30 aprile 2021

Iraq: Chiesa Caldea aderisce alla ‘maratona’ di preghiera mariana per invocare la fine della pandemia

By AgenSIR

In solidarietà con l’appello di Papa Francesco a recitare il Rosario per tutto il mese di maggio per porre fine alla pandemia di Coronavirus, la Chiesa caldea, attraverso il suo patriarca Louis Raphael Sako, invita tutta la comunità ecclesiale, vescovi, sacerdoti, religiosi, religiose e parrocchie ad organizzare la recita, in un clima di fede, mettendo in atto tutte le necessarie misure di prevenzione. Le famiglie, si legge in una nota del Patriarcato caldeo, potranno recitare il Rosario a casa davanti all’icona della Vergine Maria e accendere una candela.
Per l’occasione il Patriarcato invita a recitare la seguente preghiera composta da Mar Sako:
“Signore Dio, nostro padre e nostra speranza, il Coronavirus ha reclamato molte vite nel mondo e continua a minacciarne altri milioni. Non lasciarci soli di fronte a tutti questi pericoli. Resta con noi, o Signore, proteggici e liberaci da ogni male. Allontana questa epidemia dalla faccia della terra. O Maria, tenera madre nostra, mettici sotto la tua protezione in questo momento difficile e intercedi per noi presso tuo Figlio Gesù per salvarci da questa pandemia che minaccia le nostre vite. Amen”.

28 aprile 2021

Rights of Christians will be protected in Kurdistan Region constitution: President Barzani


Kurdistan Region President Nechirvan Barzani received the Vatican ambassador to Iraq in Erbil on Wednesday, where he said the rights of Christians will be protected in the Region’s constitution.
“Christians are an integral part of the Kurdistan Region and play a significant role in serving, building, developing and fostering a culture of coexistence in the Kurdistan Region,” Barzani said during a meeting with Mitja Leskovar, according to a statement from the presidency.
“Guaranteeing the rights of Christians and other ethnic and religious groups will be protected in the new constitution that is being prepared,” he added.
The situation in Nineveh plains, refugees and IDPs in the region, Erbil-Baghdad relations, the coronavirus pandemic, and COVID-19 vaccinations were among other issues discussed between Barzani and the church delegation.
The Kurdistan Region does not currently have a constitution, instead governed by a series of run by laws, instructions and norms.
In 2019, Kurdistan Parliament Speaker Rewaz Fayaq called on Kurdish parties to unite and reach agreements before beginning to write a constitution.
Work began on a draft constitution that year, but was later suspended.
Earlier this month, MPs were asked to re-submit their agreements and disagreements to parliament in order to restart work on the draft.
Barzani previously met with Leskovar during his three-day visit to Baghdad in April, when Leskovar gave him a letter of gratitude from Pope Francis.
The president also discussed the importance of the Catholic University in Erbil, funded in 2015 by Archbishop Warda, saying universities in the Region should connect with other institutions to “become a bridge of communication, promoting coexistence, forgiveness and acceptance.”
Ambassador Leskovar thanked the president for accepting Christian IDPs, thousands of whom fled to Erbil when the Islamic State (ISIS) attacked the Nineveh plains in 2014.
“The Vatican highly values this culture of coexistence, forgiveness and mutual respect in the Kurdistan Region,” he said in his first official visit to the Region.
He also thanked the Kurds, officials and the president for the “warm welcome” extended to the pontiff, who visited Erbil as part of a historic visit to Iraq in March. Pope Francis met with President Barzani and other senior Kurdish officials in Erbil on March 7. After visits to Qaraqosh and Mosul later that morning, the pope received a rapturous welcome at Erbil’s Franso Hariri stadium, where he held mass for 10,000 people and extended a "heartfelt welcome to the Kurdish people."

27 aprile 2021

Iraq: Card. Sako riceve ministro Esteri Iran, Zarif. Pubblicato un libro sulla visita del Papa. Sacerdoti in visita ai feriti dell’incendio in ospedale


Foto Patriarcato Caldeo
Questa mattina il Ministro degli Esteri della Repubblica Islamica dell’Iran, Mohammad Javad Zarif, si è recato in visita al patriarcato caldeo di Baghdad dove ha incontrato il patriarca, il card. Louis Raphael Sako.
Secondo quanto riferisce il Patriarcato caldeo, Zarif “ha sottolineato l’importanza del dialogo civile e il ruolo centrale dell’Iraq nella regione. Ha, inoltre, elogiato il successo della storica visita di Papa Francesco in Iraq e ricordato l’importanza dei suoi messaggi, che non sono stati solo per gli iracheni, ma per l’intera regione”.
Zarif facendo riferimento alla visita del Papa a Najaf e all’incontro con il Grande Ayatollah Ali al-Sistani, ha sottolineato “il ruolo dei leader religiosi nell’instaurare il dialogo tra le religioni al servizio dell’umanità e nello smantellare il pensiero estremista. Le religioni sono per la tolleranza, l’amore e il rispetto per la diversità”.
Il ministro iraniano ha ribadito “l’importanza della sopravvivenza della componente cristiana, che fa parte del mosaico della regione, e il suo ruolo all’interno di essa” e si è detto “ottimista sull’avanzamento del dialogo e sul futuro della regione”.
Da parte sua il card. Sako ricordando a Zarif che “la Chiesa caldea ha due vescovi in Iran e un deputato in parlamento” ha espresso l’auspicio che il Papa possa visitare, dopo l’Iraq, anche l’Iran.
“Si spera” è stata la risposta del ministro.

Raggiunto telefonicamente dal Sir, il card. Sako ha espresso “soddisfazione per l’incontro di oggi con il ministro Zarif. Quest’ultimo mi ha confermato come la visita di Papa Francesco in Iraq sia stata coraggiosa e molto apprezzata soprattutto per i messaggi di pace e di dialogo lanciati a tutta la regione. Questi hanno cambiato il pensiero e la mentalità di tanta gente”.
Ne è una prova, ha aggiunto il patriarca che “da quando il Papa è venuto da noi, la televisione nazionale irachena diffonde notizie del Pontefice e per noi questa è una grande e bella novità. Il Governo, inoltre, ha creato una commissione interministeriale con il compito di lavorare alla messa in pratica di inviti e proposte emerse proprio durante la visita papale”.
“Come patriarcato caldeo, poi, abbiamo nei giorni scorsi pubblicato un libro che raccoglie tutti i discorsi del Papa, i suoi incontri, le tappe insieme a foto, testimonianze, commenti e reazioni al viaggio. Abbiamo donato le copie alle più alte autorità del Paese”.
Dal cardinale è giunto, infine, il ricordo delle 90 vittime (bilancio ancora provvisorio, ndr.) e degli oltre 100 feriti dell’incendio all’ospedale Ibn al-Khatib per malati di Covid a sud-est dalla capitale Baghdad.
“Domenica – ha dichiarato al Sir – mi sono recato sul luogo del disastro e ho pianto nel vedere così tanta sofferenza. Tutto l’Iraq è sotto shock. Ieri ho mandato due sacerdoti a fare visita ai feriti e a donare 10mila dollari. Un piccolo gesto di vicinanza e prossimità che si accoda alla preghiera di Papa Francesco domenica al Regina Coeli. La sua vicinanza e ricordo delle vittime ha toccato il cuore degli iracheni che lo hanno ascoltato dalla televisione”.

26 aprile 2021

Incendio ospedale Iraq: Patriarcato caldeo, “disastro nazionale, lavorare per evitare fatti così vergognosi”. Patriarca Sako in preghiera sul luogo dell’incendio

By AgenSIR
25 aprile 2021

Foto Patriarcato Caldeo

 “Un disastro umanitario e nazionale che chiede a tutti di restare uniti, mostrare solidarietà e prendere le misure necessarie per evitare disastri così vergognosi”.
È quanto afferma il patriarca caldeo, card. Louis Raphael Sako, in un messaggio in cui esprime “dolore e tristezza” per l’incendio all’ospedale Ibn al-Khatib per malati di Covid a sud-est dalla capitale Baghdad, che ha provocato almeno 82 morti e 110 feriti. Molte delle vittime erano in terapia intensiva, attaccate a respiratori. Dalle prime indagini la causa dell’incendio andrebbe ricercata in un guasto in un deposito di bombole di ossigeno.
Il primo ministro Mustafa al Khadimi ha dichiarato tre giorni di lutto nazionale.
“Come Chiesa – si legge in un comunicato diffuso oggi, 25 aprile, dal Patriarcato ribadiamo il nostro pieno sostegno agli sforzi del governo, delle forze di sicurezza, del personale sanitario e di tutti gli iracheni di buona volontà nel costruire pace e stabilità per fornire servizi, specialmente in queste condizioni turbolente con la regione piena di conflitti”.
Il patriarca caldeo eleva preghiere per chiedere la misericordia di Dio per le vittime, per la guarigione dei feriti e per tutto l’Iraq perché possa riprendersi dalle crisi ricorrenti.
Anche Papa Francesco, negli appelli dopo la preghiera mariana del Regina Coeli, si è detto “vicino alle vittime dell’incendio”.

23 aprile 2021

Criteri per la scelta dei dirigenti (vescovi) della Chiesa


In occasione della domenica del Buon Pastore nella chiesa cattolica 25 Aprile 2021

Cardinale Louis Raphael Sako

La società e la Chiesa hanno visto profondi sviluppi e trasformazioni notevoli che si sono riflessi in esse, nonché delle ripercussioni della pandemia di coronavirus e la crescita dell’ideologia estremista, che hanno imposto una situazione diversa rispetto agli anni precedenti. Questi cambiamenti e circostanze difficili richiedono all’istituzione ecclesiastica, compreso il Sinodo caldeo, di seguire criteri precisi per la scelta dei dirigenti (vescovi) della Chiesa: l’uomo giusto per il posto giusto, sia per la parrocchia, che per la diocesi o il patriarcato (qui confermo la mia intenzione di dimettermi in età canonica, cioè dopo tre anni), in modo che la persona ecclesiastica sia un riferimento affidabile per la Chiesa. In questo modo la Chiesa realizza la sua presenza e assicura un servizio più appropriato ai suoi fedeli, e più connesso con le sue istituzioni e le sue attività, consentendo ai fedeli di praticare la loro vita cristiana con fiducia, entusiasmo e gioia.
Ci giungono numerose lettere che criticano il comportamento e l’azione di alcuni membri del clero, con riferimenti – talora – a questioni vere e, talora, esprimono una semplice brama di fare osservazioni, ma la maggioranzadelle lettere indicando l’interazione dei fedeli con la Chiesa in modo che non possono accettare oggi un ecclesiastico qualsiasi. Desiderano che la persona ecclesiastica abbia caratteristiche basilari che si adattino all’immagine della chiesa a cui stanno pensando. È quindi essenziale che i Padri Sinodali prendano sul serio queste idee affinché la nostra Chiesa rimanga viva e forte, come l’ha descritta Papa Francesco durante la sua visita in Iraq dal 5 all’8 marzo 2021.1
I canoni della Chiesa cattolica e il diritto canonico delle Chiese cattoliche orientali (canone 180-189) elencano le qualità del candidato episcopale e patriarcale, ma è deplorevole che raramente erano prese in considerazione in passato, quindi vorrei chiarire queste qualità e aggiungere altre qualità pratiche che ho imparato dalla mia esperienza di sacerdote, vescovo e patriarca e che ritengo necessarie.
Il candidato deve essere una persona di fede e radicato e attivo in essa, con maturità umana, spirituale, psicologica, culturale e amministrativa, saggio e coraggioso che sappia usare in modo corretto la sua autorità (il suo servizio), la misericordia per gli esseri umani, e non per appropriarsene e per vendetta. Abbia la capacità di leggere i segni della presenza di Dio (i segni del tempo), scoprire i talenti degli altri, accoglierli, coinvolgerli nell’opera ecclesiastica, comunicare con loro e trasformare i loro contributi in integrazione positiva e in armonia dello “spirito della comunità ecclesiastica”.
Non si trascuri l’aspetto pratico e la consapevolezza pastorale nella sua scelta, come l’umiltà, la semplicità e il servizio (la buona reputazione) al fine di dare la migliore immagine spirituale e umana del sacerdozio di servizio.
Creda nella revisione, nel miglioramento e nel rinnovamento, aspirando a proteggere l’autenticità della fede e non le idee sbagliate, lo splendore della tradizione e non l’eredità falsa, la bellezza della chiesa interiore e non lo splendore esterno.
Sia indipendente, cioè non politicizzato, con una voce profetica influente verso i valori umani e nazionali, come la giustizia sociale, la piena cittadinanza, la pace, la difesa dei diritti delle persone (oppresse), la libertà, la dignità e la convivenza armoniosa. Questa non è un’interferenza nella politica, ma deriva dalla teologia sociale della Chiesa. La Chiesa si occupa della questione umana e nazionale.
Non sia estremista e sia un buon interlocutore, non indeciso, non cambi continuamente idea; non sia un trascendente autocratico (un vero dittatore), né un opportunista per raggiungere interessi particolari!! Sia padre, fratello e amico dei parrocchiani; servo della carità, specialmente verso i poveri, promuova uno spirito di partecipazione. Non divida la diocesi in identità di gruppo, non escluda nessuno dalla benedizione di Dio, dalla sua misericordia e dal suo perdono, che sono per tutti. La sua priorità sia nelle attività per l’ insegnamento, la consapevolezza e l’educazione basata sulla fede. Viva ciò che predica per diventare una testimonianza di vita.
Sia una persona di preghiera, non uno che pratica il rito in maniera automatica. La preghiera è per lui di grande aiuto di fronte alle numerose pressioni a cui va incontro.
Segua la formazione permanente e il rinnovamento spirituale, culturale e umano, in modo che non si abitui a una certa maniera e svuoti la novità di Dio e la novità dell’uomo nuovo.
Sia uno specialista in scienze ecclesiastiche e conosca bene una lingua straniera.

Papa Francesco, prima dell’Angelus, domenica 18 aprile 2021, disse spiegando il Vangelo dei due discepoli di Emmaus (Luca 24,13-35):
“Fratelli e sorelle, questa pagina evangelica ci dice che Gesù non è un “fantasma”, ma una Persona viva; […] Essere cristiani non è prima di tutto una dottrina o un ideale morale, è la relazione viva con Lui, con il Signore Risorto: lo guardiamo, lo tocchiamo, ci nutriamo di Lui e, trasformati dal suo Amore, guardiamo, tocchiamo e nutriamo gli altri come fratelli e sorelle”. Queste parole paterne sono per noi membri del clero prima che siano per gli altri.

In conclusione, sottolineo che in tutti i nostri gradi ecclesiastici non siamo angeli del cielo sulla terra, siamo esseri umani come gli altri, abbiamo le nostre debolezze e i nostri limiti, e non pretendiamo di essere perfetti. La santità del sacerdozio e della Chiesa non elimina la nostra umanità. Dobbiamo renderci conto che il bambino incontrollato rimane in noi e ci accompagna, quindi dobbiamo essere attenti e domarlo.
Siamo chiamati alla santità attraverso il nostro servizio incondizionato alle persone, non a attaccarci alla falsa “santità”! Ringraziamo Dio che nella nostra Chiesa fino ad oggi ci furono sacerdoti attaccati alla loro fede fino all’effusione del sangue, e noi ne siamo orgogliosi. È per questo motivo che Papa Francesco ha detto: Siete una chiesa viva e forte.
Qui sottolineo l’importanza dell’educazione domestica e dell’educazione nei seminari con programmi preparati con precisione dal punto di vista spirituale, umano, culturale e pastorale, e la necessità che il candidato al sacerdozio, dopo l’ordinazione, continui nella formazione permanente, e nell’impegno con esercizio spirituale a lavorare su se stesso.
Rassicuro i fedeli, riguardo all’aspetto finanziario, che la maggior parte delle nostre diocesi adotta il settore finanziario, che esegue un audit annuale, e che ogni persona ecclesiastica riceve ogni mese lo stipendio fisso, non so quindi dove la persona ecclesiastica possa raccogliere denaro!

Iraq: card. Sako (patriarca Baghdad), ” seguire criteri precisi per la scelta dei propri vescovi che devono essere un riferimento affidabile per la Chiesa”


“Le ripercussioni della pandemia di coronavirus e la crescita dell’ideologia estremista, che hanno imposto cambiamenti e circostanze difficili, richiedono all’istituzione ecclesiastica, compreso il Sinodo caldeo, di seguire criteri precisi per la scelta dei propri vescovi che devono essere un riferimento affidabile per la Chiesa”.
È quanto scrive il card. Louis Raphael Sako, patriarca caldeo di Baghdad, in una dichiarazione diffusa questa mattina dal Patriarcato, in occasione della Domenica del Buon Pastore del 25 aprile.
Nel testo il patriarca affronta il tema dei criteri da adottare per la scelta dei vescovi della Chiesa e parla di “numerose lettere di fedeli che criticano e fanno osservazioni” sul “comportamento e l’azione di alcuni membri del clero”.
Un segnale, per Mar Sako, che indica come i fedeli “non possono accettare oggi un ecclesiastico qualsiasi. Desiderano che la persona ecclesiastica abbia caratteristiche basilari che si adattino all’immagine della Chiesa a cui stanno pensando”.
 Da qui l’identikit del candidato episcopale e patriarcale tracciato dal cardinale sulla base, da un lato, dei canoni della Chiesa cattolica e del diritto canonico delle Chiese cattoliche orientali, e dall’altro delle sue esperienze “di sacerdote, vescovo e patriarca”. “Il candidato – scrive Mar Sako – deve essere una persona di fede e radicato e attivo in essa, con maturità umana, spirituale, psicologica, culturale (specialista in scienze ecclesiastiche e conoscitore di una lingua straniera) e amministrativa, saggio e coraggioso che sappia usare in modo corretto la sua autorità (il suo servizio), la misericordia per gli esseri umani, e non per appropriarsene e per vendetta”.
Una persona “capace di leggere i segni della presenza di Dio e di scoprire i talenti degli altri”, che abbia a cuore “l’umiltà, la semplicità e il servizio (la buona reputazione) per dare la migliore immagine spirituale e umana del sacerdozio di servizio”. Deve, inoltre, credere “nel miglioramento e nel rinnovamento, aspirando a proteggere l’autenticità della fede e non le idee sbagliate, lo splendore della tradizione e non l’eredità falsa, la bellezza della chiesa interiore e non lo splendore esterno”. “Indipendente, non politicizzato”, fautore di valori come “la giustizia sociale, la piena cittadinanza, la pace, la difesa dei diritti delle persone oppresse, la libertà, la dignità e la convivenza armoniosa” come insegna “la teologia sociale della Chiesa”. “Non un estremista”, dunque, “né un indeciso, né un opportunista impegnato a raggiungere interessi particolari”. Un candidato che “sia uomo di preghiera, padre, fratello e amico dei parrocchiani; servo della carità, specialmente verso i poveri, che non escluda nessuno dalla benedizione di Dio, dalla sua misericordia e dal suo perdono, che sono per tutti. Che viva ciò che predica per diventare una testimonianza di vita”. “Non siamo angeli del cielo sulla terra – ricorda il card. Sako – siamo esseri umani come gli altri, abbiamo le nostre debolezze e i nostri limiti, e non pretendiamo di essere perfetti. Siamo chiamati alla santità attraverso il nostro servizio incondizionato alle persone, non ad attaccarci alla falsa santità”.
Chiudendo il suo intervento il patriarca ribadisce “l’importanza dell’educazione domestica, dell’educazione nei seminari e della formazione permanente” e conferma la sua intenzione di “dimettersi” al raggiungimento dei 75 anni di età, fra tre anni.

20 aprile 2021

Rapporto 2021 sulla libertà religiosa nel mondo - Scheda: Iraq


Quadro giuridico relativo alla libertà religiosa ed effettiva applicazione
Nella Costituzione irachena del 2005 (1) si afferma che l’Islam è la religione ufficiale dello Stato e anche una «fonte fondamentale di diritto». Ai sensi dell’articolo 2 (paragrafo 1), nulla può contraddire l’Islam, né i princìpi della democrazia o i diritti e le libertà costituzionalmente riconosciuti. 
Al paragrafo 2 dello stesso articolo si legge inoltre che l’identità islamica della maggior parte degli iracheni e i diritti religiosi dei cristiani, degli yazidi e dei sabei mandei sono ugualmente tutelati. 
L’articolo 4 sancisce che gli iracheni hanno il diritto «di educare i loro figli nella propria lingua madre». 
Se questa è un idioma tra il turkmeno, l’assiro e l’armeno, l’insegnamento deve essere garantito dalle istituzioni educative del governo in linea con i programmi scolastici, mentre per tutte le altre lingue l’insegnamento è garantito negli istituti privati». 
Il razzismo, il terrorismo e il takfirismo (ovvero le accuse di apostasia rivolte ad altri musulmani) sono vietati ai sensi dell’articolo 7. 
Lo Stato ha il dovere, secondo l’articolo 10, di mantenere e proteggere «santuari e siti religiosi» e di assicurare la libera «pratica dei riti» all’interno di essi.
L’uguaglianza davanti alla legge è garantita dall’articolo 14, «senza discriminazioni basate su genere, razza, etnia, nazionalità, origine, colore, religione, setta, credo o opinione, o status economico o sociale».
Lo Stato è vincolato dall’articolo 37 a proteggere gli individui «dalla coercizione intellettuale, politica e religiosa». Secondo l’articolo 41, la legge regola lo status personale conformemente alle varie «religioni, sette, credenze e scelte».
Le «libertà di pensiero, di coscienza e di credo» sono garantite dall’articolo 42.
Gli iracheni sono liberi, in base all’articolo 43 (paragrafo 1), di praticare i propri riti religiosi e di gestire i propri affari religiosi, le istituzioni e le dotazioni (waqf), così come «stabilito dalla legge».
Allo stesso modo, lo Stato deve garantire la libertà di culto e proteggere i luoghi di culto in conformità all’articolo 43 (paragrafo 2). 
I musulmani non possono convertirsi ad altre religioni (2). Ai sensi dell’articolo 372 del Codice Penale iracheno del 1969, l’insulto a credenze religiose, pratiche, simboli o individui considerati sacri, venerati o adorati può essere punito con la reclusione fino a tre anni o con il pagamento di sanzioni pecuniarie (3).
Per legge, nove seggi su 329 nel Consiglio dei rappresentanti (Camera Bassa del Parlamento) sono riservati ai membri delle minoranze: cinque seggi per i cristiani di Baghdad, Ninive, Kirkuk, Erbil e Dohuk; un seggio ciascuno per yazidi, sabei mandei e shabak.
Nella provincia di Wasit è riservato un seggio per un rappresentante curdo faili (4).

(1) Constitute Project, Costituzione dell’Iraq del 2005, https://www.constituteproject.org/constitution/Iraq_2005?lang=en (consultato il 18 novembre 2020)
(2) Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, Ufficio per la libertà religiosa internazionale, Rapporto 2019 sulla libertà religiosa internazionale: Iraq, https://www.state.gov/reports/2019-report-on-international-religious-freedom/iraq/ (consultato il 18 novembre 2020).
(3)Biblioteca del Congresso, Leggi che criminalizzano l’apostasia: Iraq, http://www.loc.gov/law/help/apostasy/#iraq (consultato l’8 novembre 2020).
(4) Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, Ufficio per la libertà religiosa internazionale, Rapporto 2019 sulla libertà religiosa internazionale: Iraq, op. cit.


Episodi rilevanti e sviluppi
Il 2 giugno 2018, il chierico sciita iracheno Muqtada al-Sadr si è espresso a favore del ritorno degli ebrei che furono espulsi dall’Iraq mezzo secolo fa. «Se la loro lealtà era verso l’Iraq, sono i benvenuti».
Sadr ha affermato ciò in risposta a una domanda di uno dei suoi seguaci sul diritto degli ebrei iracheni di tornare in un Paese in cui un tempo vivevano e in cui avevano delle proprietà (5).
Nel luglio 2018, l’allora vicepresidente degli Stati Uniti Michael Pence ha annunciato una nuova iniziativa statunitense per aiutare le vittime delle atrocità commesse da Daesh, ovvero il gruppo dello Stato Islamico (IS).
Il programma Genocide Recovery and Persecution Response (Ripresa dal genocidio e risposta alla persecuzione) dell’Agenzia USAID ha raddoppiato l’assistenza statunitense per le minoranze etniche e religiose perseguitate dell’Iraq, portandola ad oltre 239 milioni di dollari (6).
Nel luglio 2018, il Consiglio provinciale di Ninive ha sospeso il trasferimento, già autorizzato dal governo federale, di 450 famiglie arabe sunnite nella Piana di Ninive e ha 

19 aprile 2021

Rinviata per la pandemia l’elezione del nuovo Patriarca della Chiesa assira d'Oriente


La nuova ondata di contagi da Covid-19 che sta colpendo l’Iraq e la Regione autonoma del Kurdistan iracheno ha provocato il rinvio a data da destinarsi delle procedure elettorali volte a dare un nuovo Patriarca alla Chiesa assira d’Oriente. L’attuale Patriarca, Mar Gewargis III Sliwa, continuerà quindi a esercitare l’ufficio patriarcale fino a quando le condizioni sanitarie della regione permetteranno di convocare i Vescovi assiri per un nuovo Sinodo elettorale.
La decisione riguardante il rinvio è stata annunciata nei giorni scorsi dalla Segreteria del Santo Sinodo della Chiesa assira. Sulla scelta di rinviare l’elezione del nuovo Patriarca hanno pesato in particolare i rapporti delle autorità sanitarie locali in merito alla diffusione pandemica da Covid-19 a Erbil – città che attualmente ospita la sede patriarcale – e nelle altre città del Kurdistan iracheno. Sulla base di tali dati, il Patriarca Gewargis ha realizzato una rapida consultazione con i Vescovi e con altri membri autorevoli delle comunità cristiane assire sparse in Medio Oriente e nel resto del mondo. La maggior parte delle persone consultate dal Patriarca si sono espresse a favore del rinvio dell’elezione patriarcale.
Già nel febbraio 2020, come riferito dall’Agenzia Fides, era stato lo stesso Patriarca Gewargis ad annunciare il suo desiderio di rinunciare all’ufficio patriarcale per motivi di salute. Una prima sessione speciale elettorale del Santo Sinodo assiro era stata convocata presso la sede patriarcale di Erbil già per l’aprile 2020. L’esplosione mondiale della pandemia, avvenuta di lì a poco, ha reso finora irrealizzabili i programmi volti a eleggere un nuovo Primate per la Chiesa assira d’Oriente
In una lettera del 2020, il Patriarca Gewargis aveva giustificato la sua volontà di rinunciare all’ufficio patriarcale facendo riferimento al deterioramento delle sue condizioni fisiche che gli impediscono di esercitare in maniera adeguata le funzioni legate al “compito sublime” che gli è stato affidato.
Domenica 7 marzo, il Patriarca Mar Gewargis ha assistito alla Santa Messa presieduta da Papa Francesco nello stadio “Franso Hariri” di Erbil, ultimo evento pubblico della visita apostolica compiuta dal Papa in Iraq. Al termine della Messa, Papa Francesco ha calorosamente salutato e ringraziato “Sua Santità Mar Gewargis III, Catholicos-Patriarca della Chiesa Assira dell’Oriente, che risiede in questa città e ci onora con la sua presenza”. “Insieme a lui” ha proseguito il Papa, riferendosi al “fratello” Gewargis “abbraccio i cristiani delle varie confessioni: in tanti qui hanno versato il sangue sullo stesso suolo! Ma i nostri martiri risplendono insieme, stelle nello stesso cielo! Da lassù ci chiedono di camminare insieme, senza esitare, verso la pienezza dell’unità”. Alla fine della Santa Messa, il Patriarca Mar Gewargis ha offerto in dono un calice a Papa Francesco.
L’81enne Mar Gewargis III è stato eletto Patriarca della Chiesa assira d’Oriente il 16 settembre 2015, succedendo a Mar Dinkha IV, che si era spento nel marzo di quell’anno negli Stati Uniti, dopo un mandato patriarcale durato ben 39 anni. Il Sinodo della Chiesa assira d'Oriente aveva scelto come nuovo Patriarca l'unico Metropolita assiro ancora residente in territorio iracheno (Gewargis, al momento dell’elezione a Patriarca, era Metropolita assiro di Iraq, Giordania e Russia).
La sede patriarcale assira, in seguito all'esilio del Patriarca Mar Eshai Shimun XXIII, aveva lasciato il il Medio Oriente dal 1933, e dal 1940 era stata insediata presso Chicago, negli Stati Uniti. Dal 2006 era iniziato il progetto di costruzione di una residenza patriarcale a Erbil. Gewargis, da Patriarca, ha potuto riportare la sede patriarcale assira in Medio Oriente, insediandola a Erbil, capitale della Regione autonoma del Kurdistan iracheno.

Holy Apostolic Catholic Assyrian Church of the East official website
Aprile 16, 2021
Statement fron the Secretariat of the Holy Synod concerning the status of the special session of the Holy Synod of the Assyrian Chrch of the East. 


16 aprile 2021

La ‘primavera’ di Mosul: la biciclettata ‘in rosa’ e la moschea di al-Nuri


La corsa in bici al femminile è un evento che testimonia “il cambiamento notevole” a livello sociale, con tentativi crescenti di integrazione dopo gli anni bui dello Stato islamico (SI, ex Isis). Tuttavia, restano ancora molti nodi irrisolti e questioni aperte, in primis “la corruzione” sul piano economico e “le difficoltà” dal punto di vista amministrativo “anche a causa di forze esterne” che alimentano la tensione. È quanto racconta ad AsiaNews don Paolo Thabit Mekko, responsabile della comunità cristiana a Karamles, nella piana di Ninive, raccontando la situazione a Mosul, ex roccaforte del “califfato” dove “è ancora viva la memoria della visita di papa Francesco. Con la speranza - aggiunge - che il suo passaggio non resti solo un ricordo, ma possa portare frutti in un’ottica di ricostruzione” del tessuto economico, sociale e culturale.
Il 12 aprile scorso a Mosul si è tenuta una corsa ciclistica tutta al femminile, un evento impensabile fino a pochi anni fa quando nella metropoli del nord regnavano i miliziani dell’Isis, che decapitavano ragazzi per il solo fatto di ascoltare “musica occidentale”. Alla manifestazione hanno partecipato circa 35 giovani fra i 15 e i 30 anni, di religione diversa e vestiti nei modi più vari, con e senza velo, sfilando per le vie della città vecchia.
Fra gli obiettivi, quello di incoraggiare le donne - di ogni età - ad utilizzare la bici, oltre al tentativo di mostrare il volto di una metropoli tuttora ferita con strade ed edifici devastati. La corsa ha preso il via dalla grande moschea di al-Nuri, per poi sfilare lungo strade e piazze. Molte giovani hanno dovuto prendere lezioni per partecipare, perché l’uso della bici - soprattutto fra le donne - non è pratica diffusa in Iraq: fra l'altro, un'antica superstizione dice che l’uso del mezzo farebbe perdere la verginità.
“Quando vedi una donna - racconta don Paolo - che viaggia in bicicletta in una città a lungo controllata e soggiogata da una mentalità fondamentalista, ciò rappresenta un cambiamento in positivo. Ed è anche il segnale che le donne conquistano sempre più spazio, creando e alimentando il cambiamento stesso. Uno dei primi pensieri dei fondamentalisti è proprio quello di controllare, di coprire e di reprimere la donna. Anche una semplice gara in bicicletta cui hanno partecipato musulmane, cristiane, yazidi - osserva - è segno e indice che la società si sta svegliando”.
“In un certo senso - prosegue il sacerdote - possiamo parlare di primavera di Mosul, anche se i lavori di ricostruzione proseguono lenti e vi è molto da lavorare. Da poco abbiamo inaugurato un ponte che favorisce il traffico cittadino, ma strade e vie sono ancora in larga parte disastrate e resta grosso il problema infrastrutturale”. 
Fra i segnali positivi di questi giorni anche la notizia dell’assegnazione dei lavori di ricostruzione della grande moschea, usata nel 2014 dal leader del sedicente Stato islamico Abu Bakr al-Baghdadi per proclamare il “califfato”. Nel giugno 2017 i miliziani jihadisti - poi sconfitti sul piano militare dall’esercito irakeno - avevano distrutto a colpi di esplosivo lo storico edificio del 12mo secolo, lasciandosi alle spalle rovine e macerie in gran parte della città.
La ricostruzione della moschea, così come di alcune storiche chiese (dell’orologio dei domenicani e il monastero di san Giorgio), è parte di un progetto volto a far “rivivere” lo “spirito” di Mosul. Ad aggiudicarsi il bando di ricostruzione della moschea un gruppo di architetti egiziani, il cui progetto ha vinto la concorrenza di altre 123 proposte; l’inizio dei lavori è prevista entro l’anno. La sala delle preghiere della nuova moschea di Nur al-Din Mahmoud Zangi sarà simile all’originale, ma sono al vaglio diverse modifiche fra cui un maggiore uso di luce naturali e più spazi per le donne.
“Mosul è in movimento, le persone cercano lavoro anche se la pandemia di Covid-19 ha un po’ rallentato l’attivismo. Si aspettano occasioni per ripartire” afferma don Paolo “e proprio la sfera sociale è fra gli ambiti più ricchi di iniziative pur a fronte di molti problemi che restano irrisolti. “Il governo locale - conclude il sacerdote - non è forte, mentre restano attive le milizie che controllano intere aree della città e operano secondo i propri interessi. E poi pesa la questione corruzione e i problemi sul piano amministrativo. La voglia di ripartire c’è, a fronte di problemi soprattutto legati a forze esterne che ancora rimangono e vanno risolti”.

15 aprile 2021

Iraq: Baghdad, card. Sako ha incontrato Karim Khan, nuovo procuratore della Corte penale internazionale

14 aprile 2021

Foto Patriarcato Caldeo
Questa mattina il patriarca caldeo di Baghdad, card. Louis Raphael Sako, ha incontrato nella sede patriarcale della capitale irachena, l’avvocato britannico per i diritti umani, Karim Khan, che, dopo la nomina a febbraio scorso a nuovo procuratore della Corte penale internazionale, lascia l’incarico di consigliere speciale di Unitad, il team Onu che indaga sulla responsabilità dei crimini commessi dallo Stato Islamico (Daesh).
Secondo quanto riferito dal Patriarcato, Khan “ha ringraziato per la collaborazione offerta dallo stesso Patriarcato nel far emergere l’ingiustizia e la persecuzione subite da molti iracheni, per l’impegno nella promozione del dialogo e della convivenza, fino alla visita di Papa Francesco in Iraq”.
Il card. Sako, a sua volta, ha ringraziato Khan per “i suoi sforzi internazionali a sostegno dell’Iraq e delle componenti irachene emarginate, e lo ha ringraziato per la sua apertura e solidarietà con tutti”.

14 aprile 2021

Il dramma dei cristiani nel medio oriente

Il video dell’incontro “Ma il Figlio dell’Uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?”.
Il dramma dei cristiani in Medio Oriente, svoltosi online il 13 aprile e organizzato dall’associazione Esserci, il centro culturale Rosetum, il mensile Tempi, Aiuto alla Chiesa che soffre e Pro Terra Sancta.
Hanno partecipato: Alessandro Monteduro, direttore di Aiuto alla Chiesa che soffre, Tommaso Saltini, direttore di Pro Terra Sancta, con gli interventi registrati di padre Thabet Yousif, parroco a Karamles (Iraq), e il cardinale Mario Zenari, nunzio apostolico in Siria.
Moderatore: Leone Grotti, giornalista di Tempi.

   

Il governo della Regione autonoma istituisce un Comitato per contrastare espropri illegali di proprietà nel Kurdistan iracheno


Il governo della regione autonoma del Kurdistan iracheno ha disposto la creazione di un Comitato incaricato di contrastare il fenomeno di espropri illegali di beni immobiliari – appartenenti a case e terreni appartenenti per lo più a membri di comunità etniche e di fede minoritarie, a partire dai cristiani. Il Comitato sarà composto da rappresentanti di vari ministeri e istituzioni, compresa la Presidenza del Parlamento e il Consiglio giudiziario supremo. Il Comitato sarà presieduto da Diya Butros Sliwa, Presidente della Commissione indipendente per i diritti umani, che di recente aveva presentato al Governo della Regione autonoma un memorandum sull’urgenza di affrontare il problema delle proprietà sottratte illegalmente a cristiani e a altri gruppi minoritari presenti nel Kurdistan iracheno, e sulla necessità di proteggere i diritti dei proprietari a norma di legge.
La disposizione di istituire un Comitato governativo ad hoc incaricato verificare e frenare i sistematici espropri illegali subiti negli ultimi anni da proprietari cristiani nel Kurdistan iracheno e soprattutto nel governatorato di Dohuk è maturata a partire dalle sollecitazioni provenienti dalla Commissione indipendente di Butros Sliwa e ha preso il via a partire da un input arrivato nell’agosto 2020 dal Governo della Regione autonoma: La commissione istruttoria dovrà raccogliere documentazione, ascoltando anche le istanze e le giustificazioni delle parti coinvolte per tracciare una vera e propria mappatura delle proprietà dei cristiani fatte oggetto di esproprio abusivo negli anni in cui tutta l’area nord-irachena viveva la drammatica esperienza connessa alle conquiste delle milizie jihadiste di Daesh e alla creazione dell’auto-proclamato Stato Islamico.
Gli espropri su vasta scala di terreni e beni immobiliari appartenenti a famiglie cristiane sire, assire e caldee della regione del Kurdistan iracheno, come riferito dalla Agenzia Fides furono denunciati con particolare veemenza nel 2016. Secondo le denunce presentate, gli espropri illegali venivano messi in atto da concittadini curdi, che operavano singolarmente o in maniera coordinata con altri membri del proprio clan tribale. Già a quel tempo il dottor Michael Benjamin, direttore del Centro Studi Ninive, riferiva che nel solo governatorato di Dohuk esisteva una lista di 56 villaggi in cui l'area di terreno sottratto illegalmente a famiglie cristiane era pari a 47.000 acri. Il 13 aprile 2016, alcune centinaia di cristiani siri, caldei e assiri, provenienti dalla regione di Nahla (Governatorato di Dohuk) avevano organizzato una manifestazione davanti al Parlamento della Regione autonoma del Kurdistan iracheno per protestare contro le espropriazioni illegali dei propri beni immobiliari subite negli anni precedenti ad opera di influenti notabili curdi, già più volte denunciate senza esito presso i tribunali competenti. Negli ultimi anni, gli espropri illegali hanno preso di mira in maggior parte terre e case appartenenti a cristiani che hanno lasciato l'area soprattutto a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso, per sfuggire ai conflitti regionali e alle violenze settarie e tribali esplose con maggior virulenza dopo gli interventi militari delle coalizioni internazionali.
Intanto nei giorni scorsi organi di stampa iracheni hanno reso noti i contenuti di una lettera indirizzata da Papa Francesco a Nechirvan Barzani, Presidente della Regione del Kurdistan iracheno. La lettera, che porta la data del 15 marzo, è stata consegnata nei giorni scorsi allo stesso Barzani dall’Arcivescovo Mitja Leskovar, Nunzio apostolico in Iraq. Nella missiva il Papa fa riferimento al suo recente viaggio in terra irachena (5-8 maggio) e ringrazia l'Iraq e la Regione del Kurdistan per aver valorizzato “le diversità religiose, culturali ed etniche”. Nella lettera, tra le altre cose, il Papa ha espresso la sua gratitudine per la calorosa accoglienza ricevuta "a Vostra Eccellenza, a tutte le autorità con voi, e a tutto il popolo iracheno, in particolare all'amato popolo curdo”. Papa Francesco ha ringraziato il Presidente Barzani per aver partecipato alla messa domenicale al Franso Hariri Stadium di Erbil, partecipazione “che dimostra in voi lo spirito di tolleranza, armonia, fratellanza e umanità".

Nechirvan Barzani receives letter from Pope Francis


Pope Francis in a letter to the President of the Kurdistan Region hailed Iraq and the Kurdistan Region for valuing “religious, cultural and ethnic diversities.”
“During the days that I spent among you, I realized that the religious, cultural and ethnic diversities that characterize Iraqi society is a valuable support for you and for the world,” reads the letter addressed to President Nechirvan Barzani.
Barzani met with the Vatican ambassador to Iraq, Mitja Leskovar, on Monday in his third and last day in Baghdad, who delivered the letter from Pope Francis, written on March 15.
“It is expected now that Iraq proves for everyone, especially in the Middle East, that it is capable, despite the differences, to cooperate in harmony in order to build civic life, to consolidate bonds of brotherhood and solidarity in the service of goodness and peace, and to nurture hope for a better future,” said his Holiness.
Pope Francis also expressed his gratitude for the warm welcome. “I would like to express to Your Excellency, to all the authorities with you, and to all the people of Iraq, especially the beloved Kurdish people, my gratitude for the warm welcome and generous hospitality with which you received my companions and me.”
The pope thanked the president for attending the Sunday mass at Franso Hariri Stadium which he said “demonstrates the spirit of tolerance, harmony, brotherhood and humanity in you.”
Barzani also described the visit “as significant and emphasized that everyone in Iraq should benefit from His Holiness’ journey and the important messages the visit was carrying, which were messages of peace, harmony and tolerance.”
The president reiterated that coexistence, tolerance and respect “is an ancient and deeply rooted culture of the people of Kurdistan, and that the Kurdistan Region will remain, as it always has been, a safe haven for all religions and communities.”
Pope Francis landed in Baghdad on March 5 for a three-day historic visit to Iraq and the Kurdistan Region, where he met with senior officials and leaders, held prayers and masses.
As part of the first-ever papal visit to Iraq, Pope Francis met with President Barzani and other senior Kurdish officials on March 7, when he arrived at Erbil's airport. Pope Francis expressed his gratitude to Barzani for the protection of displaced Christians and other minorities during a brief meeting at Erbil international airport.
After visits to Qaraqosh and Mosul later that morning, the pope received a rapturous welcome at the stadium, where he held mass for 10,000 people and extended a "heartfelt welcome to the Kurdish people."
Pope Francis ended the mass with a specific message for Iraq, which he says will always remain in his heart. “Salam, Salam, Salam,” said the Catholic leader, using the Arabic word for peace.

13 aprile 2021

MECC Secretariat General in an Online meeting with Cardinal Sako: What comes after the visit of Pope Francis to Iraq?

April 12, 2021 

Photo MECC
As a follow-up to the visit of His Holiness Pope Francis to Iraq, Middle East Council of Churches President on behalf of the Catholic family and Patriarch of Babylon for the Chaldeans Cardinal Mar Louis Raphael Sako met with MECC General Secretary Dr. Michel Abs, Assistant Secretary General Father Dr. Nicolas Bustros and departments directors. They discussed the role of the Middle East Council of Churches in achieving the goals of this historic visit and its impact on the Christian presence in the East, interfaith dialogue and the role of Iraq and its churches in spreading the culture of peace, citizenship and the civil state...
At the beginning of the meeting, His Beatitude went through the many stops of the visit and their impacts. He explained how the visit broke the barrier of fear among all and how the presence of the Pope gave them courage.
His Beatitude continued: “All Iraqi people were there to meet the Pope who teared up many times during the visit, especially in Hosh Al-Baya in Mosul, where ISIS had bombarded 4 churches (Syriac, Chaldean, Syriac Catholic and Armenian Orthodox). The Pope shed tears of pain on the repercussions of terrorism and extremism."
They then discussed ways to focus the Council capabilities to work on plans to enhance the ecumenical spirit and the role of youth, while supporting inter-religious dialogue initiatives in a society torn apart by religious intolerance, extremism and violence.
At the end of the meeting, Middle East Council of Churches Secretary General Dr. Michel Abs pledged activating the council’s role in Iraq through projects reflecting the council essential mission and role. Projects well needed in the Iraqi community, especially among Christians, who are waiting for effective and practical initiatives to establish their roots and role in the land of Mesopotamia, crossroad of religions and source of civilizations.

Papa Francesco: lettera al patriarca caldeo card. Sako “In Iraq ho sentito voci di dolore e di angoscia, ma ho anche ascoltato voci di speranza e di consolazione”


Foto Patriarcato Caldeo
Lettera di Papa Francesco al patriarca caldeo di Baghdad, card. Louis Raphael Sako.
A recapitarla questa mattina al patriarca è stato il nunzio apostolico in Iraq, mons. Mitja Leskovar, durante una visita al patriarcato caldeo.
Nel testo, diffuso da poco dal patriarcato caldeo, Papa Francesco esprime i suoi ringraziamenti a Mar Sako e a tutta la Chiesa irachena per “la calorosa e sincera accoglienza” ricevuta e per l’impegno profuso “per la buona riuscita” della stessa.
Una visita “preparata, accompagnata nella preghiera, segno di vera comunione con il trono di Pietro. Porto ancora nel cuore – scrive il Pontefice – il ricordo degli incontri, dei momenti commoventi di preghiera, segnati dall’impegno fraterno”.
“Nei giorni trascorsi con voi – si legge nella lettera – ho sentito voci di dolore e di angoscia, ma ho anche ascoltato voci di speranza e di consolazione” frutto della vicinanza della Chiesa irachena “ai credenti affidati alle vostre cure” e della “opera caritativa che portate avanti con le varie organizzazioni caritative che aiutano le persone di questo Paese a lavorare per la sua ricostruzione e rinascita sociale. Ho potuto vedere e toccare con mano come Cristo sia vivo nella chiesa in Iraq operando nel suo popolo santo e credente”.
La lettera di Papa Francesco termina con l’auspicio che la testimonianza cristiana del patriarca e della Chiesa, “arricchita dalle avversità e rafforzata dal sangue dei martiri, sia una luce splendente dentro e fuori l’Iraq, per lodare la grandezza di Dio e la gioia dello spirito di questo popolo in Dio nostro Salvatore”.

12 aprile 2021

Iraq: card. Sako (patriarca) ai musulmani, “i cristiani siano definiti ‘Popolo del Libro’”


Foto Patriarcato Caldeo
Messaggio del patriarca caldeo di Baghdad, card. Louis Raphael Sako, ai musulmani per l’inizio del Ramadan, il mese sacro di digiuno e preghiera che inizierà domani, martedì 13 aprile, per finire mercoledì 12 maggio. Nel testo, diffuso poco fa, il patriarca esprime “sincere congratulazioni e benedizioni ai nostri fratelli e sorelle musulmani, chiedendo a Dio Onnipotente di benedire il loro digiuno e di donare salute e sicurezza allontanando il pericolo della pandemia da coronavirus Covid-19”. L’auspicio del patriarca è che il Ramadan sia un tempo “per avvicinarsi a Dio e alle persone attraverso il digiuno, la preghiera, gli atti di carità, di misericordia, di perdono e riconciliazione, e per approfondire quei legami di fratellanza, amicizia e rispetto che Papa Francesco ha ricordato durante la sua recente visita in Iraq. Questo tempo possa anche promuovere i principi di pace, stabilità e convivenza e aprire così una nuova pagina nella vita degli iracheni affinché godano di gioia e felicità dopo tutti i mali sofferti”.
Da Mar Sako anche la richiesta di “adottare e inserire nei libri di scuola, in questa occasione, la dicitura ‘Popolo del Libro’ per definire i cristiani al posto di altre definizioni errate e inaccettabili”.

9 aprile 2021

Perdono e riconciliazione

Francesco Ricupero
8 aprile 2021

«La fratellanza e la diversità sono la base umana e morale fondamentale per la convivenza»: ne è convinto il cardinale Louis Raphaël Sako, patriarca di Babilonia dei Caldei, che in questa intervista a «L’Osservatore Romano» ricorda con gioia e gratitudine il viaggio di Papa Francesco in Iraq.
È trascorso appena un mese dalla visita apostolica, compiuta in un momento storico particolare contrassegnato dall’emergenza sanitaria. Un gesto quasi inaspettato. Cosa ha significato per lei e per i cristiani iracheni la presenza del Pontefice?
Sapevo che il Santo Padre voleva visitare l’Iraq, ma sinceramente non me lo aspettavo proprio in questo momento particolare, data la situazione incerta provocata dalla pandemia. È stata una sorpresa la sua determinazione. Il Santo Padre ha il carisma di sorprendere. Penso che lui abbia sentito nel suo cuore di pastore l’esigenza di venire a portare conforto e speranza agli iracheni che hanno tanto sofferto. Dunque, ha fatto bene. Che gioia la sua visita! Il Papa ha colpito tutti: cristiani e musulmani. L’Iraq, durante la sua permanenza, è stato un piccolo paradiso, dopo tanto inferno, e speriamo che sarà sempre così!
Lei in diverse occasioni ha rimarcato la necessità di uno Stato laico che permetta la libertà di culto. Pensa che in Iraq ciò sia realizzabile? E quanto tempo ancora bisognerà aspettare?
Ritengo che un regime secolare, basato unicamente sulla cittadinanza e non sulla religione, sia la soluzione. I Paesi del Medio oriente non avranno futuro senza la separazione tra religione e Stato. Sono due cose diverse. In uno Stato secolare, puoi essere musulmano o cristiano, puoi andare in moschea o in chiesa, digiunare e gestire la tua vita secondo le tue convinzioni, e lo Stato non ha il diritto di impedirti di farlo... né può costringerti a farlo. Così come non può impedirti o importi di diventare religioso. Non ti verrà tagliata la mano se rubi e non andrai in prigione se interrompi il digiuno durante il Ramadan. Lo Stato non ti punirà se scegli questa o quell’altra religione. L’Iraq è pronto per essere secolare e i giovani manifestano rivendicando patria e uguaglianza. Il settarismo in Iraq è stato creato apposta dopo la caduta dell’antico regime.
Cosa sta facendo la Chiesa caldea per convincere i cristiani a rientrare in patria dopo la persecuzione da parte del cosiddetto Stato islamico?
Il ritorno dei cristiani è dovere del governo iracheno e ciò sarà possibile quando le condizioni saranno favorevoli e saranno garantiti sicurezza, stabilità e servizi. I cristiani e altre minoranze saranno incoraggiati a tornare nella loro terra di origine. A mio parere questo è un progetto a lungo termine.
In un recente messaggio lei ha invitato gli iracheni a voltare pagina e ad avviare un nuovo percorso. Crede che la visita del Papa possa contribuire a un cambiamento nel Paese?
Deve cambiare una certa mentalità tribale intrisa di vendetta e di giustizia. Colui che perdona è più forte di chi si vendica. Bisogna perdonare e riconciliare per il bene comune, come ha fatto Nelson Mandela in Sud Africa. Una nuova cultura aperta, che rispetta le diversità, è necessaria per compiere progressi. Il Papa ha parlato della fraternità umana e anche spirituale, occorre rispettare la diversità e collaborare per un mondo migliore, con più pace e dignità.
Cosa serve per facilitare un’armoniosa convivenza fra le fedi? Lei è convinto che musulmani e cristiani possano convivere nonostante le ferite inferte dai fondamentalisti?
Noi cristiani abbiamo una vocazione: dobbiamo aiutare gli altri ad aprirsi, dobbiamo essere pronti, coraggiosi e non avere paura. Come pastore ripeto che la Chiesa ha il dovere di esplicitare la fede in modo chiaro. Ci vuole dialogo e rispetto. Unità non significa uniformità. Il Papa in Iraq ha più volte parlato di fratellanza e diversità. Le sue parole scaturite dalla fede e dal suo cuore con semplicità e spontaneità hanno cambiato la mentalità della gente. Adesso c’è grande rispetto, ma anche i leader politici dovrebbero cambiare.
Quanto può essere determinante il sostegno dei cattolici e della comunità internazionale per instaurare un clima di pace e serenità?
Papa Francesco ha tracciato una magna carta durante i suoi incontri e con le sue parole, e adesso tocca a noi metterla in pratica. Il governo iracheno ha costituito un comitato subito dopo la visita apostolica, così anche la Chiesa caldea. Abbiamo fiducia e speranza.
Come è possibile rafforzare la fratellanza in un Paese martoriato da scontri armati e violenze?
Noi cristiani formati con il perdono abbiamo un ruolo capitale: perdonare, appunto. Riconciliarsi e costruire la fiducia sono temi essenziali per una convivenza politica. La gente semplice è pronta a cambiare, ma ripeto che il grande ostacolo sono i politici che cercano di curare i loro interessi, come ha ribadito anche l’ayatollah Al-Sistani durante l’incontro con Francesco.
Cosa farà di concreto la Chiesa in Iraq nel prossimo futuro?
Lavoreremo su quattro obiettivi: costruire programmi educativi e didattici in modo da rafforzare la fratellanza tra gli iracheni e la loro unità nazionale; organizzare eventi di sensibilizzazione per gli iracheni sulla loro diversità attraverso seminari, conferenze e programmi televisivi dedicati a civiltà, culture e religioni, al fine di mostrare i punti in comune, approfondendoli e rispettandone le particolarità, perché ciò che ci unisce è molto di più di ciò che ci divide; creare un centro nazionale che comprenda aule e una biblioteca specializzata sui temi del dialogo interreligioso; infine, attivare il codice penale iracheno (n. 111 del 1969) e i suoi articoli che obbligano a proteggere i luoghi santi e prevenire l’offesa alle religioni e ai loro simboli punendone gli aggressori.

7 aprile 2021

Iraqi President Receives a Written Message from Pope Francis


On Tuesday, April 6, 2021, the President of the Republic of Iraq, Barham Salih received Archbishop Mitja Leskovar, the Vatican nuncio to Iraq. 
The meeting was held at Al-Salam Palace in Baghdad. Archbishop Mitja Leskovar first conveyed greetings from His Holiness Pope Francis to Iraqi President Barham Salih and he also delivered a written message for the Iraqi President from the Pope. 
In the message, Pope Francis expressed gratitude and appreciation to the people of Iraq and its government for their warm reception and generous hospitality when he visited Iraq. Iraq with its millennial civilization, its long history and culture is able to play a meaningful role in both regional and global issues, the Pope said, Cultural, religious and ethnic diversity earns Iraq more strength. 
He reaffirmed his support for Iraqi people to bring security, stability and peace to Iraq. President Salih, asking the Vatican nuncio to convey his greetings to Pope Francis in turn. He indicated that the Pope’s visit to Iraq, Baghdad, Najaf, Dhi Qar, Erbil and Mosul is of great historical importance in supporting Iraq as he hailed his sustained attention and his continued support for the Iraqi. 
The Pope's visit to Iraq is a deep and powerful message for human solidarity to the Iraqi people who look forward to overcoming the difficulties and challenges that they face and to establish security and stability in the country, President Salih said. 
Furthermore, it would help Iraqi population to promote peaceful coexistence, enhance social cohesion among all Iraqi components and build peace and stability in Iraq and the region as well, he added. His Excellency President Salih noted that it was crucial to foster a spirit of optimism which has been brought by the Pope's visit to Iraq, and it therefore, Iraqis including Muslims, Christians and people of other faiths, look forward to building peace in their country.

Francesco, un mese dopo Mosul. Quale altra strada per il Mediterraneo?

Riccardo Cristiano

Un mese fa, recandosi nel cuore devastato dell’Iraq che ha visto tutti perseguitati, dall’Isis innanzitutto e poi dalle milizie revansciste, papa Francesco ha spezzato l’asse eretico islamo-cristiano che vuole fare delle religioni ideologie in urto ma saldamente alleate del liberismo economico finanziario. Questo asse di opposti va spiegato, per capire la prospettiva e la portata del viaggio e delle sue possibili ricadute nel mondo islamico e nel nostro.
La parte cattolica del lavoro è stata realizzata con assoluta efficacia e competenza dal professor Massimo Borghesi con il suo ultimo libro Francesco. La Chiesa tra ideologia teocon e ospedale da campo”, presentato qui su Formiche.net in recensione e in una pregevole intervista. Borghesi dimostra che dopo la caduta dell’impero sovietico le critiche di Giovanni Paolo II al sistema capitalista vennero capovolte dai teocon in lodi. Insomma, dall’idea di usare la caduta dell’impero sovietico per procedere verso equità e giustizia sociale si passava alla tesi che il mondo cattolico si riconosceva nel capitalismo liberista, nella teoria dello scontro di civiltà e quindi, di lì a breve, nell’invasione dell’Iraq.
In un contesto diverso, quello del mondo islamico, negli stessi anni, cosa accadeva? Qui non possiamo avvalerci di una documentazione in appendice, con tanto di citazioni, ma i fatti sono noti e alcune costanti spiccano. La guerra dei mujaheddin del popolo contro l’invasione sovietica dell’Afghanistan vede emergere la nota figura di un miliardario, bin Laden. La vittoria del suo campo però, il 14 febbraio 1989, venne “rubata” dal campo uguale e contrario, l’altro fanatismo religioso che voleva e vuole conquistare l’Islam, quello khomeinista. Il 15 febbraio 1989 infatti Khomeini annunciò la fatwa contro Salman Rushdie, una tempistica assurda se non spiegasse che il nemico vero è quello interno, la lotta era ed è quella per conquistare l’islam a un’ideologia. Dunque bin Laden e soci da una parte, nel campo dei sunniti, e Khomeini e i suoi pasdaran nel campo sciita si sono contesi da allora il jihad mondiale con la finalità di capovolgere e conquistare tutto l’Islam. Anche a Tehran i khomeinisti non hanno problemi con il liberismo, lo dimostrano le sempre più cospicue speculazioni finanziarie dei pasdaran e di Hezbollah, che si sommano poi a traffici illeciti di narcotici in mezzo mondo. Dunque, in termini diversi dal confronto cattolico, due ideologie compatibili con il capitalismo liberista e radicate nello scontro di civiltà si candidano nello stesso arco temporale dei teocon a conquistare l’islam alla loro ideologia. Il cerchio si chiude quando un altro miliardario, Khairat al Shater, assume la guida dell’altra forza dell’Islam politico, i Fratelli Musulmani.
Le fondamenta teologiche di tutti questi pensieri islamici sono molto diverse da quelle dell’ideologia teocon, si ritrovano nel rifiuto del mondo, che per loro è un complotto maligno. Ma le compatibilità sono le stesse: scontro di civiltà, capitalismo finanziario, religione assai simile a un’ ideologia.
L’elezione di Francesco taglia l’erba sotto i ponti a tutti i giochi. La fratellanza di Francesco non parla certo di una mega-religione totale, ma di fratellanza tra diversi che tornano fratelli proprio perché diversi e riscoprono le loro spiritualità. Questo libera sunniti e sciiti dall’idea degli estremisti di essere in urto col mondo perché offre loro una sponda di amicizia, di fratellanza. Questa offerta cambia tutto nel discorso religioso islamico e chiarisce profondamente quello cristiano alla luce dell’insegnamento conciliare: la fede non è una certezza fuori dalla quale ci sono solo false credenze e quindi una falsa umanità, nessuno di di noi è padrone dello Spirito Santo e delle sue strade. Le nostre diversità sono viste piuttosto come parte del sapiente disegno divino che ci chiede di vivere insieme. Questo cuore del messaggio radicalmente evangelico di Francesco viene capito e condiviso dalla principale autorità teologica sunnita, l’imam al Tayyeb, e dall’ayatollah al-Sistani.
Andando in Iraq Francesco è andato nell’epicentro del terremoto che ha scosso islam e cristianesimo dal 2003, affermando cesaropapismo e teocrazia. La teocrazia khomeinista, eretica allo sciismo, la teocrazia dell’Isis, eretica al sunnismo, e il cesaropapismo di molti patriarchi, eresia rassegnata all’idea che l’islam sia una malattia ontologica e che quindi solo un despota benevolente per calcolo possa proteggerli. Questo cesaropapismo orientale ricorda la deriva di parte dell’ortodossia russa, strutturalmente sottoposta ai voleri del Cremlino come capì Giovanni Paolo II dicendo al professor Andrea Riccardi che questo è il motivo per cui non parla mai dei suoi tantissimi martiri del tempo sovietico. Sunniti, sciiti e cristiani dunque possono, o potrebbero, vivere insieme. Non c’è una sopraffazione connaturata all’ homus islamicus, non c’è la condanna alla protezione di un despota benevolente per calcolo per i cristiani di lì.
Ovviamente questa fratellanza propone libertà ed eguaglianza tra i diversi, regalando finalmente agli arabi l’idea che una nazione non è una comunità religiosa, ma persone che condividono uno spazio geografico nel nome di una scelta comune. Estranea alla cultura araba fino all’Ottocento, l’idea di nazione vi è entrata corrotta dalla forma dell’Ancien Regime prima e dei nazionalismi europei ammalatisi poco dopo. Ecco perché anche i laici non hanno mai avuto un’idea di nazione come libera convivenza di diversi, inventandosi quel panarabismo che crea un arabo astratto dalla sua realtà ed esclude i non arabi (come i curdi, per fare un esempio).
Così il viaggio di Francesco ha posto le basi per un reciproco riconoscimento di fratellanza tra sunniti e sciiti, liberati dalle opposte eresie teocratiche che li hanno condotti a uccidersi tra di loro e a ridurre le loro comunità di fede o a milizie o a traditori della vera fede, come dimostra la ferocia dell’Isis e dei pasdaran con i dissidenti.
Dunque un mese fa Francesco ha posto le basi per ricostruire lo spazio Mediterraneo, a partire dall’Iraq. Ma ha posto anche le basi per ricostruire il nostro ruolo nel Mediteranno, che è quello di cittadini, e non di segregati nella cittadella assediata che non potrebbe vivere con i suoi vicini.
La rivoluzione di Francesco potrebbe cambiare tutto il nostro contesto geografico, il nostro presente e il nostro futuro. Ma richiede di superare le secche di una cultura dell’egoismo che accomuna tutti le ideologie religiose che la avversano. Così non può non colpire che proprio in queste ore circolino voci di un’imminente visita in Vaticano del premier designato libanese, Saad Hariri. Il Libano, uno Stato economicamente fallito, attende un governo dal giorno dell’esplosione del suo porto, il 4 agosto scorso. Il Libano è il punto d’arrivo delle forze in armi per conquistare l’Islam e che partono da Baghdad. Per questo salvare l’ultima città cosmopolita del Levante è una priorità. Non sorprende se ne ricordasse solo il Vaticano, mentre la Francia piega la sua supposta mediazione alle pieghe di un tribalismo politico che porterebbe soltanto a ritardare la certificazione di morte di quello che è stato il Paese dei Cedri. Il viaggio di Francesco a Beirut è l’ultima speranza, ma se la politica non fa la sua parte non si potrà chiedere al papa addirittura di sostituirla. È la tragedia che sta vivendo in queste ore il patriarca maronita, unico che ha una proposta capace di salvare il Paese nella neutralità dalle guerre ideologico-religiose che insanguinano il mondo arabo. Una proposta che sembra iscritta nella fratellanza di Francesco, la sola che potrebbe salvare il Libano. E non solo.

6 aprile 2021

Fratelli tutti. Ma con i musulmani, per Francesco, tutto è più complicato

By L'Espresso -  Settimo Cielo
Sandro Magister

Dialogo fraterno tra tutte le religioni e porte aperte agli immigrati di qualsiasi fede. Sono queste le due vie maestre della geopolitica religiosa del pontificato di Jorge Mario Bergoglio.
La prima è stata messa alla prova col viaggio del papa in Iraq, dal 5 all’8 marzo. E ha avuto i suoi momenti culminanti nella visita di Francesco al grande ayatollah sciita Al-Sistani e nell’incontro a Ur tra “i figli di Abramo.” 
A Ur mancavano però gli ebrei, per un veto dei regimi musulmani di Baghdad e Teheran. E nonostante ciò nei paesi arabi, in Iran, in Turchia i giudizi sul viaggio del papa sono stati per lo più negativi, per ragioni legate sia alla storica contrapposizione tra sunniti e sciiti, sia alla divisione in campo sunnita tra le correnti di Al-Azhar e dei Fratelli Musulmani e in campo sciita tra la teocrazia di Khomeini e il “quietismo” di Al-Sistani, con Francesco accusato di aver preso parte per gli uni contro gli altri.
Una formulazione molto argomentata di queste critiche può essere letta, in traduzione inglese, in questo saggio del professor Ozcam Hidir dell’Università Sabahattin Zaim di Istanbul, specialista dell’islam e delle relazioni con l’ebraismo e il cristianesimo: Analysis. Theo-politics of Pope’s visit to Iraq
Ma anche la seconda via maestra della geopolitica religiosa di Francesco, quella dell’accoglienza e integrazione degli immigrati, in particolare di quelli di fede musulmana in Europa, è in seria difficoltà.
Il punto dolente non è tanto l’accoglienza, di cui Francesco è predicatore instancabile, ma l’integrazione, che è in larga misura carente o fallita, per colpa di errate politiche e prima ancora di una distorta comprensione delle reali sensibilità e attese dei musulmani immigrati in Europa, senza contare la totale assenza di una loro (neppure tentata) evangelizzazione.
Un’acuta analisi di questa fallita integrazione – sulla base anche di una ricerca sul campo – è stata pubblicata da uno studioso musulmano egiziano che vive in Italia, Wael Farouq, sull’ultimo numero di “Vita e Pensiero”, la rivista dell’Università Cattolica di Milano.
Farouq è professore di lingua e cultura araba in questa università, ma ha anche insegnato alla New York University e all’American University del Cairo. Nel 2017 Settimo Cielo ha dato rilievo a una sua schietta denuncia del legame essenziale tra il terrorismo islamico e “una precisa dottrina” dello stesso islam:
Anche sul finire di quest’altro suo articolo – che è qui riprodotto nei suoi passaggi essenziali – Farouq ribadisce il nesso tra il terrorismo e “i testi sacri dell’islam”. Ma la parte maggiore della sua analisi è proprio sulla questione dell’integrazione, lontana dall’essere risolta per le ragioni che egli individua e spiega.
A lui la parola.

MUSULMANI IN EUROPA. CI VUOL ALTRO CHE VIETARE IL VELO
di Wael Farouq

Nelle società arabo-islamiche la modernità ha instaurato un rapporto complesso con la tradizione. Esse sono riuscite ad adattarsi l’una all’altra e al tempo stesso a sottomettersi a vicenda. […] Ne sono esempio stili di vita, opinioni e comportamenti pubblici che non possono essere descritti né come tradizionali né come moderni, ma sono una miscela distorta di entrambi. In sintesi, si può dire che la modernità ha sviluppato gli elementi rigidi e irrazionali della tradizione, mentre la tradizione ha sviluppato gli aspetti formali, non autentici della modernità. […]
Hanno una responsabilità, tuttavia, anche i fallimenti dei modelli di integrazione europei, evidenti oggi nell’esistenza, in tutte le metropoli d’Europa, di “società parallele” in cui vivono gli immigrati musulmani; risultato forse di quel che Benedetto XVI ha descritto come “pluralismo negativo”, secondo il quale per il dialogo e la convivenza sarebbe necessario superare le differenze e le disparità che distinguono una cultura dall’altra. […]
La Francia, per esempio, vieta l’esposizione di simboli religiosi negli spazi pubblici. Il problema qui è l’integrazione per “sottrazione”: per lottare contro l’esclusione del diverso, si sceglie di escludere la differenza. Ma quando l’esperienza religiosa è uno degli elementi più importanti dell’identità, l’esclusione della differenza diventa di fatto esclusione della persona, e saranno l’adattamento o la chiusura nella propria comunità religiosa, non l’interazione, a segnare il rapporto degli immigrati con la società. […]
Le domande che i musulmani immigrati in Europa si pongono sul rapporto tra la propria fede e la cultura occidentale, insieme alle conseguenti risposte, costituiscono ciò che tecnicamente si chiama “fatwa” e sono oggi pubblicamente disponibili su molti siti web che, in Europa, hanno preso il posto delle autorità religiose islamiche. Nel mio libro “Conflicting Arab Identities. Language, Tradition and Modernity” (Milano-Baghdad, Muta, 2018) ho analizzato un campione di circa mille domande poste da musulmani europei, indagando in quali modi la complessa interazione fra tradizione e modernità in azione nel mondo arabo-islamico si sia trasportata nel contesto occidentale.
Il risultato più importante di questo studio è che le preoccupazioni e le speranze dei musulmani in Europa sono lontane dai temi normalmente sotto i riflettori dei mass media, ad esempio il velo, i simboli religiosi nello spazio pubblico o la costruzione di moschee. Tali questioni attirano un interesse marginale tra i musulmani residenti in Europa, risultato ancor più significativo se si considera che coloro che chiedono una “fatwa” sono le persone più religiose fra loro.
Ciò che veramente interessa ai musulmani europei è il rapporto con gli altri, musulmani e non. Quest’ultimo argomento costituisce il 45 per cento delle domande. Sono tutte domande personali, che riguardano gli individui e raramente toccano questioni pubbliche. Se aggiungiamo le domande sugli atti di culto – cioè sul rapporto personale con Dio – la percentuale sale al 63 per cento. Tale dato porta alla conclusione che questi musulmani si preoccupano principalmente di come inserirsi nelle società europee in qualità di individui, non come comunità o minoranza religiosa. I musulmani più religiosi d’Europa – quelli che si danno la pena di chiedere una fatwā – si sforzano di adattarsi alla società, non cercano di opporvisi formando un campo antagonista, né sembrano disposti a rinchiudersi nella loro comunità religiosa.
Tuttavia, si delinea anche con chiarezza la […] già citata mescolanza di tradizione irrigidita e modernità distorta. Il principale motore delle domande di questi musulmani è la paura di infrangere le “regole” e commettere peccato. Sembra che i musulmani non si preoccupino più di sapere cosa è bene e cosa è male, perché ci sono le “regole”: seguirle esonera dal porsi domande pericolose che potrebbero allontanare dalla religione. […]
Le contraddizioni della finta modernità arabo-islamica, dunque, diventano ancora più complesse nel caso dei musulmani immigrati in Europa, dove devono confrontarsi con una crisi di identità e di produzione di significato di acutezza pari a quella nelle proprie società d’origine. […]
Come interpretare, allora, il terrorismo islamico alla luce di queste considerazioni? In realtà si nota che negli attacchi terroristici sono sempre coinvolti due tipi di musulmani: quelli integrati e quelli non integrati. Nell’attacco di Vienna del 2 novembre 2020 c’erano l’attentatore, ma anche tre musulmani, due turchi e un palestinese, che hanno aiutato la polizia e salvato la vita a un poliziotto. Fra le vittime della strage a “Charlie Hebdo” c’era anche un poliziotto musulmano.
Gli ultimi attacchi in Francia e Austria, come molti altri attentati negli ultimi anni, sono stati eseguiti da jihadisti già noti alla polizia che avevano preso parte a programmi di deradicalizzazione e reintegrazione nella società. Ma questi programmi hanno fallito con la maggior parte dei jihadisti, ed è impossibile che possano avere successo, a meno che l’Europa non abbandoni la tendenza politica suicida di ignorare le vere cause di questo tipo di terrorismo, cioè l’ideologia religiosa che ne sta alla base: in altre parole, la lettura che i jihadisti fanno dei testi sacri dell’islam, propagandata in piena libertà da predicatori e associazioni (che condannano la violenza e non vi sono coinvolti).
Il problema non sta nella mano che regge il coltello, ma nel discorso ideologico che le offre la motivazione e la giustificazione di usarlo per assassinare gli altri.

La fratellanza e la diversità sono la base umana e morale fondamentale per la convivenza

5 aprile 2021
(Nella ricorrenza di un mese dopo la visita del Papa Francesco in Iraq 5-8 Marzo 2021)

Quattro proposte pratiche
Oggi, 5 aprile, ricorre un mese dalla visita del Papa Francesco in Iraq: “chiedo a Dio che consoli i cuori e guarisca le ferite”, come disse alcuni giorni prima della sua visita. Durante la sua visita ripeté con forza la frase: “Taccia la voce delle armi, e regni la pace”. Questa visita è un’ottima opportunità che gli iracheni devono sfruttare per ritornare, con tutte le loro confessioni e religioni, a se stessi e al loro patriottismo, assumendosi la responsabilità di voltare pagina sul passato e aprendo una nuova pagina per riconciliazione, rafforzare la fratellanza tra di loro, rispettare la diversità, stabilire la pace, ricostruire il paese, facendo rivivere le sue istituzioni fatiscenti, facendo ritornare gli sfollati alle loro regioni e case, in modo che i cittadini godano la pace e la vita dignitosa come tutti gli esseri umani.
La fratellanza umana è sorgente di forza e di completamento
Papa Francesco ha sottolineato in tutte le soste della sua visita la fratellanza e la diversità; è questo il tema principale della Lettera enciclica “Fratelli tutti”, così come del “Documento sulla fratellanza umana” firmato con il Grande Imam di Al-Azhar, Ahmad al-Tayyib a Abu Dhabi, appoggiato dall’autorità suprema Sua Eccellenza Ali al-Sistani con la sua frase incisiva: “Voi siete parte di noi e noi parte di voi”.
La fratellanza umana è l’obiettivo di tutte le società e religioni, e dovrebbe essere un punto chiave per rifiutare l’estremismo e l’odio, cambiare la nostra visione e il nostro pensiero, costruire la fiducia tra di noi in modo da poter andare avanti insieme come fratelli e sorelle con tolleranza, amore e rispetto per la diversità e costruire un mondo più pacifico, più giusto, più dignitoso. L’aiuto vicendevole infatti apre la porta del futuro.
La fratellanza nazionale è la base della convivenza Gli iracheni, per principio e per costituzione, sono cittadini pienamente uguali di diritti e doveri, e la cittadinanza non può limitarsi alla religione, al credo, alla regione, alla razza o al numero. La cittadinanza è un diritto universale per tutti. Dobbiamo scoprire nuovi orizzonti per i nostri fratelli concittadini, in modo che tutti sentano che l’Iraq è la loro casa. Forse è il momento di separare la religione dallo stato e costruire uno stato civile, come ha fatto l’occidente cristiano da molto tempo, e come sta facendo lo stato del Sudan in questi giorni! uno stato civile o secolare non è ostile alla religione, ma rispetta piuttosto tutte le religioni, ma non include la religione nella politica. Penso che questa sia la garanzia della coesistenza, “la religione riguarda Dio e la nazione riguarda tutti”. Uno stato civile che garantisca la libertà di religione e di culto per tutti gli iracheni in modo uguale e protegga i diritti umani contenuti in tutti i trattati internazionali.
La fratellanza spirituale è la via verso Do e verso l’uomo
Papa Francesco, nella sua visita in Iraq, ha voluto fare, con i responsabili religiosi iracheni, un passo verso la fratellanza spirituale tra i fedeli, quando ha incontrato Sua Eccellenza Ali al-Sistani e ha visitato la città di Ur, la terra di Abramo, incontrando i rappresentanti delle religioni abramitiche in Iraq. Queste tre religioni si basano sul carattere divino dei loro Libri Sacri e si riferiscono ad Abramo. Gli esseri umani sono figli di Dio, fratelli e sorelle, l’uno con l’altro. La fede è una garanzia della loro diversità, della loro libertà e dei loro diritti. Riguardo a questo, il Corano dice: “Non sei tu che dirigi chi ti piace, bensì è Dio che guida chi vuole, ed Egli meglio conosce chi si lascia guidare” (Sura del racconto, 56). Non c’è alcun problema in ogni individuo a seguire la sua religione e le sue tradizioni, a condizione che rispetti la religione dell’altro fratello, non lo tratti da miscredente, o lo tradisca, o lo escluda o lo elimini. Questa diversità deriva dal volere di Dio.
Papa Francesco ha detto a Ur: “È ferma convinzione che i veri insegnamenti delle religioni invitano a restare ancorati ai valori della pace, della reciproca conoscenza, della fratellanza umana e della convivenza comune”; inoltre “il nome di Dio non può essere usato per giustificare atti di omicidio, di esilio, di terrorismo e di oppressione” (discorso alle autorità nel palazzo presidenziale); e sulle rovine delle quattro chiese e delle case distrutte a Housh al-bi’ah, al centro di Mosul, il Papa alzò la voce: “Se Dio è il Dio della vita – e lo è –, a noi non è lecito uccidere i fratelli nel suo nome. Se Dio è il Dio della pace – e lo è –, a noi non è lecito fare la guerra nel suo nome. Se Dio è il Dio dell’amore – e lo è –, a noi non è lecito odiare i fratelli…Si fermi la violenza in nome di Dio”. Un cardinale italiano mi ha scritto: “ che gioia la visita! Davvero un piccolo pezzo di paradiso dopo tanto inferno”.
Purtroppo, alcuni hanno capito che il Papa ha invitato a sciogliere le religioni in un’unica religione. Non è affatto vero. La fratellanza non significa sciogliere l’identità religiosa in un’unica religione, ma è un invito a ciascuno di preservare la propria religione e la propria convinzione, però aprendosi e rispettando la religione del proprio fratello. La fratellanza e la diversità sono la forza della nostra sopravvivenza e del nostro progresso, dobbiamo viverle in pratiche quotidiane concrete, soprattutto da quando il mondo ha iniziato dal 2011 a celebrare la Giornata mondiale della fratellanza umana nella prima settimana di febbraio e dal 2021 il 4 febbraio, la Giornata Internazionale della Fratellanza Umana, e il Primo Ministro iracheno Mustafa Al-Kadhimi ha dichiarato il sei marzo di ogni anno un giorno per la tolleranza. Non dobbiamo disperare di fronte ad alcuni ostacoli, a correnti estremiste e idee sbagliate, o arrenderci davanti alla divisione, ma dobbiamo perseverare nel rafforzare la fratellanza e il rispetto della diversità e lavorare in modo che tutti possano godere del bene e della giustizia e vivere con gioia e felicità come Dio vuole.

Quattro proposte pratiche:
Costruire programmi educativi e didattici in modo da rafforzare la fratellanza tra gli iracheni e rafforzare la loro unità nazionale.
Organizzare eventi di sensibilizzazione per gli iracheni sulla loro diversità attraverso seminari, conferenze e programmi televisivi tra civiltà, culture e religioni al fine di mostrare i punti in comune, approfondirli e rispettare le particolarità diverse. Ciò che ci unisce è molto più di ciò che ci divide.
Creare un centro nazionale che comprenda aule e una biblioteca specializzata nei temi del dialogo interreligioso, e contribuisca a smantellare il fenomeno del fanatismo e a prevenire i giovani dall’aderirvi
Attivare il codice penale iracheno n. 111 del 1969 e i suoi articoli, che obbligano a proteggere i luoghi santi, prevenire l’offesa alle religioni e ai loro simboli e punire l’aggressore.
Siamo certi che l’umanità avanzerà grazie alle tante persone di buona volontà che si donano senza restrizioni, anche in un tempo di difficoltà e di incertezza, per diffondere la cultura della fratellanza e del rispetto del bene comune. Atteniamoci ai segni della speranza.