"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."

Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014

26 marzo 2019

Un ponte di amicizia tra Italia e Iraq. Intervista al Card. Sako


Un ponte di amicizia tra Italia e Iraq
Con la settima edizione del Premio San Zosimo I quest’ anno l’Associazione Reatium ha veramente superato i confini. Infatti la statuetta rappresentante il romano pontefice che fu Papa tra il 417 e 418 è stata consegnata nelle mani del cardinale Louis Raphael Sako Patriarca dei Caldei di Babilonia e arcieparca metropolita di Babilonia. L’effige quasi a ripercorre le strade delle prime evangelizzazioni dell’oriente sarà in Iraq dove il Cardinale, sono le sue parole, la custodirà come segno di pace e di amore. Due parole che l’illustre ospite ha più volte ripetuto sia al momento della consegna del premio che nell’omelia della messa solenne di domenica 17 marzo.
Arrivato in parrocchia venerdì 15 con il suo Vicario e vescovo ausiliario, ha presieduto la via Crucis dedicandola ai cristiani perseguitati in Oriente e commentata da gruppi parrocchiali. Ma il momento più toccante è stato sabato sera quando, dopo il benvenuto del Sindaco, il saluto dell’assessore alla cultura, l’intervento del presidente Stefano Cropanese con la lettura della motivazione del premio, l’opera scultorea di Carlo Cistaro è passata dalle mani di don Aurelio Pagani a quelle del Patriarca che l’ha accolta baciandola. Il battimani che ne è seguito, ripetutosi alle parole di ringraziamento di Sua Beatitudine è stato la
dimostrazione di come la comunità abbia apprezzato questa apertura di amore verso quei nostri fratelli che ancora sono perseguitati. Hanno resa vivace la cerimonia il coro “Voci bianche sul Ceresio”, quello polifonico “di Giorgio Quaglia” e la violinista Carpengo. I gruppi hanno chiuso la serata con simposio assieme ai due ospiti. Domenica 17 è stato sempre il
cardinale Sako al centro della concelebrazione Eucaristica, animata dal coro polifonico locale e dall’organista Matteo Marelli.
Ancora una volta ringraziando per l’accoglienza riservatagli ha salutato tutti dicendo che porterà nel cuore questi giorni come testimonianza di fede e di speranza.
Ni. Sa.

 
INTERVISTA AL CARDINAL SAKO
Michele Luppi

«Guardate ai martiri iracheni e non abbiate vergogna di essere cristiani»

“Fin dal suo primo arrivo tra di noi, dalle sue parole e, ancora più, dai suoi occhi, abbiamo capito come ci trovassimo di fronte ad
una persone che ha pianto tanto, ha tanto sofferto. Abbiamo toccato con mano cosa vuol dire essere una Chiesa perseguitata”.Così don Aurelio Pagani, parroco della Comunità dei Quattro Evangelisti di Lavena Ponte Tresa, descrive l’incontro con il patriarca della Chiesa caldea, card. Louis Raphael Sako, arrivato a Lavena Ponte Tresa alla fine della scorsa settimana per ritirare il premio San Zosimo I.
Approfittando di questa visita, la prima del cardinale
in Diocesi di Como, e grazie alla sua grande disponibilità, abbiamo raggiunto il patriarca sulle rive del Ceresio per farci raccontare, dalla viva voce di un testimone, travagli e speranze della Chiesa irachena.

Eminenza, partiamo dalla cronaca recente e dalle notizie che arrivano da Siria e Iraq. Possiamo dire che l’Isis è davvero
sconfitto?

“È stato sconfitto militarmente, ma la sua minaccia è ancora molto forte. Oggi realtà come l’Isis e Al-Qaeda non hanno potere
militare, ma come pensiero sono ancora molto diffusi e continueranno ad esserlo fino a quando non saranno estirpate le radici: da una parte il materialismo e certi atteggiamenti dell’Occidente (il riferimento è all’invasione dell’Iraq del 2003 ndr), a cui certe ideologie si oppongono, dall’altro la corruzione dei regimi in Medio Oriente e la povertà e mancanza di prospettive in cui molti giovani sono costretti a vivere”.

Durante la visita ad Abu Dhabi è stata firmata dal Santo Padre e dal grande Imam di Al Azhar, Sheikh Ahmed al Tayyeb,
una dichiarazione congiunta sulla Fratellanza universale in cui vi è stata una condanna unanime della violenza. Come è stata accolta da voi questa firma?

“Molto positivamente sia dai cristiani che dai musulmani, vittime essi stessi di un’ideologia che ha distrutto l’immagine della loro
religione. È stato ribadito con forza come il fondamentalismo non abbia futuro: solo il dialogo civile, responsabile, può risolvere i
problemi tra gli uomini. Ma ad Abu Dhabi non c’è stata solo la dichiarazione congiunta; mi piace ricordare la messa celebrata dal Papa e seguita da milioni di musulmani. Per loro questa è stata un’occasione per conoscere come i cristiani pregano, scoprirne la liturgia – gli inni, le preghiere, le letture – una sinfonia di cui non avevano idea”.

Crede che questo sia stato più importante della dichiarazione stessa?

“Sì, perché da parte dei musulmani ci sono spesso sospetti nei confronti dei cristiani e questa visita li ha spazzati via, dando loro
una vera conoscenza della nostra liturgia”.

Nella dichiarazione si afferma che nessuna religione debba considerarsi minoranza. Cosa significa per voi?

“Significa che i cristiani non devono essere discriminati in Medio Oriente. Siamo nella nostra terra da prima dell’arrivo dell’Islam
per questo non possiamo essere considerati cittadini di seconda classe. Dobbiamo avere gli stessi diritti e doveri di tutti. Per questo crediamo nella necessità di fondare uno stato sulla cittadinanza, non sulla religione. La religione è un fatto personale tra il credente e il suo Dio, non deve entrare nella gestione della società”.

In che cosa i cristiani sono discriminati?

“I nostri fratelli musulmani pensano che la loro religione sia la prima religione, vera e completa e le altre siano di seconda classe.

Questo non si può fare, questo è sbagliato. Ripeto sempre: se vogliamo un futuro migliore per tutti dobbiamo avere un regime civile che rispetta i valori religiosi di tutti ma che è basato sulla cittadinanza e uguaglianza di tutti i cittadini.”

Lei è stato tra i primi rappresentanti religiosi a tornare a Mosul dopo la caduta dell’Isis. Cosa ha provato?

“Sono tornato quattro volte dopo la liberazione, sia a Mosul che nei villaggi della Piana di Ninive. A Mosul ho trovato da parte dei
musulmani, soprattutto giovani, una forte reazione contro l’Isis. E’ stato proprio un gruppo di giovani musulmani a preparare una chiesa rovinata – tutte le chiese di Mosul sono state danneggiate dall’Isis, alcune anche del 5° secolo - perché potessi celebrare la messa di Natale (2017 ndr). Stanno nascendo tante attività tra giovani cristiani e musulmani. In città oggi ci sono cento famiglie già rientrate ed è stato eletto vescovo caldeo il padre domenicano Najib Mikhael Moussa che si muove tra la città e i villaggi della Piana di Ninive. Purtroppo l’attacco contro l’Isis in Siria ha portato alcuni membri del gruppo a tornare in Iraq e la gente ha paura, ma si cerca di tornare alla normalità”.

Come procede la ricostruzione dei villaggi cristiani della Piana di Ninive (a cui anche la nostra diocesi ha dato un
piccolo contributo la scorsa quaresima grazie ad ‘Aiuto alla Chiesa che soffre’ ndr)

“Sedicimila famiglie sono già rientrate nei villaggi e molte case e servizi (scuole, chiese ecc) sono state restaurate, grazie al
sostegno di tanti donatori. Per questo devo ringraziare di cuore tanti fratelli cardinali, vescovi e laici di ogni parte del mondo. Oggi però ci vuole un appoggio ancora più forte per aiutare i cristiani a continuare la loro vita, dando il loro contributo ad un Iraq migliore”.

Tanti cristiani continuano però ad emigrare…

“Tante famiglie sono spaccate tra chi vive in Iraq e chi è già andato all’estero. E questa è un’attrazione forte per chi resta qui.

Abbiamo sofferto molto come cristiani, ma siamo convinti che abbiamo una vocazione e anche una missione. Non possiamo dimenticarlo, non siamo in Iraq per azzardo, queste sofferenze hanno un senso e un valore.

C’è stata una storia di martirio che l’ha colpita particolarmente?

“Sono tante: dal 2003 ad oggi abbiamo avuto 1225 martiri cristiani. Penso al vescovo di Mosul Faraj Rahho, ucciso nel 2008. Ma
vorrei ricordare soprattutto le famiglie della Piana di Ninive costrette a fuggire dalle loro casa in una notte, senza poter portare nulla cosa sé, nemmeno i documenti. Potevano rinnegare la loro fede e restare. Hanno scelto di lasciare tutto”.

Quali sono oggi le sfide della Chiesa irachena?

“La più grande è tenere questi cristiani sul posto e incoraggiare gli altri a tornare. Ma c’è anche un’attività molto positiva per il
dialogo islamo-cristiano con sunniti e sciiti: c’è un’intesa perfetta fra noi, per preparare un terreno appropriato per una vera e pacifica convivenza”.

Come vede il futuro dell’Iraq?

“C’è una reazione quasi totale contro tuto ciò che abbiamo vissuto dal 2003 fino ad ora e c’è una volontà per il cambiamento.

Anche le autorità mussulmane parlano di un regime civile e condannano violenza e corruzione. Il momento è giusto ma tutti devono lavorare insieme”.

Guardando al Medio Oriente siete preoccupati per le tensioni ancora presenti?
“Siamo preoccupati per i grandi interessi che stanno dietro il commercio delle armi e del petrolio, questo è il guaio. L’Occidente deve intervenire per aiutare questi Paesi ad avere regimi democratici, aperti, non solo per perseguire i propri interessi economici”.
Crede che noi cittadini europei dovremmo fare di più..

“I cristiani non devono avere vergogna di dire che sono cristiani. La secolarizzazione non deve banalizzare i valori religiosi e
morali; questo è il più grande pericolo dell’Occidente, la perdita dei valori spirituali, per far posto solo all’economia. L’invito è a
guardare l’esempio dei cristiani del Medio Oriente che hanno pagato caro la loro fedeltà, fino a offrire il sangue dei loro martiri”.