By SIR
Una casula “made by Iraqi girls”, realizzata con gli scarti del loro piccolo laboratorio sartoriale e regalata a Papa Francesco perché la indossi in una delle sue celebrazioni ma soprattutto a Cracovia, durante la Gmg di luglio. A cucirla 18 ragazze irachene di fede cristiana, molte da Mosul, rifugiate ad Amman in Giordania, dopo che lo Stato Islamico le ha costrette a fuggire.Giovani donne “scartate da uomini malvagi, l’Isis, che ci hanno cacciato dalla nostra terra. Costrette a lasciare il nostro Paese senza sapere niente del nostro futuro e di quello che ci aspettava dato che la nostra vita era esposta al pericolo” scrivono in una struggente lettera indirizzata al Papa – e firmata “le tue figlie…” – per accompagnare il loro dono, frutto di tanto lavoro. “Abbiamo dovuto salvare le nostre vite perché questa era l’unica decisione che potevamo prendere dato che l’Isis poneva ai cristiani tre possibilità; rinnegare la nostra fede e convertirci all’Islam; pagare una tassa per restare; morire. Abbiamo lasciato tutti i nostri averi per salvare la nostra vita e la nostra fede. Abbiamo scelto di seguire il Cristo in cui crediamo, quel Cristo che non ci ha mai abbandonato, e ci ha dato la forza per sopportare le difficoltà finché siamo arrivate in Giordania”.
Oggi, nel Regno hashemita, le giovani vivono “più sicure” ma “senza nessun diritto perché – dicono – siamo rifugiate”.
Senza permesso per lavorare, senza la possibilità di proseguire gli studi perché il Ministero dell’Educazione giordano non riconosce l’ordinamento universitario iracheno. “Ma la misericordia di Dio è grande” scrivono nella lettera dove raccontano al Papa del loro laboratorio di sartoria, un progetto nato all’impegno di un sacerdote italiano, don Mario Cornioli, del Patriarcato latino di Gerusalemme, da lungo tempo in prima linea nell’accoglienza e nell’assistenza dei rifugiati iracheni e siriani in Amman, insieme alla Nunziatura apostolica di Iraq e Giordania, alla Chiesa caldea, al parroco padre Zaid Habbaba e del suo collaboratore Nameer Anton, alle suore salesiane della capitale giordana e a diverse volontarie italiane.
Sono state proprio quest’ultime a insegnare alle giovani irachene a tagliare e cucire le tradizionali stoffe orientali, molto colorate. Da questo progetto, denominato “Rafidin”, ovvero “i due fiumi”, termine usato comunemente per indicare il Tigri e l’Eufrate, i due corsi d’acqua dell’Iraq, è nato un piccolo atelier e una griffe, “Made by Iraqi girls”, ben visibile sulla targhetta bianca che accompagna ogni modello e dove risaltano i colori dell’Iraq.
Gonne, vestiti, piccole giacche e maglie confezionate con creatività dopo essersi scoperte abili sarte. I capi, lanciati attraverso i social network, stanno ottenendo grande successo per la loro combinazione di colori e trame della tradizione mediorientale con i modelli di abiti di gusto occidentale.
Un lavoro per ricucire la trama di una speranza distrutta dalla violenza della guerra e dello Stato islamico, per tornare a vivere e a sognare un futuro sereno.
Senza permesso per lavorare, senza la possibilità di proseguire gli studi perché il Ministero dell’Educazione giordano non riconosce l’ordinamento universitario iracheno. “Ma la misericordia di Dio è grande” scrivono nella lettera dove raccontano al Papa del loro laboratorio di sartoria, un progetto nato all’impegno di un sacerdote italiano, don Mario Cornioli, del Patriarcato latino di Gerusalemme, da lungo tempo in prima linea nell’accoglienza e nell’assistenza dei rifugiati iracheni e siriani in Amman, insieme alla Nunziatura apostolica di Iraq e Giordania, alla Chiesa caldea, al parroco padre Zaid Habbaba e del suo collaboratore Nameer Anton, alle suore salesiane della capitale giordana e a diverse volontarie italiane.
Sono state proprio quest’ultime a insegnare alle giovani irachene a tagliare e cucire le tradizionali stoffe orientali, molto colorate. Da questo progetto, denominato “Rafidin”, ovvero “i due fiumi”, termine usato comunemente per indicare il Tigri e l’Eufrate, i due corsi d’acqua dell’Iraq, è nato un piccolo atelier e una griffe, “Made by Iraqi girls”, ben visibile sulla targhetta bianca che accompagna ogni modello e dove risaltano i colori dell’Iraq.
Gonne, vestiti, piccole giacche e maglie confezionate con creatività dopo essersi scoperte abili sarte. I capi, lanciati attraverso i social network, stanno ottenendo grande successo per la loro combinazione di colori e trame della tradizione mediorientale con i modelli di abiti di gusto occidentale.
Un lavoro per ricucire la trama di una speranza distrutta dalla violenza della guerra e dello Stato islamico, per tornare a vivere e a sognare un futuro sereno.
E proprio in questo laboratorio hanno cucito, usando scarti di lavorazione, la casula donata a Papa Francesco. Un modo semplice per ringraziare il Pontefice per la sua testimonianza e per rivolgergli una richiesta: “speriamo di poterti incontrare a Cracovia durante la Gmg per avere la tua benedizione”.
Un sogno che rischia di essere vanificato da un ostacolo forse insormontabile: “siamo rifugiate in Giordania e se usciamo non possiamo avere il visto per rientrare in Giordania. Santo Padre – è l’appello contenuto nella lettera – solo tu ci puoi aiutare”.Anche “dagli scarti tante volte può nascere una cosa bella e utile per dare gloria a Dio”
Un sogno che rischia di essere vanificato da un ostacolo forse insormontabile: “siamo rifugiate in Giordania e se usciamo non possiamo avere il visto per rientrare in Giordania. Santo Padre – è l’appello contenuto nella lettera – solo tu ci puoi aiutare”.Anche “dagli scarti tante volte può nascere una cosa bella e utile per dare gloria a Dio”
e magari trasformare un sogno in realtà. Cracovia aspetta…