By SIR
by Daniele Rocchi
L’ultimo fatto di violenza risale al 15 dicembre: una
presentatrice della televisione irachena, Nawras al-Nuaimi, è stata
assassinata nei pressi della propria abitazione. Stessa sorte pochi
giorni fa è toccata ad un giornalista cristiano. Mentre alla fine di
ottobre un’autobomba è esplosa contro un gruppo di soldati uccidendone
14. In questo clima di sangue la piccola comunità cristiana di Mossul,
città dell’Iraq settentrionale di oltre 1 milione e 400mila abitanti, si
appresta a vivere il Natale.
Mossul: impauriti ma non sconfitti. “Ormai da qualche mese la situazione in città si è deteriorata - racconta monsignor Amel Shimon Nona, arcivescovo caldeo di Mosul - siamo tornati al clima di paura e di insicurezza del 2005 e degli anni seguenti. Abbiamo paura ma cercheremo comunque di festeggiare il Natale nelle nostre chiese e dentro le case”.
Le divisioni tra i vari gruppi etnici e religiosi si sono acutizzate e queste pesano sulla comunità cristiana che dispone di un’unica arma, la coesistenza pacifica. “Le strade, i negozi non hanno più il colore della festa, le luci sono scomparse - continua l’arcivescovo - il clima che si respira è quello di un cambiamento dovuto al fondamentalismo islamico che si è imposto dopo il 2003. Molte persone sono meno tolleranti rispetto al passato e ciò provoca nei nostri fedeli la paura di non essere più accettati. Oggi siamo guardati con occhi diversi e credo che questo atteggiamento sia più pericoloso delle minacce dirette. Negli ambienti di lavoro, nelle scuole, nelle strade, non c’è più il sentimento di convivenza di prima. Con conseguenze evidenti: prima del 2003 in città vi erano settemila famiglie cristiane, oggi meno di 1.200”. Il Natale diventa allora anche un motivo per riunirsi e rinsaldare vincoli di amicizia e di solidarietà. Ma con prudenza, senza voler troppo apparire. I pericoli di attentati sono dietro l’angolo per i cristiani di Mossul che contano tra le loro fila martiri della fede come monsignor Faraj P. Rahho, rapito nel 2008 e lasciato morire di stenti, e prima ancora, nel 2007, il sacerdote Ragheed Ganni, ucciso a sangue freddo assieme a tre suddiaconi che erano con lui, Basman Yousef Daud, Wahid Hanna Isho, Gassan Isam Bidawed.
“Da anni ormai non celebriamo la Messa di Mezzanotte, anticipata al pomeriggio per motivi di sicurezza. Il giorno 25 terremo una celebrazione al mattino. Abbiamo pensato ad un momento di festa per i bambini e per le famiglie, ma non in città. Troppo pericoloso”. Nonostante le difficoltà i cristiani di Mossul si ritroveranno intorno al presepe per “chiedere la riconciliazione nel Paese, una vera e sincera apertura all’altro, che sia fonte di rispetto e di diritto”. E non mancano gli scambi dei doni: “Abbiamo fatto una raccolta per i poveri della città e in questi giorni li stiamo distribuendo. La speranza e la solidarietà non sono state ancora sconfitte”.
Guardando al futuro: i bambini. Dall’estate del 2012 Aleppo è una città contesa. Da una parte i ribelli, dall’altra l’esercito governativo. In mezzo la popolazione allo stremo, bisognosa di tutto specie ora che si trova sotto il freddo pungente e sotto le bombe. Come quelle cadute domenica 15 dicembre sui quartieri controllati dai ribelli: 83 le vittime, tra cui molti bambini, secondo attivisti locali. “Una strage impressionante che macchia la festa del Natale, ormai vicina - dice con tono sommesso l’arcivescovo melchita di Aleppo, monsignor Jean-Clement Jeanbart - cerchiamo di fare il possibile per infondere speranza alla gente perché goda di quella gioia che la nascita di Gesù riesce a trasmettere. Ma non è facile”. Mentre nelle zone periferiche della città si combatte duramente a colpi di artiglieria in quelle più centrali la gente si muove di più e cerca di rimediare il necessario per vivere. Non solo materialmente. “I nostri fedeli vengono in chiesa a cercare conforto spirituale. Per Natale ci aspettiamo molta affluenza - dichiara l’arcivescovo - per questo motivo verrà raddoppiata la sicurezza. Le comunità cristiane - spiega - in questi giorni potrebbero diventare obiettivi di attentati terroristici. Pregheremo per la pace e per i nostri fratelli di Maaloula, dove la situazione è drammatica. Per i vescovi, sacerdoti e monache in mano ai rapitori. Non sappiamo cosa sta accadendo nel villaggio. Le ultime notizie risalgono a pochi giorni fa, poi più nulla”. Per il presule “è difficile comprendere le ragioni di così tanta violenza. Ma questo non deve impedirci di guardare con speranza al futuro. Il nostro futuro sono i bambini per i quali stiamo preparando delle feste e le loro madri, spesso dimenticate. Sono loro che si danno da fare per ridare senso e dignità alle famiglie più disperate. Gesù, il Bambino - è la preghiera di mons. Jeanbart - possa donarci la pace. Che la conferenza di Ginevra, di gennaio prossimo, possa portare decisioni utili alla pace e riconsegnare la Siria ai siriani”.
Mossul: impauriti ma non sconfitti. “Ormai da qualche mese la situazione in città si è deteriorata - racconta monsignor Amel Shimon Nona, arcivescovo caldeo di Mosul - siamo tornati al clima di paura e di insicurezza del 2005 e degli anni seguenti. Abbiamo paura ma cercheremo comunque di festeggiare il Natale nelle nostre chiese e dentro le case”.
Le divisioni tra i vari gruppi etnici e religiosi si sono acutizzate e queste pesano sulla comunità cristiana che dispone di un’unica arma, la coesistenza pacifica. “Le strade, i negozi non hanno più il colore della festa, le luci sono scomparse - continua l’arcivescovo - il clima che si respira è quello di un cambiamento dovuto al fondamentalismo islamico che si è imposto dopo il 2003. Molte persone sono meno tolleranti rispetto al passato e ciò provoca nei nostri fedeli la paura di non essere più accettati. Oggi siamo guardati con occhi diversi e credo che questo atteggiamento sia più pericoloso delle minacce dirette. Negli ambienti di lavoro, nelle scuole, nelle strade, non c’è più il sentimento di convivenza di prima. Con conseguenze evidenti: prima del 2003 in città vi erano settemila famiglie cristiane, oggi meno di 1.200”. Il Natale diventa allora anche un motivo per riunirsi e rinsaldare vincoli di amicizia e di solidarietà. Ma con prudenza, senza voler troppo apparire. I pericoli di attentati sono dietro l’angolo per i cristiani di Mossul che contano tra le loro fila martiri della fede come monsignor Faraj P. Rahho, rapito nel 2008 e lasciato morire di stenti, e prima ancora, nel 2007, il sacerdote Ragheed Ganni, ucciso a sangue freddo assieme a tre suddiaconi che erano con lui, Basman Yousef Daud, Wahid Hanna Isho, Gassan Isam Bidawed.
“Da anni ormai non celebriamo la Messa di Mezzanotte, anticipata al pomeriggio per motivi di sicurezza. Il giorno 25 terremo una celebrazione al mattino. Abbiamo pensato ad un momento di festa per i bambini e per le famiglie, ma non in città. Troppo pericoloso”. Nonostante le difficoltà i cristiani di Mossul si ritroveranno intorno al presepe per “chiedere la riconciliazione nel Paese, una vera e sincera apertura all’altro, che sia fonte di rispetto e di diritto”. E non mancano gli scambi dei doni: “Abbiamo fatto una raccolta per i poveri della città e in questi giorni li stiamo distribuendo. La speranza e la solidarietà non sono state ancora sconfitte”.
Guardando al futuro: i bambini. Dall’estate del 2012 Aleppo è una città contesa. Da una parte i ribelli, dall’altra l’esercito governativo. In mezzo la popolazione allo stremo, bisognosa di tutto specie ora che si trova sotto il freddo pungente e sotto le bombe. Come quelle cadute domenica 15 dicembre sui quartieri controllati dai ribelli: 83 le vittime, tra cui molti bambini, secondo attivisti locali. “Una strage impressionante che macchia la festa del Natale, ormai vicina - dice con tono sommesso l’arcivescovo melchita di Aleppo, monsignor Jean-Clement Jeanbart - cerchiamo di fare il possibile per infondere speranza alla gente perché goda di quella gioia che la nascita di Gesù riesce a trasmettere. Ma non è facile”. Mentre nelle zone periferiche della città si combatte duramente a colpi di artiglieria in quelle più centrali la gente si muove di più e cerca di rimediare il necessario per vivere. Non solo materialmente. “I nostri fedeli vengono in chiesa a cercare conforto spirituale. Per Natale ci aspettiamo molta affluenza - dichiara l’arcivescovo - per questo motivo verrà raddoppiata la sicurezza. Le comunità cristiane - spiega - in questi giorni potrebbero diventare obiettivi di attentati terroristici. Pregheremo per la pace e per i nostri fratelli di Maaloula, dove la situazione è drammatica. Per i vescovi, sacerdoti e monache in mano ai rapitori. Non sappiamo cosa sta accadendo nel villaggio. Le ultime notizie risalgono a pochi giorni fa, poi più nulla”. Per il presule “è difficile comprendere le ragioni di così tanta violenza. Ma questo non deve impedirci di guardare con speranza al futuro. Il nostro futuro sono i bambini per i quali stiamo preparando delle feste e le loro madri, spesso dimenticate. Sono loro che si danno da fare per ridare senso e dignità alle famiglie più disperate. Gesù, il Bambino - è la preghiera di mons. Jeanbart - possa donarci la pace. Che la conferenza di Ginevra, di gennaio prossimo, possa portare decisioni utili alla pace e riconsegnare la Siria ai siriani”.