Sempre tesa la situazione in Iraq, dove negli ultimi undici mesi hanno perso la vita oltre 8mila persone. Intanto, si è appena concluso il primo pellegrinaggio dell’Opera Romana Pellegrinaggi (Orp) organizzato nel Sud del Paese, in cui la situazione è più tranquilla. Per un bilancio del viaggio, ascoltiamo il vicepresidente dell’Opera romana pellegrinaggi, mons. Liberio Andreatta, al microfono di Antonella Pilia:
Il bilancio di questo pellegrinaggio è estremamente positivo, prima di tutto nei confronti dei cristiani che si sono sentiti meno isolati e hanno avuto finalmente un contatto diretto con pellegrini provenienti dall’Italia, da Roma, tra l’altro con la benedizione di Papa Francesco. Quindi un grande entusiasmo e una grande iniezione di energia e di incoraggiamento per le piccole comunità cristiane. In tutta Nassiriya c’è una sola famiglia di cristiani e in tutta la città di Babilonia sono soltanto cinque: queste persone hanno sentito il calore dei fratelli cristiani che sono venuti a far loro visita. Il secondo obiettivo del viaggio è stato quello di un dialogo, di un incontro: abbiamo avuto una sorprendente accoglienza da parte degli sciiti e dei sunniti. Nell'esperienza di tutti i miei pellegrinaggi nei Paesi musulmani, per la prima volta ho sentito pronunciare le parole “riconciliazione” e “perdono”. Ogni incontro terminava sempre con questa parola, detta da tutti: "Ecco, finalmente possiamo sperare".
Tra i doni benedetti da Papa Francesco e portati in Iraq, c’è anche un lembo della veste che Giovanni Paolo II indossava il giorno dell’attentato…
Sì, esattamente! Un lembo della veste che indossava quel giorno, intrisa di sangue, quasi a significare che il sangue del Papa si è mescolato col sangue dei martiri caduti. Quel reliquiario prezioso lo abbiamo portato a Nassiriya, nella chiesa dei siro-cattolici dove dieci anni fa ebbe luogo la strage di cristiani da parte di un gruppo di terroristi, che ha fatto oltre 30 vittime, tra cui due sacerdoti. Questo reliquiario è un segno che vuole incoraggiare i nostri fratelli cristiani, soprattutto i siro-cattolici.
Da questo pellegrinaggio sono anche scaturiti dei progetti per il futuro?
Sì, noi abbiamo promesso che non li lasceremo soli: torneremo! Cominceremo con piccoli gruppi, soprattutto nel sud dell’Iraq, dove la sicurezza e la tranquillità sono tornate pressoché alla normalità. Cominceremo entrando dalla Giordania, attraverso Bassora e Nassiriya, Url, fino a Karbala e Babilonia, luoghi biblici legati all’Antico Testamento e quindi alla nostra storia sacra. La permanenza sarà di pochi giorni, in modo che iniziamo intanto ad abituare i pellegrini affinché, tornando, possano incoraggiare gli altri e assicurare che c’è sicurezza. E poi anche per dare modo e tempo ai nostri fratelli dell’Iraq di organizzare le infrastrutture che oggi non sono molto all’altezza. Ma la cosa importante è andare con fede!
Lei crede che ci possa essere un futuro di pace per l’Iraq?
Io ne sono certo! Credo che sarà ancora un anno duro e difficile, perché nella primavera del prossimo anno ci saranno le elezioni. Quindi certamente una situazione esplosiva perdurerà, ma sarà soprattutto al Nord dell’Iraq, da Baghdad in su: non potremmo certo andare, ad esempio, a Ninive, un'altra zona straordinaria della storia sacra. Nonostante ciò, il futuro dell’Iraq è sicuramente la pace: io lo credo, ne sono convinto ed è per questo che preghiamo insieme a loro, per loro e con loro, perché la pace arrivi!
Il bilancio di questo pellegrinaggio è estremamente positivo, prima di tutto nei confronti dei cristiani che si sono sentiti meno isolati e hanno avuto finalmente un contatto diretto con pellegrini provenienti dall’Italia, da Roma, tra l’altro con la benedizione di Papa Francesco. Quindi un grande entusiasmo e una grande iniezione di energia e di incoraggiamento per le piccole comunità cristiane. In tutta Nassiriya c’è una sola famiglia di cristiani e in tutta la città di Babilonia sono soltanto cinque: queste persone hanno sentito il calore dei fratelli cristiani che sono venuti a far loro visita. Il secondo obiettivo del viaggio è stato quello di un dialogo, di un incontro: abbiamo avuto una sorprendente accoglienza da parte degli sciiti e dei sunniti. Nell'esperienza di tutti i miei pellegrinaggi nei Paesi musulmani, per la prima volta ho sentito pronunciare le parole “riconciliazione” e “perdono”. Ogni incontro terminava sempre con questa parola, detta da tutti: "Ecco, finalmente possiamo sperare".
Tra i doni benedetti da Papa Francesco e portati in Iraq, c’è anche un lembo della veste che Giovanni Paolo II indossava il giorno dell’attentato…
Sì, esattamente! Un lembo della veste che indossava quel giorno, intrisa di sangue, quasi a significare che il sangue del Papa si è mescolato col sangue dei martiri caduti. Quel reliquiario prezioso lo abbiamo portato a Nassiriya, nella chiesa dei siro-cattolici dove dieci anni fa ebbe luogo la strage di cristiani da parte di un gruppo di terroristi, che ha fatto oltre 30 vittime, tra cui due sacerdoti. Questo reliquiario è un segno che vuole incoraggiare i nostri fratelli cristiani, soprattutto i siro-cattolici.
Da questo pellegrinaggio sono anche scaturiti dei progetti per il futuro?
Sì, noi abbiamo promesso che non li lasceremo soli: torneremo! Cominceremo con piccoli gruppi, soprattutto nel sud dell’Iraq, dove la sicurezza e la tranquillità sono tornate pressoché alla normalità. Cominceremo entrando dalla Giordania, attraverso Bassora e Nassiriya, Url, fino a Karbala e Babilonia, luoghi biblici legati all’Antico Testamento e quindi alla nostra storia sacra. La permanenza sarà di pochi giorni, in modo che iniziamo intanto ad abituare i pellegrini affinché, tornando, possano incoraggiare gli altri e assicurare che c’è sicurezza. E poi anche per dare modo e tempo ai nostri fratelli dell’Iraq di organizzare le infrastrutture che oggi non sono molto all’altezza. Ma la cosa importante è andare con fede!
Lei crede che ci possa essere un futuro di pace per l’Iraq?
Io ne sono certo! Credo che sarà ancora un anno duro e difficile, perché nella primavera del prossimo anno ci saranno le elezioni. Quindi certamente una situazione esplosiva perdurerà, ma sarà soprattutto al Nord dell’Iraq, da Baghdad in su: non potremmo certo andare, ad esempio, a Ninive, un'altra zona straordinaria della storia sacra. Nonostante ciò, il futuro dell’Iraq è sicuramente la pace: io lo credo, ne sono convinto ed è per questo che preghiamo insieme a loro, per loro e con loro, perché la pace arrivi!