"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."

Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014

9 dicembre 2013

Iracheni cristiani nel limbo turco: due volte profughi.

By Baghdadhope*
Fonte della notizia: Iraqi Media Net

Akram Yosef è un profugo speciale perchè doppio. Come centinaia di altri profughi come lui Akram lasciò l'Iraq anni fa quando decise che fosse più importante vivere che rischiare di morire ogni giorno per difendere la casa o l'attività. Dall'Iraq Akram si spostò in Siria, all'epoca il solo paese insieme alla Giordania a non rendere impossibile quella fuga accogliendo migliaia di disperati iracheni e, tra essi, molti, moltissimi cristiani.
Poi però la guerra sembrò inseguire Akram e gli scontri tra il governo di Assad  e coloro che gli si oppongono lo spinsero a fuggire di nuovo: destinazione Turchia.
Ora Akram è tra le centinaia di profughi che ogni giorno aspettano di poter essere ricollocati, sì, ricollocati, proprio come un oggetto, in un paese Europeo, in America o in Australia dall'Alto Commissariato per i Rifugiati delle Nazioni Unite.
"La maggior parte dei rifugiati iracheni sono cristiani che vivevano in Siria" ha dichiarato Akram all'IMN "e che sono stati costretti dalla guerra a fuggire verso la Turchia e verso altri paesi."
Secondo alcune stime le famiglie irachene cristiane che ora vivono in Turchia sarebbero circa 400, e la maggior parte di esse non vuole tornare in Iraq  perchè nonostante un miglioramento generale della sicurezza rispetto ai terribili anni tra il 2005 ed il 2008 essa non è ancora accettabile, e perchè manca il lavoro.
Secondo Samir Atif, ad esempio, che lasciò Baghdad nel 2007 proprio a causa della violenza e di un attacco al negozio di liquori che gestiva nella zona di Camp Sara il ricordo di quell'evento non gli permette di pensare ad un eventuale rientro in patria, e per questa ragione, insieme a molti altri nelle sue condizioni, si appella alle competenti autorità irachene perchè "prestino aiuto a queste persone (in Turchia) aiutandole finanziariamente a superare le difficoltà della vita".
Una vita ben grama che, sebbene con piccoli aiuti da parte delle chiese in Turchia come afferma Leyla Shimoun, è  segnata dalla perenne attesa del sospirato "via libera" verso l'Europa, l'America o l'Australia, da lavori in nero e sottopagati e dall'ansia che sempre accompagna chi vive in un paese che non è il suo senza averne pieno diritto e che stenta ad aiutare i profughi nel timore di doverne accogliere altri.
Eppure gli iracheni cristiani non vogliono lasciare il loro limbo turco tanto che, come afferma Thamer Hanna non c'è segno di un loro ritorno in patria.
Una resistenza che mette a dura prova gli appelli a rimanere in Iraq o a farvi ritorno del Santo Padre e del Patriarca caldeo, Mar Louis Raphael I Sako.