"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."

Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014

25 novembre 2013

Il patriarca di Baghdad: la nostra Chiesa sobria e trasparente

By SIR
by Daniele Rocchi22 novembre 2013

Mar Louis Raphael I Sako, patriarca di Babilonia dei Caldei, dalle parole del Pontefice ha tratto ulteriore forza per continuare l’opera di rinnovamento e di risanamento. Tante decisioni, a partire dal "congelamento" dei beni. Poi la trasformazione del seminario maggiore in appartamenti da assegnare a famiglie bisognose. Maggiore disciplina dei preti che "non devono farsi servire dal popolo"
“Ricercare la giustizia”, tendere ad “uno stile di vita sobrio”, dare “il buon esempio” ai sacerdoti “nelle cose che riguardano Dio, come in ogni altra attività ecclesiale. Ci chiedono trasparenza nella gestione dei beni e sollecitudine verso ogni debolezza e necessità”. Sono le raccomandazioni di Papa Francesco ai patriarchi delle Chiese orientali cattoliche e agli arcivescovi maggiori ricevuti il 21 novembre in Vaticano. Tra loro era presente anche Mar Louis Raphael I Sako, patriarca di Babilonia dei Caldei (Iraq) che dalle parole del Pontefice deve aver tratto ulteriore forza per continuare l’opera di rinnovamento e di risanamento avviata nella Chiesa caldea che guida dal 1 febbraio di quest’anno.
“Il popolo merita una chiesa pulita”. Nel discorso del Pontefice erano presenti diversi riferimenti all’Esortazione “Ecclesia in Medio Oriente” di Benedetto XVI (14 settembre 2012), frutto dell’Assemblea Speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei Vescovi (10-24 ottobre 2010). In modo particolare i punti 39 e 41 in cui si parla della credibilità della testimonianza delle figure del patriarca e del vescovo. A quest’ultimo (punto 44) spetta anche “assicurare una gestione sana, onesta e trasparente dei beni temporali della Chiesa”. Sin dalla sua elezione il patriarca di Baghdad - che per il suo motto patriarcale non a caso ha scelto le parole “Rinnovamento, autenticità e unità” - ha assunto vari provvedimenti, tra cui quello del “congelamento” dei beni della Chiesa con la richiesta ai responsabili delle sue istituzioni di seguire criteri di correttezza e trasparenza in materia finanziaria. Per questo motivo ha formato una commissione di controllo composta da clerici e laici preparati. Una scelta ribadita e spiegata più volte con molta chiarezza: “Purtroppo negli ultimi anni a causa delle precarie condizioni di salute del Patriarca emerito (Mar Emmanuel III Delly, ndr.) non in grado di esercitare il controllo sulle finanze della Chiesa, essa ha subito ingenti perdite che devono essere recuperate. Sono state vendute anche case e proprietà della Chiesa, non si sa dove sono spariti i soldi, e la gente crede che siano finiti nelle tasche di chi gestiva quei beni. Vescovi e preti devono controllare, ma è meglio che l’economo non sia un sacerdote. Noi dobbiamo annunciare il Vangelo, il nostro compito non è fare affari. Le cose economiche lasciamole a laici onesti, che possono fare meglio di noi. È importante che la Chiesa recuperi credibilità e fiducia tra i fedeli. Il popolo iracheno è un popolo generoso che merita una Chiesa pulita e al suo servizio”. In questa prospettiva va letta la decisione di trasformare il seminario maggiore patriarcale di Baghdad in appartamenti da assegnare a famiglie bisognose. Non meno indicativa è la nota diffusa il 7 novembre dal Patriarcato in cui si chiede ai vescovi e ai sacerdoti di redigere testamento per evitare problemi con gli eredi. Una richiesta motivata dalla necessità di tenere distinti i beni personali da quelli della Chiesa.
Servire con umiltà. Il risanamento delle strutture, nell’azione del patriarca di Baghdad, sta andando di pari passo con quello spirituale, come appare evidente da altre decisioni assunte nel corso del sinodo della Chiesa caldea, tenutosi agli inizi di giugno. In quella occasione Mar Sako ha ribadito che i sacerdoti non possono lasciare la propria diocesi senza il consenso del vescovo. Una decisione dovuta al fatto che “molti preti hanno abbandonato l’Iraq di propria iniziativa, senza chiedere niente a nessuno. La famiglia si trasferiva all’estero, e loro andavano con la famiglia. Altri magari avevano problemi col vescovo o col Patriarca, o dicevano di avere paura per la situazione del Paese, e andavano via. Un’anarchia che è segno di decadenza e di disordine spirituale. Abbiamo perso quasi la metà dei preti. Anche tra noi cresce un certo clericalismo, tanti preti si sentono come dei piccoli boss, si sottraggono all’autorità del vescovo e pretendono di farsi servire dai fedeli. Incontrando più volte i preti di Baghdad ho ripetuto che dobbiamo essere al servizio del popolo di Dio e del Vangelo, sacrificarci, e non accampare pretese come piccoli sceicchi”. Analogo richiamo è stato rivolto anche ai sacerdoti caldei in Europa: “Servite con umiltà, dando il buon esempio”. Nella sua seconda lettera al clero caldeo, diffusa il 31 ottobre, Sako ricorda che il compito dei sacerdoti è “essere servi e non principi. La vera dignità, consiste nel servizio e la condizione di sacerdoti non è garanzia di immunità”. Monito che si estende al denaro e ai beni materiali dai quali, avverte il Patriarca, “non dobbiamo farci sedurre”.