By Osservatore Romano
Il tema dell’identità etnica e culturale caldea è al centro del
dibattito della Chiesa cattolica in Iraq. Si avverte, infatti, il
pericolo che le conseguenze di un risorgente nazionalismo si sommino
alla violenza — in particolare l’ultima sanguinosa raffica di attentati —
che divide il Paese. A pochi giorni dall’inizio del sinodo della Chiesa
caldea, previsto per il 5 giugno, il Patriarca, Louis Raphaël I Sako,
ha indirizzato al suo clero una lettera di chiarimenti sulla questione
del nazionalismo caldeo, sulla quale si confrontano il patriarcato — a
favore dell‘unità con le altre Chiese presenti in Iraq — e le due
diocesi caldee degli Stati Uniti da tempo a favore di una netta
divisione in base alla diversa identità nazionale: quella erede
dell’impero caldeo con base a Babilonia e quella erede dell’imp ero
assiro con base a Ninive.
Nel documento, riportato dal sito in rete Baghdadhope, il Patriarca di Babilonia dei Caldei invita il suo clero a «una seria pausa contemplativa che ci permetta di riflettere sulla nostra attuale situazione e di lavorare insieme come una squadra e servire la nostra gente con spirito evangelico senza eccezione». Infatti, «l‘unità è una grande sfida, senza di essa non c’è futuro. Lavoriamo tutti per l’unità della Chiesa d’O riente, perché ogni divisione è un peccato». Il Patriarca descrive la Chiesa caldea come una realtà «ferita» e «dispersa», delineando tra le cause di questa condizione anche la destabilizzazione seguita alla caduta del regime di Saddam, l’esodo dei cristiani e la fuga di alcuni sacerdoti in Occidente.
Quanto ai richiami al nazionalismo caldeo, che a volte suscitano controversie, il Patriarca sottolinea che «non è un difetto amare la propria nazione e esserne orgoglioso. Il difetto consiste nel considerare essa come superiore alle altre, peggio ancora quando qualcuno insulta chi non appartiene alla sua identità nazionale. È successo qualcosa del genere negli ultimi tempi». Si tratta di una deriva nazionalista, che non manca di coinvolgere alcuni siti internet e gruppi di militanti politici, che secondo il Patriarca rischia a volte di oscurare persino la stessa cattolicità della Chiesa caldea. «La Chiesa caldea cattolica è stata e sarà sempre aperta a tutte le nazioni e le lingue perché Cristo l’ha mandata per proclamare il Vangelo ovunque nel mondo. In essa oggi convivono assiri, arabi e curdi, dovremmo trasformarli tutti in caldei? Siamo la Chiesa caldea cattolica, aperta ai cristiani ma anche ai nostri fratelli musulmani e a tutti. Crediamo nell’unità e nel pluralismo, che l’amicizia sia nel cuore della vita divina e che la nostra vita cristiana debba esserne segnata. Noi, clero, non abbandoniamo la nostra missione evangelica per trasformarci in sostenitori di politiche nazionalistiche». Secondo il Patriarca, le diverse sensibilità ecclesiali riguardo alla cosiddetta «caldeità» non vanno interpretate come contrapposizioni tra una «minoranza» e una «maggioranza». Infatti, parlare di queste dinamiche in termini di «vittoria, come se fossimo in guerra» rappresenta «una vergogna».
In questo senso, nella lettera, Sako ribadisce che l’impegno diretto in politica è una prerogativa propria dei laici e che i sacerdoti non possono proporsi come militanti o aderenti delle diverse sigle partitiche. «La politica è affare dei laici competenti. Noi li incoraggiamo ad aprire scuole per insegnare la lingua caldea, centri culturali e sociali che si occupino della cultura e dell’arte, partiti politici che difendano i diritti, ma non possiamo inserirci in essa attivamente o esserne sostenitori. Questo è una linea rossa: un chierico non puo diventare un politico o un predicatore di nazionalismo. Restiamo fedeli alla nostra vocazione sacerdotale e al servizio di tutta la gente senza eccezione».
In particolare, «come persone consacrate, il nostro ruolo principale rimane sempre quello di proclamare il Vangelo e di trasmettere la fede con la forza dello Spirito Santo e con amore e fraternità tra tutti gli uomini. La nostra vocazione non accetta compromessi né sfruttamenti ma è sempre rivolta all’immagine di Cristo perché la Sua bellezza ci illumini».
Inoltre, «è ora di comprendere che la nostra Chiesa caldea cattolica è invitata nella sua coscienza a trasformare la sua realtà alla luce della risurrezione». Un’impresa che «richiede gli sforzi di tutti ed è questo l’impegno del prossimo sinodo caldeo».
Nel documento, riportato dal sito in rete Baghdadhope, il Patriarca di Babilonia dei Caldei invita il suo clero a «una seria pausa contemplativa che ci permetta di riflettere sulla nostra attuale situazione e di lavorare insieme come una squadra e servire la nostra gente con spirito evangelico senza eccezione». Infatti, «l‘unità è una grande sfida, senza di essa non c’è futuro. Lavoriamo tutti per l’unità della Chiesa d’O riente, perché ogni divisione è un peccato». Il Patriarca descrive la Chiesa caldea come una realtà «ferita» e «dispersa», delineando tra le cause di questa condizione anche la destabilizzazione seguita alla caduta del regime di Saddam, l’esodo dei cristiani e la fuga di alcuni sacerdoti in Occidente.
Quanto ai richiami al nazionalismo caldeo, che a volte suscitano controversie, il Patriarca sottolinea che «non è un difetto amare la propria nazione e esserne orgoglioso. Il difetto consiste nel considerare essa come superiore alle altre, peggio ancora quando qualcuno insulta chi non appartiene alla sua identità nazionale. È successo qualcosa del genere negli ultimi tempi». Si tratta di una deriva nazionalista, che non manca di coinvolgere alcuni siti internet e gruppi di militanti politici, che secondo il Patriarca rischia a volte di oscurare persino la stessa cattolicità della Chiesa caldea. «La Chiesa caldea cattolica è stata e sarà sempre aperta a tutte le nazioni e le lingue perché Cristo l’ha mandata per proclamare il Vangelo ovunque nel mondo. In essa oggi convivono assiri, arabi e curdi, dovremmo trasformarli tutti in caldei? Siamo la Chiesa caldea cattolica, aperta ai cristiani ma anche ai nostri fratelli musulmani e a tutti. Crediamo nell’unità e nel pluralismo, che l’amicizia sia nel cuore della vita divina e che la nostra vita cristiana debba esserne segnata. Noi, clero, non abbandoniamo la nostra missione evangelica per trasformarci in sostenitori di politiche nazionalistiche». Secondo il Patriarca, le diverse sensibilità ecclesiali riguardo alla cosiddetta «caldeità» non vanno interpretate come contrapposizioni tra una «minoranza» e una «maggioranza». Infatti, parlare di queste dinamiche in termini di «vittoria, come se fossimo in guerra» rappresenta «una vergogna».
In questo senso, nella lettera, Sako ribadisce che l’impegno diretto in politica è una prerogativa propria dei laici e che i sacerdoti non possono proporsi come militanti o aderenti delle diverse sigle partitiche. «La politica è affare dei laici competenti. Noi li incoraggiamo ad aprire scuole per insegnare la lingua caldea, centri culturali e sociali che si occupino della cultura e dell’arte, partiti politici che difendano i diritti, ma non possiamo inserirci in essa attivamente o esserne sostenitori. Questo è una linea rossa: un chierico non puo diventare un politico o un predicatore di nazionalismo. Restiamo fedeli alla nostra vocazione sacerdotale e al servizio di tutta la gente senza eccezione».
In particolare, «come persone consacrate, il nostro ruolo principale rimane sempre quello di proclamare il Vangelo e di trasmettere la fede con la forza dello Spirito Santo e con amore e fraternità tra tutti gli uomini. La nostra vocazione non accetta compromessi né sfruttamenti ma è sempre rivolta all’immagine di Cristo perché la Sua bellezza ci illumini».
Inoltre, «è ora di comprendere che la nostra Chiesa caldea cattolica è invitata nella sua coscienza a trasformare la sua realtà alla luce della risurrezione». Un’impresa che «richiede gli sforzi di tutti ed è questo l’impegno del prossimo sinodo caldeo».