by Marino Smiderle
La fila dei piccoli pazienti e dei rispettivi genitori è sempre
lunghissima. Vengono da tutti i villaggi che circondano Duhok, nella
parte settentrionale del Kurdistan iracheno, nelle montagne ora coperte
di neve della zona stretta tra Siria, Turchia e Iran. Anche oggi il
prof. Alessandro Frigiola, il cardiochirurgo vicentino che ha fondato
l’associazione Bambini cardiopatici nel mondo, ha cominciato a operare
alle 10 di mattina e finirà alle dieci della sera.
I primi due interventi, quelli eseguiti ieri, sono andati bene ma i bimbi devono essere seguiti nel reparto di terapia intensiva sistemato di fronte alla sala operatoria dell’Azhadi Hospital di Duhok. «Non possiamo eseguire troppi interventi se la terapia intensiva è piena - spiega Frigiola mentre si infila la "divisa" da chirurgo - perché l’equipe di medici e infermieri che abbiamo portato dall’Italia rischierebbe di non seguire nel modo adeguato la fase post-operatoria. Bisogna sperare che il recupero sia rapido e così possiamo procedere con il lavoro di sala operatoria».
La giornata comincia però con un imprevisto. Mentre una bimba di 10 anni, primo intervento della mattina, è sotti ferri, all’ospedale si presenta una giovane donna in preda a una grave crisi cardiaca. Aveva subito un intervento al cuore nel 2002 a Baghdad ma adesso ha avuto una ricaduta, dovuta probabilmente a un cedimento dei tessuti su cui erano state eseguite le modifiche previste. «Può capitare - osserva Frigiola - ma bisogna intervenire subito. Siamo qui, non possiamo non tentare. Altrimenti per lei è morte sicura».
Eccolo il dilemma tragico cui si trovano di fronte i medici che decidono di andare di volta in volta a operare in paesi complicati, non dotati di strutture adeguate: chi operare? La scelta è angosciante. «Ma noi rispettiamo criteri precisi - argomenta Frigiola -. In questo caso alla giovane di Baghdad resta poco da vivere se non interveniamo. E, tra l’altro, non è detto che siano arrivati in tempo. Bisogna vedere quando apriamo».
In questo caso, pochi dubbi: la precedenza spetta a lei. Nel frattempo, mentre è in corso l’operazione sulla bimba di 10 anni, succede un incidente spiacevole: il compressore dell’aria si guasta. In sala operatoria si sentono dei suoni sinistri che segnalano il guasto. «Useremo direttamente l’ossigeno», ordina Frigiola. L’operazione va avanti. Succedesse una cosa del genere in Italia, i magistrati aprirebbero giustamente un'inchiesta. Qui si pensa solo a rimediare, non c’è tempo per trovare eventuali responsabilità.
Bastano pochi giorni al seguito del gruppo di Frigiola, composto da cardiochirurghi, cardiologi, anestesisti, radiologi, infermieri di grande professionalità e spinti da passione infinita per capire cosa vuol dire fare il medico in situazioni di difficoltà, in paesi, come il Kurdistan iracheno, che si stanno sforzando per uscire dalle macerie lasciate da quarant’anni di dittatura di Saddam ma che sono alle prese con ovvi problemi strutturali.
Il segreto di Frigiola è che i suoi non sono interventi spot. No, qui resterà qualcosa di più di un ricordo. A San Donato Milanese, dove Frigiola è primario di cardiochirurgia, sono stati preparati e saranno preparati nuovi medici curdi che presto prenderanno servizio permanente qui a Duhok. Tra questi c’è Halkawt Ali Nuri, che in questi giorni ha eseguito direttamente gli interventi seguito da Frigiola. «Ha 32 anni ed è il più bravo che io abbia mai visto - assicura il professore vicentino -. La sua è una storia incredibile e la si può vedere nel documentario girato su di lui».
Andate su youtube e cercate "Il pianista di Erbil": troverete il motivo per cui l’associazione Bambini cardiopatici nel mondo ha investito 150 mila euro per pagare i suoi studi. Andò via dall’Iraq dopo che suo padre venne ucciso da un’auto bomba in un Kurdistan non ancora messo in sicurezza. La madre lo spinse ad accettare l’offerta che arrivava dall’Italia e in questi giorni di febbrile attività a Duhok, in questi giorni che brillano per il numero di vite salvate, tutti hanno capito che Frigiola, 70 anni e non sentirli, ha sempre lavorato per il futuro.
I primi due interventi, quelli eseguiti ieri, sono andati bene ma i bimbi devono essere seguiti nel reparto di terapia intensiva sistemato di fronte alla sala operatoria dell’Azhadi Hospital di Duhok. «Non possiamo eseguire troppi interventi se la terapia intensiva è piena - spiega Frigiola mentre si infila la "divisa" da chirurgo - perché l’equipe di medici e infermieri che abbiamo portato dall’Italia rischierebbe di non seguire nel modo adeguato la fase post-operatoria. Bisogna sperare che il recupero sia rapido e così possiamo procedere con il lavoro di sala operatoria».
La giornata comincia però con un imprevisto. Mentre una bimba di 10 anni, primo intervento della mattina, è sotti ferri, all’ospedale si presenta una giovane donna in preda a una grave crisi cardiaca. Aveva subito un intervento al cuore nel 2002 a Baghdad ma adesso ha avuto una ricaduta, dovuta probabilmente a un cedimento dei tessuti su cui erano state eseguite le modifiche previste. «Può capitare - osserva Frigiola - ma bisogna intervenire subito. Siamo qui, non possiamo non tentare. Altrimenti per lei è morte sicura».
Eccolo il dilemma tragico cui si trovano di fronte i medici che decidono di andare di volta in volta a operare in paesi complicati, non dotati di strutture adeguate: chi operare? La scelta è angosciante. «Ma noi rispettiamo criteri precisi - argomenta Frigiola -. In questo caso alla giovane di Baghdad resta poco da vivere se non interveniamo. E, tra l’altro, non è detto che siano arrivati in tempo. Bisogna vedere quando apriamo».
In questo caso, pochi dubbi: la precedenza spetta a lei. Nel frattempo, mentre è in corso l’operazione sulla bimba di 10 anni, succede un incidente spiacevole: il compressore dell’aria si guasta. In sala operatoria si sentono dei suoni sinistri che segnalano il guasto. «Useremo direttamente l’ossigeno», ordina Frigiola. L’operazione va avanti. Succedesse una cosa del genere in Italia, i magistrati aprirebbero giustamente un'inchiesta. Qui si pensa solo a rimediare, non c’è tempo per trovare eventuali responsabilità.
Bastano pochi giorni al seguito del gruppo di Frigiola, composto da cardiochirurghi, cardiologi, anestesisti, radiologi, infermieri di grande professionalità e spinti da passione infinita per capire cosa vuol dire fare il medico in situazioni di difficoltà, in paesi, come il Kurdistan iracheno, che si stanno sforzando per uscire dalle macerie lasciate da quarant’anni di dittatura di Saddam ma che sono alle prese con ovvi problemi strutturali.
Il segreto di Frigiola è che i suoi non sono interventi spot. No, qui resterà qualcosa di più di un ricordo. A San Donato Milanese, dove Frigiola è primario di cardiochirurgia, sono stati preparati e saranno preparati nuovi medici curdi che presto prenderanno servizio permanente qui a Duhok. Tra questi c’è Halkawt Ali Nuri, che in questi giorni ha eseguito direttamente gli interventi seguito da Frigiola. «Ha 32 anni ed è il più bravo che io abbia mai visto - assicura il professore vicentino -. La sua è una storia incredibile e la si può vedere nel documentario girato su di lui».
Andate su youtube e cercate "Il pianista di Erbil": troverete il motivo per cui l’associazione Bambini cardiopatici nel mondo ha investito 150 mila euro per pagare i suoi studi. Andò via dall’Iraq dopo che suo padre venne ucciso da un’auto bomba in un Kurdistan non ancora messo in sicurezza. La madre lo spinse ad accettare l’offerta che arrivava dall’Italia e in questi giorni di febbrile attività a Duhok, in questi giorni che brillano per il numero di vite salvate, tutti hanno capito che Frigiola, 70 anni e non sentirli, ha sempre lavorato per il futuro.