By Asia News
by Simone Cantarini
"In questa guerra, nata come una Primavera araba pacifica hanno una enorme responsabilità Stati Uniti, Unione Europea e Paesi del Golfo. Sostenendo la ribellione, che non ha un fronte unito, essi fomentano l'odio fra la gente. Noi cristiani siamo molto delusi dal comportamento di questi Paesi, che con il loro denaro e petrolio hanno comprato le coscienze del mondo, giustificando la violenza". È quanto afferma ad AsiaNews, mons. Ignace Joseph III Younan, dal 2009 Patriarca di Antiochia dei siri. Per il capo della comunità medio-orientale, "i cristiani rimasti in Siria sono gli unici che possono ancora testimoniare con la loro vita e i loro valori la possibilità di una riconciliazione, ormai esclusa a priori e dal regime e dai ribelli".
Il patriarca sottolinea che la Siria è ormai a un punto di non
ritorno, la sua stessa esistenza potrebbe essere cancellata e finire
sotto i bombardamenti: "La situazione si fa ogni giorno più dolorosa e
difficile. Qui non siamo più di fronte a una Primavera araba, ma a un
conflitto confessionale fra la minoranza alawita e la maggioranza
sunnita".
Nelle regioni controllate dall'esercito continuano gli attacchi
suicidi delle milizie al-Nousra, gruppo terrorista legato ad al-Qaeda,
responsabili dell'attentato di due giorni fa all'Università di Aleppo.
Il bilancio parziale è di 87 vittime e centinaia di feriti. Due kamikaze
si sono fatti esplodere ieri a Idleb, la principale città del nord
ovest della Siria, uccidendo 22 persone. Gli attacchi dei giorni scorsi
hanno scatenato una dura offensiva dell'esercito, che sta utilizzando
ogni mezzo a sua disposizione, comprese le bombe a grappolo, per
riguadagnare almeno la provincia di Damasco. Testimoni, raccontano che
un'offensiva senza precedenti è in corso a Daraya, a Sud-Ovest della
capitale. Fino a prima della guerra la città aveva oltre 200mila
abitanti, ma ora è deserta e i pochi sopravvissuti rischiano di morire
sotto i bombardamenti. Ieri, Maher al-Assad, colonello dell'esercito
siriano e fratello del presidente Bashar, ha dato ordine di "liberare
Daraya dai ribelli, a costo di radere al suolo ogni abitazione".
L'offensiva dell'esercito continua anche ad Homs, dove secondo
l'Osservatorio siriano per i diritti umani, i militari avrebbero
compiuto un nuovo massacro della popolazione, uccidendo oltre 106
persone, fra cui molte donne e bambini.
Mons. Ignace Joseph III Younan sottolinea che negli anni passati la
Chiesa ha più volte invitato il regime a cambiare il sistema di governo
totalitario, favorendo la democrazia. "Io stesso - dice - ho espresso
questa opinione alla televisione di Stato siriana. Il cambiamento deve
avvenire, ma non con la violenza, frutto dell'odio confessionale, che
potrebbe durare decenni anche a guerra finita". Per questa ragione il
prelato indica che l'unica strada è una riconciliazione vera anche con
la partecipazione di membri del regime. "Non si possono fare accordi -
spiega - con delle precondizioni. In caso di una salita al potere dei
ribelli, che vogliono la testa di Assad, la comunità alawiti
scomparirebbe e forse anche le altre minoranze. Lo stesso rischio vi è
con le condizioni imposte dal presidente che vuole cacciare dal Paese
tutti i sunniti".
"Guardando ai fatti accaduti in Iraq - aggiunge - e alle conseguenze
della guerra siriana in Libano, noi cristiani del Medio oriente siamo di
fronte alla sfida più grande della nostra storia: restare nelle nostre
città e parrocchie e convincere i nostri giovani a non fuggire. Il
nostro ruolo è fondamentale per la riconciliazione di popolazioni divise
dall'odio. Come ci ha indicato il Papa dobbiamo pregare e lavorare per
la pace, il dialogo, la riconciliazione e la difesa dei diritti umani di
tutte le comunità presenti in Siria".
La comunità dei siro cattolici è presente in tutto il Medio oriente.
La maggior parte dei fedeli vive in Iraq (42mila) e Siria (26mila), dove
la comunità più importante risiede proprio ad Aleppo. Come il resto
delle chiese mediorientali, la chiesa siro-cattolica soffre la diaspora
dei suoi membri. Secondo le stime sono oltre 55mila le persone rifugiate
nei Paesi occidentali.