Incontro del Nunzio Apostolico con i sacerdoti
Alquosh, 7 maggio 2012
Sono lieto di rivolgere la parola per la prima volta da quando sono arrivato in Iraq ad un gruppo di sacerdoti.
Ringrazio S.E. Mons. Warda e S.E. Nona per l’organizzazione di questo convegno che ritengo molto importante e S.E. Mons. Maqdassi per l’accoglienza.
Questo incontro mi offre l’opportunità di condividere con voi alcune riflessioni sul sacerdozio.
Come sapete il sacerdote continua il ministero di Cristo sulla terra. In questo senso si dice che è un altro Cristo.
Il Papa Benedetto XVI nell’omelia durante l’ordinazione sacerdotale di 10 diaconi della diocesi di Roma il 29 aprile scorso ha richiamato una delle domande che si fanno nel momento dell’ordinazione sacerdotale: «Volete essere sempre più strettamente uniti a Cristo sommo sacerdote, che come vittima pura si è offerto al Padre per noi, consacrando voi stessi a Dio insieme con lui per la salvezza di tutti gli uomini?». E poi ha spiegato: “Il sacerdote è infatti colui che viene inserito in un modo singolare nel mistero del Sacrificio di Cristo, con una unione personale a Lui, per prolungare la sua missione salvifica. Questa unione, che avviene grazie al Sacramento dell’Ordine, chiede di diventare “sempre più stretta” per la generosa corrispondenza del sacerdote stesso” (Benedetto XVI, Omelia, 29 aprile 2012).
Come, oggi, essere un altro Cristo, qui in Iraq? In altre parole, come Cristo vuole che noi viviamo il nostro sacerdozio nelle nostre comunità, con i nostri problemi, con gli strumenti a nostra disposizione?
Abbiamo celebrato da poco l’anno sacerdotale ed il papa ha riproposto a tutti la figura di un sacerdote esemplare, il Santo Curato d’Ars. Confesso che la mia prima reazione è stata di sorpresa. Con tutta la stima che avevo per questo grande santo, mi sono detto: ma cosa può dire ai sacerdoti di oggi questo santo vissuto in un contesto ben diverso, con uno stile di vita difficilmente imitabile? Non aveva né auto per visitare le parrocchie, né video per trasmettere qualche buon documentario o film biblico, né computer per registrare i parrocchiani, né internet per trovare qualche idea per le sue omelie e neppure sussidi stampati in Libano per le catechesi!
Poi mi sono accorto che nel suo sacerdozio c’è qualcosa di universale. L’essere Cristo per Lui si esplicava in modo diverso da quello di oggi, il materiale a sua disposizione era certo limitato, ma la cosa essenziale non è la forma, non sono gli strumenti, bensì il contenuto. Non sono i tipi di sacrifici che faceva, ma il sacrificarsi. Non è il modo di parlare con Dio, ma era il suo parlare con Dio. Non come si donava, ma il fatto di donarsi, non come faceva la volontà di Dio, ma il fatto che cercava di compiere in tutto la volontà di Dio.
Quindi ecco la domanda: come Gesù vuole il suo rappresentante sulla terra oggi?
Innanzitutto dobbiamo riconoscere l’alta missione e la grande responsabilità che significa l’essere chiamati e consacrati per rappresentare Cristo su questa terra. Nel videomessaggio inviato ai partecipanti al ritiro sacerdotale internazionale, che si è tenuto ad Ars dal 27 settembre al 3 ottobre 2009, durante l’anno sacerdotale - che il Papa Benedetto XVI ha voluto istituire anche per rispondere e rimediare agli scandali commessi da tanti sacerdoti - , il Santo Padre diceva: “Pensate al gran numero di messe che avete celebrato o che celebrerete, rendendo ogni volta Cristo realmente presente sull'altare. Pensate alle innumerevoli assoluzioni che avete dato e darete, permettendo a un peccatore di lasciarsi redimere. Percepite allora la fecondità infinita del sacramento dell'Ordine. Le vostre mani, le vostre labbra, sono divenute, per un istante, le mani e le labbra di Dio. Portate Cristo in voi; siete, per grazia, entrati nella Santissima Trinità. Come diceva il santo Curato: "Se si avesse la fede, si vedrebbe Dio nascosto nel sacerdote come una luce dietro un vetro, come un vino mescolato all'acqua".
Coerenza di vita nel sacerdote
Sabato scorso dicevo ai seminaristi e giovani in ricerca vocazionale riuniti ad Ainkawa che nessuno ha il diritto di essere sacerdote, poiché il sacerdozio è un servizio che si rende alla Chiesa. È la Chiesa, il Corpo di Cristo in terra, che sceglie i candidati al sacerdozio tra coloro che manifestano la loro disponibilità a servire Cristo nei fratelli. Questo cosa significa? Significa che mentre tutti i cristiani, in ragione del sacramento del Battesimo, sono chiamati ad essere un altro Cristo , a vivere come lui - in questo senso si parla di sacerdozio regale, di tutti i fedeli -, qualcuno è scelto per continuare l’opera di Cristo nel dispensare i sacramenti della salvezza, grazie al sacramento del sacerdozio. Per questo si parla di azioni che si compiono ex opere operato, cioè in virtù della consacrazione stessa. Se anche fossi in stato di peccato mortale e celebro la Messa quel pane e quel vino diventano corpo e sangue di Cristo, mentre nella mia vita Cristo è morto, è crocifisso! Compio un’azione sacerdotale senza vivere una vita sacerdotale. Per questo motivo posso anche andare all’inferno ma le azioni che io compio sono valide e io sono strumento di salvezza.
Anche in questo il Santo Curato d’Ars ci è d’esempio. Scriveva il beato Giovanni Paolo II in occasione del ritiro spirituale per i sacerdoti, i diaconi e i seminaristi nella cripta di Ars il 6 ottobre 1986: “Certo, i sacramenti devono la loro efficacia a Cristo e non alla nostra dignità. Noi siamo i suoi strumenti, poveri e umili, che non devono attribuirsi il merito della grazia trasmessa, ma strumenti responsabili, e, attraverso la santità del ministro, le anime sono meglio disposte a cooperare alla grazia. Vediamo esattamente nel curato d’Ars un sacerdote che non si è accontentato di compiere esteriormente i gesti della redenzione; egli vi ha partecipato nel suo stesso essere, nel suo amore di Cristo, nella preghiera costante, nell’offerta delle sue prove o delle sue mortificazioni volontarie”.
Va ricordato, infatti, che Gesù è sacerdote ed è vittima. Il momento in cui Cristo ha esplicitato il suo essere sacerdote è sulla croce, dove si è immolato per i nostri peccati. È sacerdote, dunque, perché offre il sacrificio, ma è pure vittima perché quel sacrificio è egli stesso! In quel momento egli si è offerto completamente al Padre, come uomo e in nome dell’umanità ha detto: “Tu sei tutto, io sono nulla”. Io offro la mia vita a te, per i peccati del mondo. Ma Gesù anche in quel momento non cessava di essere Dio e, come Dio, diceva agli uomini: “voi per me siete tutto, ed io do la mia vita per voi”. Ecco chi è il sacerdote: colui che dà la sua vita a Dio in nome degli uomini e dà Dio agli uomini offrendo sé stesso per loro.
Una vita sacerdotale è una vita donata, per questo il il sacerdozio non è un potere ma un servizio.
Il sacerdote uomo della gioia
Partecipare al sacrificio di Cristo, completare nella nostra carne quanto manca ai patimenti di Cristo, ecco cosa significa essere sacerdoti ieri e oggi. Lo diceva S. Paolo ai cristiani di Colossi: “Perciò sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa” (Col 1,24).
Essere lieti nelle sofferenze. Questo richiede una mentalità nuova, diversa, eppure solo così possiamo essere autentici sacerdoti. Nelle sofferenze noi vediamo la possibilità di partecipare al sacerdozio di Cristo. Per questo, ogni volta che ci lamentiamo di quanto dobbiamo sopportare, noi ci lamentiamo di Cristo. È Lui, infatti, che ci viene incontro nel dolore. Che si nasconde sotto ogni sofferenza. Ma noi sappiamo che, come ebbe a dire il beato Papa polacco, “Abbracciando nelle prove quotidiane Gesù sofferente, ci si unisce immediatamente con lo Spirito del Risorto e la sua forza corroborante (cf. Rm 6,5; Fil 1,19)” (GP II, omelia, 30 aprile 1982).
La nostra vita, dunque, deve essere una vita gioiosa, espressione della risurrezione che segue la morte. La gioia deve caratterizzare la nostra esistenza. Un sacerdote triste, è un sacerdote che non crede o, meglio, che non vive il mistero pasquale, dove la morte lascia posto alla vita.
Nel già citato videomessaggio inviato ai partecipanti al ritiro sacerdotale internazionale ad Ars, Benedetto XVI diceva ancora: “Il sacerdote, certamente uomo della Parola divina e del sacro, deve oggi più che mai essere uomo della gioia e della speranza. Agli uomini che non possono concepire che Dio sia puro amore, egli dirà sempre che la vita vale la pena di essere vissuta e che Cristo le dà tutto il suo senso perché Egli ama gli uomini, tutti gli uomini”.
Il sacerdote ministro della riconciliazione
Proprio perché scelto a portare Dio agli uomini e gli uomini a Dio, il sacerdote ha il ministero della riconciliazione. È chiamato ad essere strumento di unità, di comunione. Quanto è necessario questo oggi, e quale compito vi è affidato!
Gesù, che è venuto a riconciliare gli uomini tra loro e con Dio, non l’ha fatto attraverso i miracoli, con un colpo di bacchetta magica, ma, ancora, attraverso la sua offerta sulla croce. È lì il Riconciliatore. Non dobbiamo pensare che la comunione si costruisce per la nostra capacità, ma per la nostra offerta.
Qui ci sarebbe tanto da dire: essere uomini di riconciliazione a tutti i livelli. Forse potremo approfondire questo argomento in una prossima occasione. Soltanto do alcuni titoli:
- essere riconciliati con i propri Vescovi. So che questa è una delle riconciliazioni più difficili da effettuare, forse più eroiche! Eppure se essere sacerdote significa essere pronti a dare la vita, prima di tutto occorre saper dare la vita per i propri Vescovi. Se uno è pronto a dare la vita, deve essere disposto anche a dare tutto quello che è meno della vita!
- essere riconciliati con i propri confratelli, per dare al mondo l’esempio della comunione vissuta con tutti i suoi frutti, che sono: pace, gioia, tranquillità, serenità, etc… infatti siamo invitati ad essere “modelli del gregge” anche in questo (cf. 1 Pt 5,3);
- essere strumenti di riconciliazione nella comunità, a tutti i livelli: nella famiglia, nella parrocchia, nella società, nel mondo. Quanto necessario tutto questo oggi in Iraq! Quale compito possono avere i sacerdoti per la ricostruzione morale della società irachena se sanno essere fedeli alla loro missione di riconciliatori!
Una parola in più vorrei spenderla, tuttavia, sull’aspetto ecumenico della riconciliazione e sulla comunione all’interno della Chiesa cattolica. Nel messaggio al termine dell’Assemblea Speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei Vescovi, tenutosi a Roma dal 14 al 24 ottobre 2010, i Padri sinodali hanno scritto: “Salutiamo le Chiese ortodosse e le Comunità evangeliche nei nostri paesi. Lavoriamo insieme per il bene dei cristiani, perché essi restino, crescano e prosperino. Siamo sulla stessa strada. Le nostre sfide sono le stesse e il nostro avvenire è lo stesso. Vogliamo portare insieme la testimonianza di discepoli di Cristo. Soltanto con la nostra unità possiamo compiere la missione che Dio ha affidato a tutti, malgrado la diversità delle nostre Chiese. La preghiera di Cristo è il nostro sostegno, ed è il comandamento dell’amore che ci unisce, anche se la strada verso la piena comunione è ancora lunga davanti a noi”.
Il messaggio riconosce che la strada è ancora lunga davanti a noi. Vorrei richiamare al dovere di non prendere scorciatoie che non rispettano le identità proprie, creano confusione e portano all’indifferenza e al relativismo. Può essere un dolore partecipare ad una liturgia dei fratelli ortodossi, in caso di un funerale, ad esempio, o di un matrimonio, e astenersi dalla comunione, cioè dal condividere il culmine della celebrazione. Ma là dove non è ancora possibile l’intercomunione, non bisogna fare confusione. Sarà una sofferenza, specie all’interno magari delle stesse famiglie con matrimoni misti. Non prendiamo scorciatoie, vi prego. “In questo coraggioso cammino verso l'unità - ammoniva la Lettera Enciclica Ut unum sint sull’impegno ecumenico, del Papa Giovanni Paolo II, al N. 79 -, la lucidità e la prudenza della fede ci impongono di evitare il falso irenismo e la noncuranza per le norme della Chiesa”. Quel sacrificio che fate, quella divisione che vi fa soffrire, se amata e rispettata porterà i suoi frutti.
Altro discorso, ma simile al primo, si può fare per quanto riguarda la varietà dei riti all’interno della Chiesa cattolica. Mi è stato riferito che alcuni sacerdoti “mescolano” riti diversi. Non è utile, né per salvaguardare la propria identità né per crescere nella comunione. Questa, infatti, si costruisce attraverso l’amore reciproco, attraverso il rispetto dell’altro nella sua diversità. Unità non significa confusione, ma rispetto, amore. “Ama il rito altrui come ami il tuo proprio”, si dovrebbe dire, e proprio per questo devi rispettare il tuo e l’altrui. La diversità è ricchezza, soltanto la divisione è povertà.
Concludendo, desidero ringraziarvi per quanto state facendo, per il prezioso servizio che rendete alle comunità indebolite e sfiduciate e per la testimonianza, spesso sofferta, che date. Siate modelli del gregge in tutto, e non perdetevi d’animo perché non dobbiamo avere paura, il Signore è Risorto ed è con noi tutti i giorni fino alla fine del mondo! (Mt 28,20). Essere sacerdote oggi in Iraq è una sfida entusiasmante ed avvincente. Importante è non dimenticare il momento in cui avete deciso di dare la vostra vita per il Signore e per i fratelli. È una scelta che va rinnovata ogni giorno, ricordando le esigenti parole di Gesù: “Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà” (Mt 16,25).
لقاء السفير البابوي مع الكهنة
القوش، 7 آيار 2012
يسرني أن اتوجه بكلمتي وللمرة الاولى منذُ وصولي إلى العراق إلى مجموعة من الكهنة
اشكر سيادة المطرانين وردة ونونا لدعوتهما وسيادة المطران مقدسي لاستقباله.
يتيج لي هذا الاجتماع الفرصة لأطلعكم على بعض الأفكار المتعلقة بالكهنوت.
الكاهن هو مسيح آخر
كما تعلمون ان الكاهن يُكمل عمل المسيح على الارض بهذا المعنى يُقال انه مسيح آخر.
لقد لفت النظر البابا بندكتوس السادس عشر في عظته خلال الرسامة الكهنوتية لـ 10 شمامسة انجيليين لابرشية روما في الـ 29 من نيسان الماضي إلى إحدى الاسئلة التي تُسال في وقت الرسامة الكهنوتية: "هل تريدون ان تكونوا دوما أكثر وحدة مع المسيح، عظيم الكهنة، الذي قدم ذاته ذبيحة طاهرة للآب بدلاً عنا، مكرساً ذاته وانتم معه لله من اجل خلاص كل البشر؟". شارحاً ذلك بالقول: "بالحقيقة، الكاهن هو الشخص الذي يتم اشراكه بشكل فردي في سر ذبيحة المسيح، باتحاد شخصي معه، كامتداد لرسالته الخلاصية. هذا الاتحاد، الذي يتم من خلال سر الرسامة (الكهنوتية)، يُطلب منه ليكون "دوما اكثر التصاقاً ً" من أجل عطاءاً اكبر من الكاهن ذاته" (بندكتوس السادس عشر، عظة، 29 نيسان 2012).
كيف من الممكن اليوم، ان نكون مسيحاً آخر، هنا في العراق؟ بكلمات أخرى، كيف يريد المسيح ان نحيا كهنوتنا في جماعاتنا، بمشاكلنا، وبالوسائل المتاحة لنا؟
احتفلنا قبل فترة قصيرة بالسنة الكهنوتية، وقد قدم البابا لنا شخصية مثالية للكاهن، وهو القديس خوري آرس. اعترف باني قد تفاجات في البداية. رغم كل التقدير الذي كنت اكنه لهذا القديس الكبير، فقلت لنفسي: ماذا يمكن ان يقول لكهنة اليوم هذا القديس الذي عاش في ظروف مختلفة، ونمط حياة صعب التقليد؟ لم يمتلك لا سيارة لزيارة الخورنة، ولا جهاز فيديو ليقدم احدى الوثائق الرائعة أو فيلم عن الكتاب المقدس، لم يمتلك كمبيوتر لتسجيل ابناء الخورنة، ولا انترنيت للحصول على فكرة ما لكرازاته ولا حتى كتب مطبوعة في لبنان للتعليم المسيحي.
من ثم أدركت أن في كهنوته يوجد شيء جامع (يشمل الجميع). الكون "مسيح" بالنسبة له يتوضح باسلوب يختلف عن اسلوب اليوم، بالتاكيد الوسائل (التوضيحية) كانت محدودة له، ولكن الشيء الاساسي لم يكن الاُطر الخارجية، لم تكن الوسائل، وانما المحتوى (الصميم). لم تكن نوع الذبائح التي كان يقدمها، وانما الذبيحة الذاتية (تقديم نفسه كذبيحة). ليس اسلوب التكلم مع الله، وانما كلماته مع الله. ليس بالطريقة التي كان يعطي ذاته، وانما بحقيقة اعطاء ذاته، ليس بالاسلوب الذي كان يعمل أرادة الله، وانما بحقيقة انه كان يبحث ان يكمل ارادة الله في كل شيء.
بالتالي هذا هو السؤال: كيف يريد يسوع ان يكون ممثله على الارض؟
اولاً وقبل كل شيء، يجب ان نعرف الرسالة السامية والمسؤولية العظيمة (التي وكلت لنا)، ماذا يعني اننا مدعويين ومكرسين لنمثل المسيح على هذه الارض. في الرسالة التصويرية المُرسلة إلى المشاركين في الرياضة الروحية الكهنوتية الدولية، التي تمت في آرس في الـ 27 من أيلول ولغاية 3 تشرين الاول 2009، خلال السنة الكهنوتية – اراد البابا بندكتوس السادس عشر تنشئة و واعطاء رد لمعالجة الفضائح التي ارتكبها العديد من الكهنة – فقال الاب الاقدس: "تأملوا العدد الكبير من الذبائح الافخارستيا التي احتفلتم بها والتي ستحتفلون بها، والتي في كل مرة تجعلون المسيح حاضراً على المذبح. تأملوا عدد المرات التي لا يحص والتي بها اعطيتم او ستعطون الحلَّة (سر الاعتراف)، والسماح بذلك لخاطيء ان يقبل الخلاص. هكذا تدركون الخصوبة اللامتناهية لسر الرسامة (الكهنوتية). اياديكم، شفاهكم، تصبح في لحظة، ايادي وشفاه الله. تحملون المسيح في داخلكم؛ قد دخلتم وبفضل النعمة في الثالوث الاقدس. كما كان يقول قديس آرس: "لو كان لديك ايمان، لكنت رأيت الله المختفي في الكاهن، كنور يختفي خلف الزجاج، كما الخمر الممتزجة بالماء".
اتساق الحياة لدى الكاهن
السبت الماضي، قلت لطلاب الكهنوت والشباب اللذين في طريق البحث عن الدعوة المجتمعين في عينكاوا، انه، لا احد له الحق ان يكونَ كاهناً، لان الكهنوت هو خدمة للكنيسة. وانما الكنيسة، كجسد المسيح على الارض، هي التي تختار المرشحين إلى الكهنوت من بين اؤلئك اللذين يُظهرون استعدادهم لخدمة المسيح في الاخوة. ماذا يعني هذا؟ هذا يعني أنه في الوقت الذي كل المسيحيين، ومن خلال سر المعموذية، هم مدعويين ان يكونوا مسيح آخر، ان يعيشوا على مثاله – بهذا المعنى يتم التحدث عن كهنوت ملوكي، لكل المؤمنيين، البعض هو مُختار لمواصلة عمل المسيح من خلال اسرار الخلاص، والفضل يعود إلى سر الكهنوت. لهذا يتم التحدث عن الافعال التي تتم "ex opere operato"، بحكم التكريس نفسه (الرسامة). حتى لو كنت في حالة خطيئة مميتة واحتفلت بالذبيحة، فذلك الخبز وذلك الخمر يصبحون جسد ودم المسيح، في حين المسيح ميت في حياتي (الشخصية). لهذا السبب استطيع دخول الجحيم ولكن ما اقوم به هو فعَّال ولازلتُ أداةً للخلاص.
حتى في هذا، القديس خوري آرس هو مثال. فقد كتب الطوباوي يوحنا بولس الثاني، بمناسبة الرياضة الروحية للكهنة والشمامسة الانجيليين وطلاب الكهنوت في الكنيسة التحتية في آرس في الـ 10 من تشرين الاول 1986: "الاسرار المقدسة تستمد فاعليتها من المسيح وليس من كرامتنا. نحن ادواتها، فقراء ومتواضعين، لا ينبغي ان ننسب الينا الفضل في النعمة المنقولة، وانما ادوات مسؤولة، والتي ومن خلال قدسية السر،نُُعد النفوس للتعاون الافضل مع النعمة. نرى بالضبط في خوري أرس، كاهن لم يفرح فقط بان يُتكتمل ظاهرياً علامات الخلاص؛ وانما فقد شارك بها بكل كيانه، بحبه للمسيح، في الصلاة الثابتة، بتقديم كل ما تعرض له من تجارب واهانات طوعية".
يجب ان نتذكر ان يسوع هو كاهن وذبيحة. فالمسيح في اللحظة التي علق بها على الصليب قدم كيانه ككاهن بشكل واضح، هناك ضحى من اجل خطايانا. هو كاهن لانه يقدم الذبيحة، ولكنه ايضاً الذبيحة، لان تلك الذبيحة هي المسيح نفسه! في تلك اللحظة قدم هو نفسه بشكل كامل للآب، كانسان وباسم البشرية قائلاً: "انت كل شيء، وانا لا شيء". انا اقدم لك حياتي من اجل خطايا العالم. ولكن يسوع في تللك اللحظة لم يتوقف عن كونه الله، ومثل الله، قائلا لكل البشر: "انتم كل شيء بالنسبة لي، وانا اهب حياتي من اجلكم". هذا هو الكاهن: من يهب حياته لله باسم البشر ويعطي الله للبشر مانحاً ذاته لهم.
الحياة الكهنوتية هي حياة معطاءة، لهذا الكهنوت ليس سلطة بل خدمة.
الكاهن رجل الفرح
الاشتراك بذبيحة المسيح، واكمال في جسدنا ما ينقص من آلام المسيح، هذا ما يعني الكون كاهناً امس واليوم. كان يقوله القديس بولس إلى مسيحيي كولوسي: "وانا الان افرح بالالام التي اعانيها لأجلكم، فاكمل في جسدي ما نقص من آلام المسيح في سبيل جسده الذي هو الكنيسة" (كو 1: 24).
الكون فرحين بالالم. يتطلب عقلية جديدة، مختلفة، وبهذا الشكل فقط نستطيع ان نكون كهنة حقيقين. ففي بالالام نستطيع ان نرى امكانية المشاركة بالام المسيح. لهذا، كل مرة نتذمر بها من كل ما يجب ان نتحمل، فنحن نتذمر من المسيح. فهو بالحقيقة الذي ياتي للقائنا في الالم. هو الذي يختفي تحت كل ألم. ولكننا على علم، كما قال البابا البولوني: "احتضان يسوع المتألم في التجارب اليومية، يوحدنا مباشرة بروح القائم وقوته الحصينة (قارن روم 6: 5؛ فل 1: 19)" (يوحنا بولس الثاني، عظة، 30 نيسان 1982).
لذا، يجب ان تكون حياتنا، حياة مليئة بالفرح، تعبير عن القيامة التي تتبع الموت. الفرح يجب ان يميز كياننا. الكاهن الحزين هو الكاهن الغير المؤمن، او بالاصح الذي لا يحيا السر الفصحي، اينما يسمح للموت أن يترك اثاره على الحياة.
فيما تم ذكره انفاً، الرسالة التصويرية المُرسلة إلى المشاركين بالرياضة الروحية الدولية للكهنة في آرس، البابا بندكتوس السادس عشر قال ايضاً: "الكاهن، بالتاكيد هو رجل الكلمة الالهية والمقدس، يجب ان يكون اكثر من اي لحظة اخرى رجل الفرح والرجاء. إلى الاشخاص اللذين لا يستطيعون ان يدركوا ان الله هو محبة خالصة، هو سيقول دائماً، ان الحياة تستحق ان تُعاش والمسيح يعطيها معناها الكامل لانه يحب البشر، كل البشر".
الكاهن خادم المصالحة
بالذات لان (الكاهن) هو مختار لحمل الله إلى البشر والبشر إلى الله، فهو يمتلك صلاحية المصالحة. وهو مدعو ليكون اداة للوحدة، للاتحاد. كم أن هذا ضروري اليوم، واي دور عُهد اليه!
يسوع الذي جاء ليصالح البشر فيما بينهم ومع الله، لم يقم بذلك من خلال معجزات، او من خلال عصا سحرية، وانما من خلال هبته على الصليب. هناك قامت المصالحة. يجب علينا ألا نُفكر ان الوحدة تتم من خلال قدرتنا، وانما من خلال هبتنا.
هنا يوجد الكثير كيما يقال: كوننا رجال مصالحة على كل المستويات. ربما نستطيع التعمق بهذا الموضوع في مناسبة لاحقة. اعطى فقط بعض العناوين:
- متصالحين مع اساقفتنا. اعرف ان هذا المصالحة هي احدى اصعب المصالحات للتطبيق، ربما الاكثر بطولية! حتى لو ان يكون كاهن، يعني الاستعداد لبذل الحياة، قبل كل شيء يجب ان نعرف بذل الحياة من أجل اساقفتنا. اذا كان احدهم مستعداً أن يبذل الحياة، يجب ان يكون مستعداً ان يبذل كل ما هو أقل من الحياة.
- متصالحين مع اخوتنا (الكهنة). من اجل اعطاء مثال للعالم للوحدة المُعاشة بكل ثمارها، والتي تُمثل: السلام، الفرح، الهدوء، السعادة .... الخ بالحقيقة نحن مدعون أن نكون "مثالاً للقطيع" حتى في هذا (قارن 1بط 5: 3).
- أن نكون ادوات للمصالحة في مجتمعنا. بكل المستويات: في العائلة، في الخورنة، في المجتمع، في العالم. كم هي الحاجة ماسة لكل هذا، اليوم في العراق! اي دور ممكن ان يكون للكهنة في البناء الاخلاقي للمجتمع العراقي اذا ادركوا أن يكونوا امينين إلى رسالة المصالحة.
الوحدة والاختلاف
أود أن أضيف كلمة أخرى، حول الجانب المسكوني للمصالحة وحول الوحدة في داخل الكنيسة الكاثوليكية. في الرسالة المقدمة في ختام سينودس الاساقفة الخاص للشرق الاوسط، المنعقد في روما من الـ 14 ولغاية 24 من تشرين الاول 2012، فقد كتبوا أباء السينودس: "نُسلم على الكنائس الاوثوذكسية والجماعات الانجيلية في بلداننا. نعمل معاً من أجل خير المسيحيين، كيما يبقوا، ينموا ويزدهروا. نحن نسير في ذات الطريق. نواجه ذات التحديات ومستقبلنا واحد. نود أن ننقل شهادة رسل المسيح. بوحدتنا فقط نستطيع أن أن نُكمل الرسالة التي عهدها الله للكل، رغم الاختلاف بين كنائسنا. صلاة يسوع هي قوتنا، ووصية المحبة هي التي توحدنا، حتى لو أن الطريق نحو الوحدة الكاملة لازال طويل امامنا" رسالة، رقم 7.
الرسالة تعترف أن الطريق لا يزال طويل امامنا. أود أن الفت النظر بعدم أتخاذ الطرق المختصرة التي لا تحترم الهوية الخاصة، وتخلق ارتباكات وتحمل على اللامبالات والنسبية. من المؤلم المشاركة في أحدى ليتورجيات اخوتنا الاورثوذكس، كجناز مثلاً، أو زواج والامتناع عن التناول، أي بمعنى الامتناع عن مقاسمة قمة الاحتفال. ولكن هناك، حيث ليست الوحدة بعد ممكنة، لا يجب أن يكون هناك ارتباك. سيكون هناك الالم، وبشكل خاص لربما في داخل العائلة الواحدة بزواجات مختلطة. لذا يجب ان لا ناخذ بالاختصارات، رجاءاً. "في هذه المسيرة الجريئة نحو الوحدة، تحذر الرسالة "Ut unum sint" للبابا يوحنا بولس الثاني، حول الالتزام المسكوني، في العدد 79، الايمان الشفاف والحكيم يتطلب منا أن نتجنب البطولات الكاذبة والاهمال لقوانين الكنيسة". هذه الذبيحة التي تقومون بها، هذه المقاسمة التي تجعلكم تتالمون، اذا احببتم ستحمل ثمارها.
خطاب آخر شبيه بالاول، يمكن عمله فيما يخص الطقوس المختلفة، في داخل الكنيسة الكاثوليكية. تم التنويه لي أن كهنة معينين "يخلطون" طقوس مختلفة. من دون فائدة، لا من أجل حماية الهوية ولا من أجل الارتقاء بالوحدة. هذه (الوحدة) بالحقيقة، تُبنى من خلال المحبة المتبادلة واحترام الاخر في اختلافه. وحدة لا تعني خلط الامور، وانما الاحترام والمحبة. "أحبب طقوس الاخرين كما تُحب نفسك"، أجل يجب أن نقول هذا، ولهذا بالذات يجب أن تحترم طقسك وطقس الاخرين. الاختلاف هو غنى، فقط الانقسام هو فقر.
وختاماً، اود أن اشكركم لكل ما تقومون به، من الخدمة الجلية للجماعات الضعيفة والمرتابة وللشهادة التي تعطونها والتي غالباً ما تكون متالمة. كونوا مثالاً للقطيع المتكامل ولا تخور قلوبكم لاننا لا يجب أن نخاف، فالمسيح قام، وهو معنا كل الايام حتى انقضاء العالم (متى 28: 20). أن تكون كاهناً اليوم في العراق، هو تحدي مثير ومحفز. المهم هو ان لا تنسوا اللحظة التي قررتم بها بذل حياتكم للرب وللاخوة. انه اختيار يتجدد يومياً، ذاكرين كلمات يسوع المتطلبة: "من اراد أن يتبعني، فليزهد بنفسه ويحمل صليبه ويتبعني. لأن الذي يريد أن يخلص حياته يفقدها، وأما الذي يفقد حياته في سبيلي فإنه يجدها" (متى 16: 24- 25