By Asia News
by Louis Sako, Arcivescovo di Kirkuk
 Pubblichiamo di seguito il  discorso di mons. Louis Sako, arcivescovo di Kirkuk, nel nord dell'Iraq,  durante un incontro di preghiera organizzato il 25 maggio scorso a  Parigi, in Francia, da Aiuto alla Chiesa che soffre (Acs). La chiesa in  cui si è tenuta la celebrazione era colma di fedeli, accorsi per  ascoltare la testimonianza di personalità della Chiesa universale,  provenienti da aree o Paesi in cui i fedeli sono in difficoltà o  perseguitati a causa della religione professata. 
Si sono così alternati gli interventi del card. Joseph Zen sulla  Chiesa in Cina, cui è seguito il discorso di Paul Bhatti, fratello del  ministro pakistano Shahbaz assassinato dai fondamentalisti islamici il 2  marzo 2011, oggi Consigliere speciale del premier per l'Armonia  nazionale; ancora, mons. Kirrolos William Simaan, vescovo copto di  Assiut in Egitto e, infine, mons. Sako per l'Iraq. 
I partecipanti all'incontro di preghiera, voluto con forza da  Acs, hanno scandito i nomi dei martiri cristiani del 2011 e di questi  primi mesi del 2012, accendendo alcune candele poste davanti alle loro  foto. La veglia è stata inoltre preceduta da una messa concelebrata dai  porporati e prelati presenti, presieduta dal nunzio apostolico in  Francia.Ecco, di seguito, l'intervento di mons. Louis Sako  che AsiaNews volentieri riceve e pubblica:
La nostra Chiesa è apostolica perché è martire. La fede non è né una questione ideologica, né un'utopia, quanto piuttosto un legame personale, a volte esistenziale con la persona di Cristo, che amiamo e al quale doniamo l'intera nostra vita. Per Lui, bisogna ogni giorno andare un po' più lontano, fino al sacrificio. Tale è l'espressione assolta della fedeltà a questo amore: oggi più che mai, in Iraq noi siamo consapevoli che credere significa amare e amare significa donarsi.
La nostra Chiesa è apostolica perché è martire. La fede non è né una questione ideologica, né un'utopia, quanto piuttosto un legame personale, a volte esistenziale con la persona di Cristo, che amiamo e al quale doniamo l'intera nostra vita. Per Lui, bisogna ogni giorno andare un po' più lontano, fino al sacrificio. Tale è l'espressione assolta della fedeltà a questo amore: oggi più che mai, in Iraq noi siamo consapevoli che credere significa amare e amare significa donarsi.
Nel Vangelo, prima e dopo la Risurrezione, molte volte Gesù rassicura  i suoi discepoli dicendo loro: "Non abbiate paura". E quando Gesù ce lo  ripete oggi, si fonda sull'amore del Padre per noi e sul suo amore a  Lui. Un amore al quale noi stessi, per parte nostra, possiamo rispondere  e che è strettamente legato alla nostra fede. L'amore e la fede, sono  in realtà la medesima cosa. Vanno a braccetto. È questo amore senza  limiti che dà senso alla vita. E che le dona al contempo la sua  dimensione eterna, perché quanti si amano sanno che il loro amore li  supera ed rappresenta il vero mistero. L'amore è il paradigma della vera  via per la risurrezione. 
Per noi, cristiani d'Iraq, in quanto minoranza perennemente costretta  alle difficoltà e al sacrificio, sappiamo bene cosa significhi essere  perseguitati, sequestrati, uccisi. Sappiamo per certo cosa vuol dire  sentirsi impotenti! Siamo consapevoli dei rischi, ma la nostra fede ci  dona il coraggio di continuare a sperare e amare. La nostra Chiesa è  apostolica non solo perché è fondata dagli apostoli, ma perché è martire  come lo è stata la Chiesa degli apostoli. Seguendo l'esempio dei nostri  martiri irakeni, che non possiamo certo dimenticare, noi troviamo la  forza di perseverare, sperando in un cambiamento dei cuori di tutti gli  uomini dove germoglia la grazia divina. 
Non posso dimenticarmi di Fadi, un bambino dolce ucciso davanti alla  nostra chiesa di Notre-Dame a Kirkuk. E neanche del vice-diacono Wayil.  Né le due sorelle Marguerite e Fadilla, sempre presenti alla messa della  sera, così come non si può scordare mons. Faraj Rahho e p. Raghid  Ganni. Sono sicuro che il sacrificio di 973 cristiani e delle migliaia  di musulmani in Iraq non sarà vano. Contribuirà un giorno alla  comprensione dell'amore, in quanto significato possibile della vita. 
I cristiani del mondo interno hanno bisogno oggi di "rinnovare" il  loro impegno nel seguire Cristo, misurandolo col martirio sopportato dai  cristiani perseguitati, in Iraq e nel resto del mondo. Al contrario,  sono la preghiera, la solidarietà e il sostegno dei nostri fratelli e  delle sorelle cristiani d'Occidente e altrove, che ci danno il coraggio  di restare nella nostra terra e nelle nostre chiese in Iraq. È proprio  questa unione a distanza con tutti i cristiani che ci aiuta a vivere  qui, in pace accanto ai musulmani, per continuare la nostra presenza e  la nostra testimonianza di amore e perdono. 
 
