By Missione Oggi Novembre 2011
di Federico Tagliaferri
A un anno di distanza dalla conclusione del Sinodo per il Medio Oriente, qual è la sua impressione sull’evento?
Sono stato io a proporre la convocazione di un Sinodo per il Medio Oriente, durante la visita ad limina in Vaticano. In quell’occasione dissi al Santo Padre: “Noi siamo piccole Chiese in Medio Oriente e non avremo un futuro se non ci aiutate. Abbiamo bisogno di un Sinodo per fare autocritica, per elaborare una nostra visione e per fare piani per il futuro”. Avevo preparato due pagine di riflessioni, in cui in poche righe riassumevo le principali questioni che secondo me caratterizzano le Chiese del Medio Oriente e le consegnai al Papa. Che subito mi disse: “È una buona idea!”. Così è nato il Sinodo. Ma la sua preparazione non è stata né buona né approfondita. Ci sono state riunioni e iniziative da parte delle Chiese orientali, ma non è stato preparato nulla di serio. Nonostante ciò, i vescovi orientali nel corso del Sinodo hanno parlato liberamente e con coraggio. Ora aspettiamo l’esortazione apostolica post-sinodale, ma in realtà tutto dipende da noi: come tradurre nella vita concreta gli insegnamenti di questo Sinodo? Le Chiese locali devono darvi seguito, realizzare un follow up. Come Chiese orientali, siamo molto provati per tutti i problemi che viviamo: la persecuzione, l’emigrazione, le prospettive poco incoraggianti che scaturiscono dalla “primavera araba” in Siria e in Egitto.
Che cosa intende per preparazione “non buona”?
In vista del Sinodo, ci hanno inviato un questionario, che è servito a definire i lineamenta, ma non ci sono stati incontri fra i vescovi dell’Iraq, ad esempio, ma nemmeno altrove, né sono stati coinvolti i laici. Io ho organizzato incontri nella mia diocesi, ma a livello di Chiesa c’è stato poco o niente. Non c’è stata una riflessione appropriata. Quali sono le nostre paure, quali le nostre speranze, che cosa ci aspettiamo? Quale solidarietà chiediamo alla Chiesa cattolica, alla Santa Sede e ai nostri fratelli cristiani occidentali? Che cosa fare con i musulmani? Come dialogare con loro? Il fondamentalismo islamico è ormai un fenomeno importante, non è un fatto trascurabile o di singoli individui: come cercare un modo per vivere insieme in pace come cittadini? Lo scopo del Sinodo era cercare una risposta a queste domande, avviare un ragionamento su questi temi, tra cui emerge quello del dialogo: vogliamo chiedere ai musulmani come pensano che debbano essere i rapporti tra cristiani e musulmani. Vogliamo chiedere loro: dove sta andando questo dialogo? Che scopo ha? È una semplice cordialità, una cortesia, che cos’è in realtà?
Qual è la sua opinione in merito?
Io preferisco dialogare con i musulmani che parlano schietto, che dicono la verità. Al Sinodo erano presenti, come invitati, due musulmani, uno sunnita e uno sciita. Quello sunnita è un personaggio molto noto, ma quando parla sembra un cristiano, per lui tutto è bello, tutto è pace. Ma non ha alcun seguito. Anche l’ospite sciita ha detto che non ci sono problemi, che tutto va bene, che l’islam è la religione della pace, che i musulmani rispettano i cristiani, che i musulmani amano Gesù e Maria, ecc. Allora, premesso che il loro Gesù non è il nostro e che la Maria presente nel Corano non è la stessa del Vangelo, io invece preferirei parlare con un rappresentante di al-Azhar (la millenaria e autorevole università islamica del Cairo – n.d.r.) vorrei un dialogo obiettivo, basato sulla verità, sul coraggio, che dica le cose come sono. Mi aspetto che anche i cristiani dicano la loro fede com’è, altrimenti l’altro non capisce. Io rispetto i musulmani, ma chiedo rispetto da parte loro. Bisogna anche aiutare i musulmani a fare un’autocritica nella loro religione, come abbiamo fatto noi da un secolo a questa parte. Se essi credono che il Corano è parola di Dio, dettato da Dio, perché avere paura di uno studio critico? Noi abbiamo fatto tutte le analisi e tutti gli studi possibili sul Vangelo e non abbiamo avuto paura! Anch’essi devono riconoscere i segni dei tempi! E possono imparare dall’esperienza cristiana.
Al Sinodo erano presenti “delegati fraterni” delle Chiese ortodosse. Che cosa si è detto dell’antica e delicata questione del “primato petrino”?
Solo un paio di persone ne hanno parlato, ma non è stato fatto alcun approfondimento. Ci vorrebbe un Sinodo fra cristiani cattolici e cristiani ortodossi per studiare la questione! Secondo me, però, non è un problema difficile da risolvere. In tutte le Chiese ortodosse, infatti, c’è un profondo rispetto per Pietro e per la Chiesa di Roma, ma ciò non significa che vi sia un vincolo giuridico. Infatti, ciò che fa problema è la giurisdizione. Ma in un mondo che è diventato un villaggio globale, oggi ci vuole un’autorità unica per tutti i cristiani. Penso che il “primato petrino” non sia un ostacolo per l’unità dei cristiani. Tutte le Chiese apostoliche affermano che a livello di fede non vi sono differenze, che si tratta di una questione terminologica. Ciò che veniva chiamato “eresia” ora non esiste più, si tratta di un problema di cultura e di terminologia. Bisogna avere il coraggio di costituire una sola Chiesa, l’unità dei cristiani è una sfida anche per la nostra testimonianza, è un segno di credibilità da parte nostra. Io ho ottimi rapporti con le Chiese ortodosse, non credo ci saranno problemi. Ogni Chiesa può avere la sua liturgia, la sua lingua.
In una prospettiva interna alla Chiesa cattolica, visto il gran numero di cristiani orientali emigrati in Occidente (Stati Uniti, America latina, Australia, ecc.) e la nascita di varie diocesi nella diaspora, si è discusso il tema della “giurisdizione dei patriarchi”?
Ci sono due cose da dire. Da un lato è un bene che la Santa Sede, come “Chiesa madre”, aiuti le Chiese orientali, dall’altro rilevo che i cattolici di rito latino hanno tutti i diritti, senza limiti, possono creare ovunque nuove diocesi, come a Baghdad, dove di latini non ce ne sono. Invece nei paesi arabi del Golfo, dove ci sono molti cristiani orientali (anche caldei), noi non possiamo inviare un vescovo. Penso che un sistema così non vada bene, il criterio dovrebbe essere lo stesso per tutti. Io sono favorevole all’unicità del vescovo su un determinato territorio: andrebbe mantenuta la possibilità di inviare preti per i fedeli di altro rito, perché possano assisterli per un certo periodo di tempo, ma nominare un altro vescovo, caldeo o maronita che sia, nella stessa città, non va bene, non funziona. Questo è il mio parere, so che altri non sono d’accordo. Non credo che la storia, la liturgia, la lingua debbano essere d’ostacolo: se i fedeli orientali sono emigrati definitivamente in Occidente, devono integrarsi, per questo ci devono essere un’unica Chiesa e un unico vescovo e non le diocesi (delle Chiese orientali) nella diaspora, perché ciò favorisce l’emigrazione dei cristiani dal Medio Oriente, impoverendo le Chiese locali di preti e vescovi.
Quest’ultima è una delle preoccupazioni principali delle Chiese Orientali…
Sì, basta guardare ai numeri. Ad esempio a Baghdad una volta c’erano 35 preti, poi, dopo la caduta di Saddam Hussein (2003), ne sono rimasti solo 12. Ci sono le chiese vuote, la gente ha paura, ma noi siamo pastori, è lì che dobbiamo stare! Se c’è un futuro per i caldei, per i maroniti, è lì, non in Occidente. Bisogna incoraggiare e sostenere queste Chiese e non impoverirle. Aggiungo che non si devono creare senza necessità diocesi latine in Oriente, per i non orientali è sufficiente inviare dei missionari.
Che cosa può dire della proposta di istituire una festa comune annuale per i martiri delle Chiese d’Oriente?
Io sono tra coloro che hanno presentato questa proposta. Noi siamo una Chiesa martire: è il sangue versato per Cristo e per la Chiesa che ci dà la forza di continuare, di perseverare. Nessuno parla dei preti martiri! L’anno scorso, alla fine di ottobre, è stata attaccata la cattedrale di Baghdad. Due giovani preti si sono rivolti agli assalitori dicendo: “Sparate a noi, ma lasciate andare questa gente!”. Entrambi sono stati uccisi, insieme a 58 fedeli. Oltre cento sono rimasti feriti. Conoscevo bene i due preti, li ho formati nel mio seminario. Perciò, credo che sia possibile istituire una festa comune per le Chiese d’Oriente, ma anche con gli ortodossi, anch’essi hanno avuto dei martiri. È un punto su cui posiamo essere uniti, l’eccidio di Baghdad potrebbe essere la data di questa festa.
Quando è tornato nella sua diocesi, che cosa ha raccontato dell’esperienza del Sinodo?
Ho detto che il Sinodo è stato un evento positivo, che ci ha dato un forte impulso, che è stata un’occasione d’incontro e di scambio molto coraggioso, che aspettiamo l’ultima parola da parte del Santo Padre, che abbiamo speranze, ma che non dobbiamo sognare. Non aspettiamoci miracoli!
Sono stato io a proporre la convocazione di un Sinodo per il Medio Oriente, durante la visita ad limina in Vaticano. In quell’occasione dissi al Santo Padre: “Noi siamo piccole Chiese in Medio Oriente e non avremo un futuro se non ci aiutate. Abbiamo bisogno di un Sinodo per fare autocritica, per elaborare una nostra visione e per fare piani per il futuro”. Avevo preparato due pagine di riflessioni, in cui in poche righe riassumevo le principali questioni che secondo me caratterizzano le Chiese del Medio Oriente e le consegnai al Papa. Che subito mi disse: “È una buona idea!”. Così è nato il Sinodo. Ma la sua preparazione non è stata né buona né approfondita. Ci sono state riunioni e iniziative da parte delle Chiese orientali, ma non è stato preparato nulla di serio. Nonostante ciò, i vescovi orientali nel corso del Sinodo hanno parlato liberamente e con coraggio. Ora aspettiamo l’esortazione apostolica post-sinodale, ma in realtà tutto dipende da noi: come tradurre nella vita concreta gli insegnamenti di questo Sinodo? Le Chiese locali devono darvi seguito, realizzare un follow up. Come Chiese orientali, siamo molto provati per tutti i problemi che viviamo: la persecuzione, l’emigrazione, le prospettive poco incoraggianti che scaturiscono dalla “primavera araba” in Siria e in Egitto.
Che cosa intende per preparazione “non buona”?
In vista del Sinodo, ci hanno inviato un questionario, che è servito a definire i lineamenta, ma non ci sono stati incontri fra i vescovi dell’Iraq, ad esempio, ma nemmeno altrove, né sono stati coinvolti i laici. Io ho organizzato incontri nella mia diocesi, ma a livello di Chiesa c’è stato poco o niente. Non c’è stata una riflessione appropriata. Quali sono le nostre paure, quali le nostre speranze, che cosa ci aspettiamo? Quale solidarietà chiediamo alla Chiesa cattolica, alla Santa Sede e ai nostri fratelli cristiani occidentali? Che cosa fare con i musulmani? Come dialogare con loro? Il fondamentalismo islamico è ormai un fenomeno importante, non è un fatto trascurabile o di singoli individui: come cercare un modo per vivere insieme in pace come cittadini? Lo scopo del Sinodo era cercare una risposta a queste domande, avviare un ragionamento su questi temi, tra cui emerge quello del dialogo: vogliamo chiedere ai musulmani come pensano che debbano essere i rapporti tra cristiani e musulmani. Vogliamo chiedere loro: dove sta andando questo dialogo? Che scopo ha? È una semplice cordialità, una cortesia, che cos’è in realtà?
Qual è la sua opinione in merito?
Io preferisco dialogare con i musulmani che parlano schietto, che dicono la verità. Al Sinodo erano presenti, come invitati, due musulmani, uno sunnita e uno sciita. Quello sunnita è un personaggio molto noto, ma quando parla sembra un cristiano, per lui tutto è bello, tutto è pace. Ma non ha alcun seguito. Anche l’ospite sciita ha detto che non ci sono problemi, che tutto va bene, che l’islam è la religione della pace, che i musulmani rispettano i cristiani, che i musulmani amano Gesù e Maria, ecc. Allora, premesso che il loro Gesù non è il nostro e che la Maria presente nel Corano non è la stessa del Vangelo, io invece preferirei parlare con un rappresentante di al-Azhar (la millenaria e autorevole università islamica del Cairo – n.d.r.) vorrei un dialogo obiettivo, basato sulla verità, sul coraggio, che dica le cose come sono. Mi aspetto che anche i cristiani dicano la loro fede com’è, altrimenti l’altro non capisce. Io rispetto i musulmani, ma chiedo rispetto da parte loro. Bisogna anche aiutare i musulmani a fare un’autocritica nella loro religione, come abbiamo fatto noi da un secolo a questa parte. Se essi credono che il Corano è parola di Dio, dettato da Dio, perché avere paura di uno studio critico? Noi abbiamo fatto tutte le analisi e tutti gli studi possibili sul Vangelo e non abbiamo avuto paura! Anch’essi devono riconoscere i segni dei tempi! E possono imparare dall’esperienza cristiana.
Al Sinodo erano presenti “delegati fraterni” delle Chiese ortodosse. Che cosa si è detto dell’antica e delicata questione del “primato petrino”?
Solo un paio di persone ne hanno parlato, ma non è stato fatto alcun approfondimento. Ci vorrebbe un Sinodo fra cristiani cattolici e cristiani ortodossi per studiare la questione! Secondo me, però, non è un problema difficile da risolvere. In tutte le Chiese ortodosse, infatti, c’è un profondo rispetto per Pietro e per la Chiesa di Roma, ma ciò non significa che vi sia un vincolo giuridico. Infatti, ciò che fa problema è la giurisdizione. Ma in un mondo che è diventato un villaggio globale, oggi ci vuole un’autorità unica per tutti i cristiani. Penso che il “primato petrino” non sia un ostacolo per l’unità dei cristiani. Tutte le Chiese apostoliche affermano che a livello di fede non vi sono differenze, che si tratta di una questione terminologica. Ciò che veniva chiamato “eresia” ora non esiste più, si tratta di un problema di cultura e di terminologia. Bisogna avere il coraggio di costituire una sola Chiesa, l’unità dei cristiani è una sfida anche per la nostra testimonianza, è un segno di credibilità da parte nostra. Io ho ottimi rapporti con le Chiese ortodosse, non credo ci saranno problemi. Ogni Chiesa può avere la sua liturgia, la sua lingua.
In una prospettiva interna alla Chiesa cattolica, visto il gran numero di cristiani orientali emigrati in Occidente (Stati Uniti, America latina, Australia, ecc.) e la nascita di varie diocesi nella diaspora, si è discusso il tema della “giurisdizione dei patriarchi”?
Ci sono due cose da dire. Da un lato è un bene che la Santa Sede, come “Chiesa madre”, aiuti le Chiese orientali, dall’altro rilevo che i cattolici di rito latino hanno tutti i diritti, senza limiti, possono creare ovunque nuove diocesi, come a Baghdad, dove di latini non ce ne sono. Invece nei paesi arabi del Golfo, dove ci sono molti cristiani orientali (anche caldei), noi non possiamo inviare un vescovo. Penso che un sistema così non vada bene, il criterio dovrebbe essere lo stesso per tutti. Io sono favorevole all’unicità del vescovo su un determinato territorio: andrebbe mantenuta la possibilità di inviare preti per i fedeli di altro rito, perché possano assisterli per un certo periodo di tempo, ma nominare un altro vescovo, caldeo o maronita che sia, nella stessa città, non va bene, non funziona. Questo è il mio parere, so che altri non sono d’accordo. Non credo che la storia, la liturgia, la lingua debbano essere d’ostacolo: se i fedeli orientali sono emigrati definitivamente in Occidente, devono integrarsi, per questo ci devono essere un’unica Chiesa e un unico vescovo e non le diocesi (delle Chiese orientali) nella diaspora, perché ciò favorisce l’emigrazione dei cristiani dal Medio Oriente, impoverendo le Chiese locali di preti e vescovi.
Quest’ultima è una delle preoccupazioni principali delle Chiese Orientali…
Sì, basta guardare ai numeri. Ad esempio a Baghdad una volta c’erano 35 preti, poi, dopo la caduta di Saddam Hussein (2003), ne sono rimasti solo 12. Ci sono le chiese vuote, la gente ha paura, ma noi siamo pastori, è lì che dobbiamo stare! Se c’è un futuro per i caldei, per i maroniti, è lì, non in Occidente. Bisogna incoraggiare e sostenere queste Chiese e non impoverirle. Aggiungo che non si devono creare senza necessità diocesi latine in Oriente, per i non orientali è sufficiente inviare dei missionari.
Che cosa può dire della proposta di istituire una festa comune annuale per i martiri delle Chiese d’Oriente?
Io sono tra coloro che hanno presentato questa proposta. Noi siamo una Chiesa martire: è il sangue versato per Cristo e per la Chiesa che ci dà la forza di continuare, di perseverare. Nessuno parla dei preti martiri! L’anno scorso, alla fine di ottobre, è stata attaccata la cattedrale di Baghdad. Due giovani preti si sono rivolti agli assalitori dicendo: “Sparate a noi, ma lasciate andare questa gente!”. Entrambi sono stati uccisi, insieme a 58 fedeli. Oltre cento sono rimasti feriti. Conoscevo bene i due preti, li ho formati nel mio seminario. Perciò, credo che sia possibile istituire una festa comune per le Chiese d’Oriente, ma anche con gli ortodossi, anch’essi hanno avuto dei martiri. È un punto su cui posiamo essere uniti, l’eccidio di Baghdad potrebbe essere la data di questa festa.
Quando è tornato nella sua diocesi, che cosa ha raccontato dell’esperienza del Sinodo?
Ho detto che il Sinodo è stato un evento positivo, che ci ha dato un forte impulso, che è stata un’occasione d’incontro e di scambio molto coraggioso, che aspettiamo l’ultima parola da parte del Santo Padre, che abbiamo speranze, ma che non dobbiamo sognare. Non aspettiamoci miracoli!