Londra, 12. «La costante presenza dei cristiani nella regione è essenziale per il bene sociale e politico dei Paesi del Medio Oriente»: è il concetto espresso dall’arcivescovo di Canterbury, Rowan Williams, primate della Comunione anglicana, nel discorso pronunciato nei giorni scorsi alla Camera dei Lord, a Londra, durante un dibattito parlamentare sulla situazione delle comunità cristiane nei Paesi arabi del Vicino e Medio Oriente.
Williams ha ricordato che «per duemila anni la presenza cristiana nel Medio Oriente ha svolto una parte essenziale per le successive civilizzazioni». Per il primate anglicano, ignorare questa verità storica porta molte persone a pensare che sull’altra sponda del Mediterraneo o del Bosforo esista solo un mondo arabo e musulmano omogeneo. L’arcivescovo di Canterbury ha invece sottolineato che «il Medio Oriente non è una regione omogenea e la presenza dei cristiani è profondamente radicata nella sua realtà». Rivolgendosi direttamente ai membri della Camera dei Lord, li ha avvertiti che, «nel momento attuale, la situazione dei cristiani nella regione è più vulnerabile di quanto sia stata per secoli. Il flusso di profughi cristiani dall’Iraq in conseguenza di costanti minacce e attentati — è stato sottolineato — ha lasciato la comunità locale drammaticamente impoverita».
Un altro Paese arabo citato nel suo discorso da Rowan Williams è stato l’Egitto, dove i copti subiscono attentati e sono vittime di repressione. «Di recente — ha spiegato — la comunità copta ha visto aumentare il ritmo di emigrazione a livelli senza precedenti, impensabili pochi anni or sono». Tuttavia, per il primate della Comunione anglicana, il fenomeno più inquietante di flusso migratorio è quello che riguarda la comunità cristiana presente nei Territori palestinesi, che l’arcivescovo di Canterbury ha descritto come «una delle comunità cristiane più professionalmente evolute dell’intera regione, ma attualmente in rapido declino a causa della tragica situazione in cui attualmente versa la zona della cosiddetta West Bank».
Sul fenomeno della «primavera araba», Williams ha affermato che il futuro rimane ancora profondamente incerto: «Tale fenomeno non è stato in alcun modo un movimento religioso — ha detto — e la spinta al cambiamento è stata data da coloro che vogliono vedere al potere un governo responsabile, che credono in una politica di partecipazione, che reclamano una decisa definizione e difesa del diritto di cittadinanza, che chiedono la fine della repressione e del preponderante ruolo dei servizi di sicurezza (i quali possono compiere prepotenze e ricorrere anche alla tortura), e che auspicano la fine di una gestione che si basa sulla certezza dell’impunità». Williams, al riguardo, ha ricordato che il 9 dicembre si è celebrata la Giornata internazionale contro la corruzione.
Nel concludere la panoramica sui vari movimenti in atto nei diversi Paesi del Medio Oriente, l’arcivescovo di Canterbury ha sottolineato che «i cristiani della regione sono molto sensibili quando vengono descritti come una minoranza. Per loro questo termine può implicare che le loro comunità sono in qualche modo estranee o marginali anziché essere considerate le più antiche della regione e storicamente legate al tessuto sociale». Essi — ha spiegato — denunciano di subire un duplice attacco alla loro identità: da una parte, questo viene messo in atto da una nuova generazione di musulmani che li trattano come se fossero ormai dei pegni dell’Occidente; dall’altra, essi pensano di essere le vittime di una retorica occidentale che o li ignora totalmente o, sconsideratamente, li mette in grave pericolo perché pone in termini di confronto religioso ciò che invece è un vero conflitto, anche di carattere militare. L’arcivescovo di Canterbury ha infine espresso l’auspicio che «alle comunità cristiane venga garantito un ruolo nella loro patria storica e che possano partecipare in modo proficuo alla vita politica e alle dinamiche sociali». Per Williams, tuttavia, anche da parte dei fedeli che vivono nei Paesi occidentali è necessaria una maggiore conoscenza storica e un più profondo rispetto per le antiche tradizioni dei cristiani del Medio Oriente.
Williams ha ricordato che «per duemila anni la presenza cristiana nel Medio Oriente ha svolto una parte essenziale per le successive civilizzazioni». Per il primate anglicano, ignorare questa verità storica porta molte persone a pensare che sull’altra sponda del Mediterraneo o del Bosforo esista solo un mondo arabo e musulmano omogeneo. L’arcivescovo di Canterbury ha invece sottolineato che «il Medio Oriente non è una regione omogenea e la presenza dei cristiani è profondamente radicata nella sua realtà». Rivolgendosi direttamente ai membri della Camera dei Lord, li ha avvertiti che, «nel momento attuale, la situazione dei cristiani nella regione è più vulnerabile di quanto sia stata per secoli. Il flusso di profughi cristiani dall’Iraq in conseguenza di costanti minacce e attentati — è stato sottolineato — ha lasciato la comunità locale drammaticamente impoverita».
Un altro Paese arabo citato nel suo discorso da Rowan Williams è stato l’Egitto, dove i copti subiscono attentati e sono vittime di repressione. «Di recente — ha spiegato — la comunità copta ha visto aumentare il ritmo di emigrazione a livelli senza precedenti, impensabili pochi anni or sono». Tuttavia, per il primate della Comunione anglicana, il fenomeno più inquietante di flusso migratorio è quello che riguarda la comunità cristiana presente nei Territori palestinesi, che l’arcivescovo di Canterbury ha descritto come «una delle comunità cristiane più professionalmente evolute dell’intera regione, ma attualmente in rapido declino a causa della tragica situazione in cui attualmente versa la zona della cosiddetta West Bank».
Sul fenomeno della «primavera araba», Williams ha affermato che il futuro rimane ancora profondamente incerto: «Tale fenomeno non è stato in alcun modo un movimento religioso — ha detto — e la spinta al cambiamento è stata data da coloro che vogliono vedere al potere un governo responsabile, che credono in una politica di partecipazione, che reclamano una decisa definizione e difesa del diritto di cittadinanza, che chiedono la fine della repressione e del preponderante ruolo dei servizi di sicurezza (i quali possono compiere prepotenze e ricorrere anche alla tortura), e che auspicano la fine di una gestione che si basa sulla certezza dell’impunità». Williams, al riguardo, ha ricordato che il 9 dicembre si è celebrata la Giornata internazionale contro la corruzione.
Nel concludere la panoramica sui vari movimenti in atto nei diversi Paesi del Medio Oriente, l’arcivescovo di Canterbury ha sottolineato che «i cristiani della regione sono molto sensibili quando vengono descritti come una minoranza. Per loro questo termine può implicare che le loro comunità sono in qualche modo estranee o marginali anziché essere considerate le più antiche della regione e storicamente legate al tessuto sociale». Essi — ha spiegato — denunciano di subire un duplice attacco alla loro identità: da una parte, questo viene messo in atto da una nuova generazione di musulmani che li trattano come se fossero ormai dei pegni dell’Occidente; dall’altra, essi pensano di essere le vittime di una retorica occidentale che o li ignora totalmente o, sconsideratamente, li mette in grave pericolo perché pone in termini di confronto religioso ciò che invece è un vero conflitto, anche di carattere militare. L’arcivescovo di Canterbury ha infine espresso l’auspicio che «alle comunità cristiane venga garantito un ruolo nella loro patria storica e che possano partecipare in modo proficuo alla vita politica e alle dinamiche sociali». Per Williams, tuttavia, anche da parte dei fedeli che vivono nei Paesi occidentali è necessaria una maggiore conoscenza storica e un più profondo rispetto per le antiche tradizioni dei cristiani del Medio Oriente.