"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."

Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014

25 novembre 2021

Nuovo rapporto ACS: "Ascolta le sue grida" sulle violenze contro donne e bambine cristiane

24 novembre 2021

Dedicato alle donne, Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS) ha appena pubblicato un nuovo Rapporto, intitolato “Ascolta le sue grida. Rapimenti, conversioni forzate e violenze sessuali ai danni di donne e bambine cristiane”.
Nella Prefazione, a firma della giovanissima cristiana pachistana Maira Shahbaz, si legge fra l’altro: «Sono stata torturata e violentata. I miei aguzzini hanno filmato le sevizie infertemi e mi hanno ricattata minacciando di diffondere il video. Sono quindi stata costretta a firmare un documento in cui dichiaravo di essermi convertita e di aver sposato il mio rapitore. Se avessi rifiutato di farlo, avrebbero ucciso i miei familiari».
Questo passo descrive efficacemente l’oggetto del Rapporto di ACS. Lo studio si basa su fonti selezionate ed è scaturito dalle numerose segnalazioni giunte alla Fondazione dai rappresentanti delle Chiese locali e da altri riferimenti di fiducia: centinaia di denunce riguardanti bambine, ragazze e giovani donne appartenenti a famiglie cristiane costrette alla schiavitù sessuale e alla conversione religiosa, spesso dietro minaccia di morte.
Il Rapporto esamina sei nazioni: Egitto, Iraq, Mozambico, Nigeria, Pakistan e Siria. È arricchito da casi di studio descrittivi di altrettante storie di vittime: tre di essi riguardano le donne in Egitto, due in Iraq, uno in Mozambico, tre in Nigeria e tre in Pakistan.
Dallo studio emergono diversi risultati, fra i quali i seguenti:
tra tutte le appartenenti alle minoranze religiose, le ragazze e le giovani donne cristiane sono tra le più esposte agli attacchi;
pressione sociale, paura di gettare un’onta sulla propria famiglia, minaccia di ritorsioni da parte di rapitori e complici, resistenza da parte di tribunali e forze di polizia a seguire i casi sono fattori che spiegano la difficoltà di indagare il fenomeno;
la pandemia di coronavirus ha fornito un terreno fertile per atti di violenza sessuale; è emersa la maggiore incidenza di persecuzioni sessuali e religiose ai danni delle donne nelle situazioni di conflitto; ciò si è reso evidente durante la presa di potere da parte dell’ISIS (Daesh) in alcune aree della Siria e dell'Iraq; se ne ha notizia anche altrove, come ad esempio in Mozambico;
il movente dei perpetratori in molti casi è limitare la crescita, e a volte la sopravvivenza stessa, del gruppo religioso delle vittime;
casi sistematici di rapimenti, violenze sessuali, matrimoni e conversioni forzati di donne cristiane in Paesi come la Nigeria, possono essere classificati come casi di genocidio.
“Ascolta le sue grida. Rapimenti, conversioni forzate e violenze sessuali ai danni di donne e bambine cristiane” si propone come uno strumento operativo per sollecitare interventi urgenti. Per questo motivo, oltre a essere destinato ai benefattori della Fondazione, si rivolge a politici, funzionari pubblici, gerarchia ecclesiastica, giornalisti e ricercatori.

23 novembre 2021

ll Patriarca Sako: piattaforme digitali e social media usati per far male alla Chiesa

By Fides - Patriarcato Caldeo

Nell’era di internet, la diffusione delle reti sociali e il dilagare di blog e piattaforme digitali ha moltiplicato a dismisura la diffusione di interventi polemici e articoli che criticano in maniera spietata la Chiesa, scritti spesso da persone prive di ogni minima familiarità con la dottrina cristiana, e di ogni autentica connotazione ecclesiale, che puntano a “sostituire i fatti con le loro idee nuove e controverse”.
A rinnovare l’allarme sugli effetti laceranti prodotti da questo fenomeno sulla vita ecclesiale è il Cardinale iracheno Louis Raphael Sako, Patriarca della Chiesa caldea, che in una nota diffusa dagli organi di comunicazione del Patriarcato invita tutti i battezzati a non lasciarsi travolgere dall’alluvione di manipolazioni e imposture circolanti nella rete riguardo alla natura e alla vita della Chiesa, suggerendo a tutti di separare “il grano dalla pula” e di gettare senza indugi tutte le esternazioni digitali inutili e dannose nel “contenitore dei rifiuti”.
Nel suo intervento, il Cardinale iracheno sottolinea che gran parte delle polemiche e degli attacchi circolanti in rete riguardanti le vicende della comunità caldea, provengono da persone che vivono fuori dall’Iraq, e che approfittano delle libertà di accesso alle reti per scrivere tutto ciò che passa loro per la mente, senza alcuna accuratezza, ricorrendo a toni aggressivi e sopra le righe pur di seminare confusione tra le persone che camminano con semplicità nel solco della fede degli Apostoli.
Le milizie di questo esercito di “commentatori” digitali arruolati a tempo nelle polemiche intra-ecclesiali – nota il Patriarca – “non hanno pietà di nessuno, nemmeno del Papa”, e spesso perseguono proprie agende di potere, attingendo nelle loro critiche corrosive a categorie di matrice politica e mondana che occultano l’autentica natura della Chiesa. “Ricordo, ad esempio – racconta il Patriarca Sako - che una di queste persone scrisse: ‘È tempo che una rivoluzione riformi la Chiesa caldea e rovesci la dittatura della vecchia guardia’”. Un linguaggio che trattava la Chiesa alla stregua di “un Partito politico, o una dittatura militare come quella cilena di Augusto Pinochet”.
Da tempo alcune Chiese d’Oriente – come la Chiesa copta ortodossa – esprimono interessanti valutazioni critiche rispetto a chi esalta con eccitati entusiasmi l’impatto delle reti digitali e dei nuovi strumenti di comunicazione sulle dinamiche ecclesiali. Poco più di un anno fa, in un discorso rivolto agli esponenti del Rotary Club egiziano di Alessandria-Pharos, il Patriarca copto ortodosso Tawadros II volle ribadire che non sono certo i social media a poter aprire agli uomini e alle donne di oggi le porte del Paradiso, aggiungendo che le reti digitali di comunicazione sono “un'arma a doppio taglio”, come un "coltello" che può essere utilizzato correttamente o in maniera errata, con un potenziale distruttivo in grado di nuocere alle singole persone e lacerare il tessuto ecclesiale, come quello sociale.

Ricostruire il Paese, crescere nella fede: il messaggio dei giovani cristiani iracheni

Dario Salvi

Essere parte della ricostruzione di una nazione martoriata da guerre, violenze e dalla pandemia di Covid-19, rafforzare l’appartenenza alla Chiesa caldea e vivere la propria missione al servizio dell’altro con “spirito di carità”.
Questo il messaggio che alcuni giovani, presenti all’incontro promosso dalla Chiesa caldea dal 18 al 20 novembre a Baghdad, hanno voluto affidare ad AsiaNews. Una tre giorni di discussione, di preghiera, che ha permesso a 450 fra ragazzi e ragazze di “avvicinarsi” in maniera ancora più salda alla fede e di riflettere sul futuro della comunità cristiana e della stessa nazione irachena. Come ha sottolineato il patriarca, card. Louis Raphael Sako, nel discorso introduttivo essi sono “il nostro orgoglio” e hanno un ruolo essenziale grazie al loro “slancio creativo” per edificare una Chiesa sempre più “viva e forte”.
Di seguito, le testimonianze raccolte da AsiaNews con la collaborazione del sacerdote caldeo p. Albert Hisham:
Merna Nimat Ayad
23 anni, originaria di Baghdad Laureata in Finanza, lavora in Banca.
La fede mi ha aiutato molto nella vita pratica e nello studio, ma soprattutto nella realtà quotidiana e nelle difficoltà: essa mi ha dato la forza per superare il dolore ed è stata, in alcuni momenti, unica fonte di gioia e speranza. Per il mio Paese chiedo maggiore stabilità e più spazi di libertà. E che i cristiani possano esserne partecipi in modo più efficace della vita della nazione. In questi anni, nelle guerre e nella pandemia, abbiamo perso tanti parenti: un mio zio è stato ucciso dai terroristi. Con la migrazione abbiamo perduto anche tanti conoscenti, ma il primo ad aver sofferto è l’Iraq stesso perché sono venuti meno molti dei suoi cristiani. Di queste giornate di incontri ciò che resta è l’attenzione e l’interesse della Chiesa verso i giovani.
Daniella Rafeeq 
24enne di Erbil, nel Kurdistan iracheno. Laureata in medicina, lavora come dottoressa.
 La fede mi ha cambiato il modo in cui guardare la vita, perché so che Dio è con me e mi dà la forza per affrontare crisi, paure e difficoltà, di non cedere alla disperazione. Sul piano personale cerco di svolgere sempre la mia missione che è quella di testimoniare Cristo, perché con i nostri gesti possiamo essere esempio vito di carità verso tutti gli iracheni. Vivendo a Erbil, una zona relativamente sicura, non ho affrontato persecuzioni o violenze, ma ho imparato a mettermi al servizio di migranti e rifugiati venuti nella mia città. Con il Covid ho poi capito quanto sia importante essere più responsabili verso la vita degli altri, parenti e non. Infine, grazie a questo incontro ho potuto visitare Baghdad, che è molto bella nonostante le guerre; poi riunirsi con giovani dal nord al sud mi ha ricordato la comune appartenenza alla Chiesa caldea, in una società a maggioranza musulmana.
Waleed Khalid Wiliam 23enne di Bassora, nel sud dell’Iraq. Studi di medicina, oggi svolge la professione di chirurgo dentale.
La fede si è rivelata di grande aiuto in molti momenti di prova affrontati in passato e mi ha saputo infondere grande forza. Sul piano personale vorrei contribuire alla riforma e allo sviluppo del mio Paese, collaborando per migliorarlo attraverso l’onestà e la sincerità [contro ogni tipo di corruzione], partecipando in maniera attiva ai diversi settori della nostra multiforme società. Il Covid-19 e le violenze sono circostanze difficili che hanno fatto emergere l’essenza dei cristiani, lo spirito di carità, l’assistenza materiale e morale soprattutto a favore delle vittime delle guerre e di quanti sono colpiti dalla disoccupazione. Perché la comunità cristiana possa crescere è importante che incontri fra giovani possano ripetersi anche in futuro, avvicinando sempre più persone alla fede.
Ansam Yousif Zaya Allos Originaria di Kirkuk, 35 anni Diplomata in informatica, lavora come dipendente comunale.
 In questi anni travagliati, la fede è stata fonte di grande pace interiore, di fiducia in un Dio misericordioso e che mi ama sempre, anche quando io stessa non sono capace di farlo. Per l’Iraq vorrei un futuro brillante e questa speranza dipende anche dai cristiani, che sono il sale e la luce di questa società. Prima le guerre, l’Isis, poi la pandemia hanno rappresentato dei “giorni dolorosi” per noi cristiani, che ancora oggi siamo chiamati “minoranza”. Ma attraverso il nostro essere comunità e incontri come questo la speranza è di diventare una candela accesa che fa luce in mezzo a questo buio. In questi giorni mi sono sentita parte di un’unica famiglia che è la Chiesa, imparando attraverso i suoi occhi a leggere la parola di Dio.

19 novembre 2021

Il Patriarca Sako ai giovani caldei: nella Chiesa, resa viva da Cristo, voi non avete una “funzione decorativa”


Vorrei manifestare a ciascuno di voi la mia vicinanza e comprensione per le difficoltà e le emergenze che vi trovate ad affrontare, ma anche dirvi che non c'è motivo di disperare. Il Signore ci chiama ad essere una Chiesa viva e forte, una Chiesa che porta la sua parola, il suo amore e la sua salvezza”.
Con queste parole di conforto, il Cardinale e Patriarca iracheno Louis Raphael Sako ha iniziato il “discorso di benvenuto” rivolto ai più di 450 ragazzi e ragazze giunti a Baghdad da tutto l’Iraq per partecipare al primo Incontro della gioventù caldea, che ha preso il via giovedì 18 novembre presso la Cattedrale caldea di San Giuseppe. Un raduno giovanile – ha rimarcato il Patriarca – convocato come occasione per rinnovare il proprio incontro personale con Cristo, e che si aveva intenzione di organizzare da tempo, ma che era stato reso finora irrealizzabile per le tormentate vicende attraversate del Paese, per la mancanza di sicurezza negli spostamenti e poi per la pandemia da Covid-19.
Nel suo intervento, il Patriarca ha ricordato ai giovani cristiani che nella loro vita di fede hanno vissuto l’esperienza del martirio, definendoli “il nostro orgoglio”, e ha sottolineato in particolare che le giovani generazioni nella Chiesa non hanno una “funzione decorativa”, ribadendo che la vita ecclesiale ha bisogno dei loro talenti, dei loro pensieri e del loro slancio creativo. In merito al raduno di tre giorni convocato a Baghdad, il Cardinale iracheno ha espresso l’auspicio che esso diventi occasione per aiutare ogni partecipante a riscoprire le sorgenti della propria identità cristiana, così che la comunità ecclesiale possa anche offrire con più efficacia il proprio contributo alla rinascita della nazione e al bene comune del popolo iracheno.
L’incontro della Gioventù caldea si protrae fino a domenica 21 novembre, e ha come motto la frase “Voi siete una Chiesa viva”, parole pronunciate da Papa Francesco a Baghdad, nell’omelia della concelebrazione liturgica da lui presieduta nella Cattedrale caldea di San Giuseppe durante la sua visita pastorale in terra irachena. Durante la tre giorni, nei diversi momenti comunitari in agenda, l’attenzione si concentrerà intorno ad alcune questioni connesse all’incontro con Cristo e alla vita ecclesiale delle giovani generazioni caldee. I ragazzi e le ragazze riuniti a Baghdad saranno anche sollecitati a far conoscere le proprie aspettative in merito al cammino sinodale avviato nella Chiesa cattolica in vista della prossima Assemblea del Sinodo dei Vescovi.
L’esodo impressionante dei cristiani dall’Iraq registrato negli ultimi lustri ha interessato soprattutto le giovani generazioni di battezzati. L’incontro dei giovani convocato dal Patriarcato caldeo rappresenta un tentativo di farsi carico anche di questo fenomeno, e di interrogarsi sui tesori che conviene custodire e le grazie che occorre mendicare per veder fiorire e rifiorire il miracolo della fede in Cristo nelle vite di ragazzi e ragazze irachene.

18 novembre 2021

New Chaldean Bishop Has Firsthand Experience of ISIS’ Campaign of Genocide


An Iraqi priest whose family home was destroyed by ISIS has been consecrated bishop in a church he has spent the past four years restoring.
Chaldean Bishop Thabet Habib Yousif Al Mekko, a popular priest who for many years has dedicated himself to serving the faithful in his native Nineveh Plain town of Karemlash, was consecrated Bishop of Alqosh on Oct. 22 by Cardinal Louis Raphael Sako, the Chaldean Patriarch of Babylon.
In this Nov. 14 email interview with the Register, Bishop Mekko shares his reaction to his appointment, describes the current challenges facing Christians in northern Iraq four years after liberation from ISIS, and shares his hopes for the beatification of Father Ragheed Ganni and companions, who were martyred in 2007.
Father Ganni, who studied at the Pontifical University of St. Thomas Aquinas in Rome, was buried in Karemlash in the church of St. Adday that Bishop Mekko has spent the last few years helping to restore, after it was ransacked by the Islamic State militant group in the mid-2010s.
Bishop Mekko told the Register much still needs to be done to help restore the ancient Christian communities in the region, a major task, he said, that requires the charitable aid of the international community as well as commitment and dedication of the local faithful.
Your Excellency, What is your reaction to the news of your appointment?
Being chosen as bishop was truly surprising, and I was embarrassed because I was very attached to the parish I had been serving. I had many projects there relating to the restoration of the village of Karemlash, as well as many goals, both pastoral and social, to achieve as a priest. However, the call of the Lord triumphed and guided me to give my consent to accept this grace that I do not deserve.
How do you hope to exercise your ministry as a bishop to help local Christians?
Zeal for the Church has been energy-giving for me, so I hope to continue with more strength and zeal proclaiming the word of God and helping my Christian brothers have more confidence in their Christian calling in Iraq. The service I began as a priest aimed to create a means through which faith is integrated with social commitment and fidelity to our Christianity in Iraq.
What is the situation like at the moment in Alqosh?
The Diocese of Alqosh has its own particular challenges. One moves between areas of the diocese through checkpoints that belong to KRG [Kurdish Regional Government] and others manned by the federal government of Baghdad, the PMF [Popular Mobilization Forces of the Iraqi government]. Also, there are destroyed areas that must be reconstructed, and very many continue to be displaced as a result of the former ISIS [occupation]. The political and administrative situation is unclear because of the problems between the KRG and the federal government. Unemployment and young people are without work, so many families have gone away, leaving behind a void and problems that arise from this complicated situation. The government is providing services in accordance with its capabilities, but there are many things they could do better.
 How safe are Christians in the region? What are the current challenges they are facing, and how many have returned since the ISIS occupation of 2014-2017? And what is the status of rebuilding churches after their destruction and damage caused by ISIS?
Now the zone is secure, but always there are concerns that an ISIS-type scenario will return. When the federal government of Baghdad has forces in these areas, the security is strengthened, and Christians have more confidence. The problem is when there are Kurdish forces on one side of a Christian village and PMF forces on the other. Concern rises when there is disagreement and confrontation between these two sides. In the various regions of the diocese that ISIS occupied, 1,500 families have returned -- almost 50% of the original number. In the region of Tellskof, the churches have been restored, but still there is work to do. In Batnaya, where over 80% of the structures had been destroyed, the churches and religious sites have still not been restored; the houses even more so. In the village of Bakofa, the church has still not been rebuilt.
How concerned are you about the rise of the Taliban and other Islamic extremist groups in Afghanistan and the effect it could have on Iraq and the region?
We would hope that the Iraqi government would be alert to the challenges of exporting Islamic militants from Afghanistan to Iraq. If there are concerns about this, they will lessen if the government is strong, and the international community helps it in its war against terrorism.
What is the situation like in your native Karemlash? What is the latest news on the cause of Father Ragheed Ganni, who is buried there? Will a shrine be built in his memory?
Karemlash still has many burned houses and needs restoration work. Families still have to return, and there are concerns about demographic changes there. We are waiting for the beautiful news about the beatification of Father Ragheed and his companions. In the Church of St. Adday, where tomb of Father Ragheed lies and where the remains and relics of Father Ragheed and his companions are placed in anticipation of them being proclaimed "Blessed," I have had a chapel constructed. We hope to build a shrine to them. In nearby Qaraqosh is a Chaldean community that Father Ragheed served. He founded a pastoral house there, and today we are building a small church in the town for those faithful. I think this church in Qaraqosh will be a beautiful memorial to him.
What can the faithful do to help you and your work there?
A bishop without priests and the faithful gives his existence no meaning, so the local faithful of the diocese can do a great deal, first of all by receiving the Word of God and enabling the gifts of the Holy Spirit within them in order to serve in the Mystical Body of Christ. Concerning our faithful brothers in the world, we hope that they help to meet the charitable needs of the diocese in its pastoral work and reconstruction, knowing that their brothers in the Diocese of Alqosh are incapable of ameliorating the harsh situation alone.

Kurdistan iracheno, passi avanti nella lotta alle espropriazioni illegali subite da proprietari cristiani

By Fides

Nella Regione autonoma del Kurdistan iracheno prosegue senza interruzioni la raccolta di documenti e denunce sugli espropri illegali di beni immobili – case e terreni – subiti negli ultimi lustri da proprietari cristiani. Comitati locali hanno avviato le procedure per realizzare una mappatura dettagliata delle proprietà espropriate illegalmente e acquisire informazioni relative ai titoli di possesso dei legittimi proprietari e alle circostanze concrete in cui sono avvenuti gli espropri illegali. 
Mercoledì 17 novembre Reber Ahmed, Ministro dell’interno nel governo della Regione autonoma, ha dato conto in una conferenza stampa dei riscontri avuti durante la visita da lui compiuta nel governatorato di Dohuk, per verificare sul campo le procedure di raccolta dati avviate dalla Commissione istituita ad hoc lo scorso aprile, su input del governo regionale, con l’intento di contrastare il fenomeno degli accaparramenti abusivi di beni immobiliari appartenenti per lo più a membri di comunità etniche e di fede minoritarie, a partire dai cristiani.
Il Ministro ha confermato ai media di aver avuto ragguagli incoraggianti sull’acquisizione di denunce e materiali acquisiti in questa fase istruttoria dai comitati costituiti in loco, e negli incontri avuti con i rappresentanti delle amministrazioni locali - compresi quelli del governatorato di Dohuk e della città di Zakho – ha confermato la risoluta intenzione del governo regionale di procedere a un integrale ripristino per via legale dei diritti di proprietà violati negli ultimi lustri a danno di cittadini cristiani e appartenenti ad altri gruppi minoritari. Il materiale raccolto dai comitati locali sarà sottoposto all’attenzione della Commissione governativa competente, che dovrà poi definire le procedure concrete per restituire ai legittimi proprietari terreni e case espropriati illegalmente, sia prima che dopo la caduta del regime di Saddam Hussein.
L’istituzione di una Commissione governativa ad hoc incaricata di verificare e frenare i sistematici espropri illegali subiti negli ultimi anni da proprietari cristiani nel Kurdistan iracheno (e soprattutto nel governatorato di Dohuk), ha concretizzato un input espresso dal Governo della Regione autonoma nell’agosto 2020. Il compito affidato alla Commissione è quello di raccogliere documentazione, ascoltando anche le istanze e le giustificazioni delle parti coinvolte, in modo da tracciare una vera e propria mappatura delle proprietà dei cristiani fatte oggetto di esproprio abusivo negli anni in cui tutta l’area nord-irachena viveva la drammatica esperienza connessa alle conquiste delle milizie jihadiste di Daesh e alla creazione dell’auto-proclamato Stato Islamico.
Gli espropri su vasta scala di terreni e beni immobiliari appartenenti a famiglie cristiane sire, assire e caldee della regione del Kurdistan iracheno, come riferito dall'Agenzia Fides, furono denunciati con particolare veemenza nel 2016. Secondo le denunce presentate, gli espropri illegali venivano messi in atto da concittadini curdi, che operavano singolarmente o in maniera coordinata con altri membri del proprio clan tribale. Già a quel tempo il dottor Michael Benjamin, direttore del Centro Studi Ninive, riferiva che nel solo Governatorato di Dohuk esisteva una lista di 56 villaggi in cui l'area di terreno sottratto illegalmente a famiglie cristiane era pari a 47.000 acri. Il 13 aprile 2016, alcune centinaia di cristiani siri, caldei e assiri, provenienti dalla regione di Nahla (Governatorato di Dohuk) avevano organizzato una manifestazione davanti al Parlamento della Regione autonoma del Kurdistan iracheno per protestare contro le espropriazioni illegali dei propri beni immobiliari subite negli anni precedenti ad opera di influenti notabili curdi, già più volte denunciate senza esito presso i tribunali competenti. Negli ultimi anni, gli espropri illegali hanno preso di mira in maggior parte terre e case appartenenti a cristiani che hanno lasciato l'area soprattutto a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso, per sfuggire ai conflitti regionali e alle violenze settarie e tribali esplose con maggior virulenza dopo gli interventi militari delle coalizioni internazionali.

17 novembre 2021

Iraqi Christian leaders hope to continue building on pope’s March visit

Dale Gavlak

Nahla and Valentina like to stop and pray at Mar Elia Chaldean Catholic Church in the center of this small majority Christian community.
The grounds of the church once sheltered several hundred Christians who were forced to flee their homes in 2014 when Islamic State militants attacked Mosul and surrounding villages some 50 miles away.
 The tents and caravans that dominated the property are gone, but the women say many Christian families remain unable to return home.
 “Although we are from Ankawa, there are still many displaced in our midst from Mosul, Qaraqosh, and other towns, but they are now in apartments, having to pay rent and wondering if they will ever be able to go back,” Nahla told the Catholic News Service after lighting a candle near the saint’s statue. “The pope gave us a lot of hope with his visit in March. It was wonderful to see our churches united in welcoming him and enjoying the many Masses, but in practical ways, we don’t feel much has changed in the circumstances,” she said.
“Being separated is so difficult.” Chaldean Catholic Archbishop Bashar Warda of Irbil and other church officials acknowledge the pain that many still feel, but Archbishop Warda said the papal visit helped to inspire and recharge Iraq, which has struggled to regain a firm footing after years of conflict and sectarian violence. He and others point to demonstrable, positive developments experienced by Iraqi Christians since Pope Francis’ successful visit, but recognize the challenges that the Christian community still encounters and wants to overcome.
“Pope Francis brought a message of hope, courage and bravery, coming in the middle of the coronavirus to a not very stable country. We cannot expect him to solve all the problems and heal minds, but he reached out in goodwill to those suffering, whether Christians, Yazidis or Muslims,” Archbishop Warda told CNS at St. Joseph’s Cathedral in Ankawa.
“Yes, there are still camps for internally displaced people, but there is life in the areas liberated from the Islamic State. This reality can’t be separated from the story of Iraq. Pope Francis came as a pilgrim and stood with us in solidarity,” Archbishop Warda said.
“There is a lack of trust among the people. We need to understand the deep wounds. But I am a man of hope. We should keep pressing ahead, because it’s the work of Christians and Iraqis to help bring about the needed reconciliation,” he said. Ankawa, once a Christian enclave of Irbil, the capital of Iraqi Kurdistan, was recognized in October by the governing authority as its own official district. This means that the town’s Christians will now directly elect their own mayor and have responsibility for security and other matters. Archbishop Warda said he believes the papal visit helped to raise Ankawa’s profile in the eyes of the governing authorities. Prime Minister Masrour Barzani of the Kurdistan Regional Government recently referred to Ankawa as a home for “religious and social coexistence, and a place for peace.”
 “Pope Francis’ visit highlighted the historical presence of Christians in Iraq, and Ankawa was at its center, with the papal Mass celebrated at the largest Christian outdoor gathering. Here, we are working to build the future. The culture of coexistence found here should be a model,”
Archbishop Warda said.
He pointed to four schools, a university and a hospital built in Ankawa under his stewardship; all have provided local people with badly needed employment.
“This demonstrates to people that the church is committed to stay in Iraq, and we hope this is a sign that they, too, can make a commitment themselves to remain,” said Stephen Rasche, who serves as the vice chancellor at the Catholic University in Erbil and counsel to the Chaldean Archdiocese of Irbil.
 “There is an effort on behalf of the community to show that there is a future and a hope. It also shows non-Christians that there is a proper place for Christians and the contribution that they make to the community,” he told CNS. “Catholics have historically engaged in education and health care for all people, regardless of their religious background.”
 In October, the Catholic University in Erbil celebrated its first graduating class. The university first opened its doors in 2015 in the midst of the Islamic State genocide perpetrated against Iraq’s religious and ethnic minorities. Christians have existed in Iraq since the time of Christ, but their numbers have dwindled from some 1.5 million before the 2003 U.S.-led invasion.
Estimates put the current Christian population between 250,000-500,000. “Unfortunately, we might be unable to restore Christian demography, but we need to and can restore the Christian role and presence through these educational centers, hospitals and other services. We have started to touch lives, but we need to do more,” said Father Emanuel Youkhana, who runs the Christian Aid Program Northern Iraq, a Christian program for displaced Iraqis around the northern city of Dahuk. “The papal visit showed that Iraqi Christians are deeply rooted,” said Father Youkhana, a priest, or archimandrite, of the Assyrian Church of the East. “Through his moral influence, the Holy Father gave a clear message to Iraqi politicians and the government: All Iraqis must count.” “For the past 2,000 years, Christians are an added value for these communities and are giving a lot to Iraq. We are much more needed now because we can be the bridges. This is what we need in Iraq, to bridge the people,” Father Youkhana told CNS.
He said that Pope Francis “did his homework; however, now Iraqi Christians must do theirs” by providing practical programs to uplift Iraqis. One way, he said, is to “start to have an interchurch platform that is tackling both economics and spiritual life of the people and also to invest in the new generation of open-minded bishops.” “Ankawa is a great model of young bishops. We are starting to touch lives. … We don’t expect His Holiness to come every year here. He paved the way, and we have to follow,” Father Youkhana said.

Ausiliare di Baghdad: un incontro rivolto ai giovani, parte di una ‘Chiesa viva’


Foto Mons. Basel Yaldo
Dare “speranza” ai giovani iracheni che sono “parte di una Chiesa viva”, come ha sottolineato papa Francesco nel marzo scorso, durante lo storico viaggio nel Paese arabo; un evento speciale, perché in una fase “difficile” a livello politico, sociale ed economico è compito delle istituzioni ecclesiastiche indicare “una strada per il futuro”.
È quanto afferma ad AsiaNews mons. Basilio Yaldo, ausiliare di Baghdad e stretto collaboratore del patriarca caldeo Louis Raphael Sako, presentando l’incontro dei giovani caldei in Iraq in programma nella capitale dal 18 al 20 novembre. Un appuntamento che precede la Giornata mondiale della gioventù, che quest’anno si celebra a livello diocesano domenica 21 novembre.
“In questo periodo complicato - sottolinea il prelato - vogliamo che i giovani possano trovare un punto di riferimento, un luogo di confronto e una via da seguire”. Per la prima volta nella storia della Chiesa caldea oltre 450 giovani, maschi e femmine, fra i 18 e i 35 anni, si riuniranno a Baghdad provenienti da sette diocesi: da Bassora nel sud a Zakho, nel Kurdistan iracheno, da Kirkuk ad Alqosh, Mosul e la piana di Ninive. Un evento “voluto con forza dal patriarca, il card. Sako” che lo ha proposto nell’ultimo incontro del Sinodo caldeo.
Da tre mesi, prosegue mons. Yaldo, “stiamo lavorando per questo evento” lanciato un anno fa, già prospettato più volte in passato “e poi rimandato per questioni legate alla sicurezza. Sono in programma seminari, momenti di preghiera, lezioni di catechismo, testimonianze di fede e approfondimenti di alcune tematiche di attualità, anche politica, della vita della nazione. “Sarà presente il patriarca - aggiunge l’ausiliare di Baghdad - con una lezione di catechismo e poi delle domande che lui stesso vuole rivolgere ai giovani sul futuro dell’Iraq, il loro ruolo e le loro responsabilità, come possono aiutare e contribuire allo sviluppo della nazione”.
Vi sono poi testimonianze sulla vita nelle diverse diocesi, indicazioni sulle modalità di annuncio del Vangelo, cui si alterneranno momenti di svago, giochi e gare di gruppo. “Un momento bello per stare assieme - auspica il prelato - che si concluderà con una messa solenne celebrata dal cardinale sabato 20 novembre”. Sono stati i giovani in prima persona “ad affermare l’urgenza di un incontro” spiega mons. Yaldo, perché hanno bisogno di “tornare alla vita”, di sentirsi di nuovo comunità “dopo il buio della pandemia di Covid-19, che ha fermato per quasi due anni le attività”. “Ragazzi e ragazze - prosegue - vogliono qualcosa che sia per loro un segnale di ripresa, al quale hanno risposto in modo molto positivo, con un‘adesione altissima. E altri ce ne saranno in futuro, visto che è in cantiere un incontro per i giovani caldei di tutto il mondo, dall’America all’Australia”.
Partendo dal motto “Voi siete una Chiesa viva”, l’obiettivo di questa tre giorni è trasmettere “un segnale di speranza, rafforzando il valore della sinodalità” che abbraccia consacrati e laici. Come patriarcato caldeo “vogliamo essere vicino ai giovani, aiutarli a trovare lavoro per fermare questa migrazione”. “Infine, abbiamo pensato anche a testimonianze di giovani sacerdoti e suore - conclude l’ausiliare di Baghdad - per far nascere il desiderio della vocazione, partendo dall’ascolto, dal dialogo e dalla preghiera… guardiamo al futuro con rinnovata fiducia!”.

"Voi siete una Chiesa viva", incontro dei giovani caldei a Baghdad

Gabriella Ceraso

Si sono già iscritti in 450, arrivano da Baghdad e da sette diocesi caldee di tutto il Paese e si sono dati appuntamento nella Cattedrale caldea di San Giuseppe. Il filo conduttore saranno le parole del Papa durante la visita storica compiuta in Iraq nel marzo scorso. Così prende il via il grande raduno che animerà la capitale irachena dal 18 al 20 novembre alla vigilia della Giornata mondiale della Gioventù, che quest’anno per la prima volta si celebra nella domenica di Cristo Re, dopo lo spostamento dalla data tradizionale della Domenica delle Palme.
A volerla il patriarca caldeo, il cardinale Louis Raphael Sako, che ha invitato a partecipare come relatore anche il premier Mustafa al-Kadhimi, ma dopo l’attentato subito dal politico nei giorni scorsi, la presenza resta da confermare.
"Se venisse sentirebbe le speranze e la forza dei nostri giovani che sono specchio della gioventù irachena", spiega padre Albert Hisham, responsabile della comunicazione dell'incontro. Ci spiega l'organizzazione e lo spirito di adesione dei giovani.
"Con coraggio si sono iscritti, in questo Paese non è facile. Eppure ci saranno e questo perché nutrono speranze e aspettative, desiderano sviluppare la riflessione proprio sulla figura di Cristo che sarà centrale".
Non mancheranno momenti dedicati al cammino sinodale, da poco avviato anche nelle diocesi irachene. Dopo una presentazione e il messaggio di benvenuto del cardinale Sako, il primo giorno, si alterneranno nelle giornate successive riflessioni, momenti di festa e e testimonianze.
Possono essere i giovani il futuro della Chiesa in Iraq? Quali sono le loro abitudini, il loro impegno?
Padre Albert spiega che i giovani caldei sono impegnati in ogni ambito sociale, sono appassionati e lavorano perché amano il loro Paese. La politica li interessa solo in parte e spesso, data la situazione sempre più difficile, si sentono lontani da questo ambito.
"Vero - afferma padre Albert - che alcuni giovani pensano di andare via, perchè il futuro qui è incerto, ma ce ne sono tanti che, col sostegno della Chiesa locale e universale, restano e lavorano, volendo dare una testimonianza". Il cardinale Sako lo chiede spesso a tutti i cristiani d'Iraq, ricorda padre Albert: stare e testimoniare la presenza di Gesù Cristo anche nella vita pubblica.
La visita del Papa ha lasciato una traccia nella società e nei ragazzi: padre Albert lo ripete più di una volta ritornando con la memoria ai passi del Papa in Iraq, alla possibilità unica che hanno avuto i giovani innanzitutto di vederlo, stare giorni con lui, seguirlo in tv e sui social. Da lì tutto riparte dunque oggi, con nel cuore due desideri che sono anche dei bisogni: "L'unità tra le Chiese e nel Paese, e poi la fiducia, quella fiducia che per primo Francesco - ripete padre Albert - ha lasciato a Baghdad e in ogni sua tappa in Iraq".

Caos post-elezioni, la Chiesa caldea invoca il “dialogo nazionale” per evitare il disastro


Se non si esce in tempi brevi dal caos in cui la nazione irachena è ripiombata dopo le elezioni politiche di ottobre, “il Paese dovrà affrontare ‘il peggio, e sappiamo tutti che l’Iraq non può sopportare di più”. Usa toni trepidanti e ultimativi, da "ultima spiaggia", il messaggio diffuso ieri, martedì 16 novembre, dal Patriarcato caldeo per chiamare tutte le componenti nazionali a mettere da parte comportamenti scellerati e evitare di trascinare verso il baratro una nazione stremata da decenni di guerre e conflitti.
La proposta avanzata nell’appello patriarcale è quella di un “dialogo nazionale sincero e coraggioso”, che coinvolga tutti gli attori nazionali – leader politici, ma anche intellettuali e capi religiosi – che siano interessati a garantire l’attendibilità del processo elettorale e il rispetto dei risultati usciti dalle urne. Solo seguendo questa via – si legge nel messaggio diffuso dai canali ufficiali di comunicazione della Chiesa caldea – si potrà raggiungere “una soluzione accettabile secondo la costituzione e il diritto iracheni, per accelerare la formazione di un governo nazionale capace di correggere il percorso, combattere la corruzione, proteggere la sovranità e l'unità del Paese e tutelare la sicurezza e la dignità degli iracheni”.
Le elezioni parlamentari irachene svoltesi il 10 ottobre hanno fatto registrare la crescita del Partito Sadrista, guidato dal leader sciita Muqtada al Sadr – che avrebbe conquistato 73 dei 329 seggi nella nuova assemblea parlamentare – e una netta sconfitta del blocco Fatah - considerato vicino alle milizie sciite filo-iraniane di Hashd ai Shaabi - che avrebbe ottenuto solo 15 seggi a fronte dei 48 controllati nel precedente Parlamento dalle sigle ora confluite nella coalizione. Ai seggi si è recato solo il 41% degli aventi diritto al voto, soglia che rappresenta il minimo storico delle 6 elezioni parlamentari tenutesi in Iraq dal 2003, dopo la fine del regime di Saddam Hussein. Fin dalle prime indiscrezioni filtrate sui media in merito all’esito del voto, i leader del blocco Fatah hanno rifiutato di riconoscere i risultati elettorali, invitando i propri sostenitori a scendere in piazza. A Baghdad i manifestanti mantengono presidi della “Zona Verde” - area dove sono concentrati gli uffici del governo e le ambasciate -, e accusano la commissione indipendente di falsificazione dei risultati. È in corso il riconteggio delle schede in alcune circoscrizioni elettorali, dove sono stati presentati ricorsi basati su documentazione attendibile. Il 5 novembre sono avvenuti duri scontri tra le forze di sicurezza e i manifestanti sostenitori di Fatah che avevano tentato di entrare nella Zona Verde. Secondo fonti mediche, gli scontri avrebbero provocato due morti e 125 feriti. Poi, il 7 novembre, la residenza del Premier iracheno Mustafa al Kadhimi è stata devastata da un attentato, realizzato con un drone. L’operazione terroristica fortunatamente non ha provocato vittime, ma ha rischiato comunque di far precipitare il Paese nel caos di una guerra civile, riaprendo lo scontro diretto tra sunniti e sciiti. Fin dal primo momento accuse più o meno velate riguardo alla paternità dell’attentato sono state lanciate contro le milizie sciite filo-iraniane presenti nel Paese. Ipotesi contestata in realtà anche da analisti non sospettabili di simpatie filo-iraniane, come il giornalista israeliano Zvi Bar-el, il quale su Haaretz ha fatto notare che “gli scontri violenti ora non servono gli interessi di Teheran, impegnata ora nel tentativo di costruire una coalizione politica filo-Iran per formare un governo. Ciò sembrerebbe vanificare la logica del tentato omicidio [del Premier al Kadhimi da parte delle milizie sciite, ndr], a meno che l’obiettivo non fosse quello di scatenare una guerra civile o quanto meno violenti scontri a livello nazionale, che potessero favorire la formazione di un governo provvisorio di emergenza. Ma anche se questo fosse il motivo, né le milizie né l’Iran avevano alcuna garanzia che avrebbero ottenuto un risultato politico che sarebbe servito ai loro obiettivi”.

16 novembre 2021

An appeal from the Chaldean Church to Solve the Crisis of Elections and Manifestation


The Chaldean Church, expresses its pain and deep concern about the crisis created by the results of the parliamentary elections. We are launching this appeal out of the patriotic feeling that resides in all of us, calling on everyone to show high national and moral responsibility in dealing with these results.
Otherwise, the country will face the “worst” and we all know that Iraq cannot bear more.
From the standpoint of fidelity, the Chaldean Church appeals to all those concerned with the elections, including political parties, academic leaders, religious authorities, etc. to make efforts and contain this crisis wisely, by organizing a sincere and courageous national dialogue aiming to reach an acceptable solution according to Iraqi constitution and law, to expedite the formation of a national government capable of correcting the path, fighting corruption, protecting sovereignty, unity of the country, and providing a security and dignity for Iraqis

15 novembre 2021

P. Samir: il doppio virus del Covid e delle bombe turche svuota il Kurdistan


Nell’ultimo anno alcuni villaggi cristiani e curdi “si sono svuotati” a causa dei bombardamenti dell’aviazione turca contro obiettivi del Pkk, il movimento curdo combattente considerato terrorista da Ankara (e da parte dell’Occidente).
A lungo la zona “era stata risparmiata dalle violenze”, ma oggi la paura “si fa sentire”. È quanto sottolinea ad AsiaNews p. Samir Youssef, parroco di Enishke, diocesi di Amadiya, nel Kurdistan iracheno, che racconta di una popolazione “prima spaventata dal virus ‘corona’ e oggi impaurita a causa del virus delle bombe”. Attacchi che, aggiunge il sacerdote, hanno “fermato il turismo dopo una fase di ripresa e rende difficile coltivare i campi o tenere aperte le fabbriche, per il timore di essere colpiti”. Nella notte fra il 6 e il 7 novembre, prosegue, “i turchi hanno bombardato la nostra montagna, sei missili sono caduti poco distanti il villaggio e hanno provocato un’onda simile a un terremoto”. La pioggia di ordigni ha interessato “anche un altro villaggio cristiano della zona”, in oltre un anno “è la prima volta che colpiscono qui vicino”. Per questo nei giorni scorsi “alcune famiglie si sono spostate verso le città” di Zakho, Dohuk, Erbil, poi hanno fatto ritorno ma i raid aerei “stanno continuando nell’altro versante”.
Anche durante l’intervista p. Samir dice di sentire il rumore dei droni turchi che pattugliano l’area alla ricerca di nascondigli da colpire nella notte o di guerriglieri impegnati in operazioni di trasferimento di mezzi. I raid hanno pesanti conseguenze sulla popolazione, perché chi ha terreni “non vuole coltivarli per non correre il rischio di essere colpito, perché scambiato per un miliziano. Lo stesso vale per quanti hanno fabbriche: sono sempre di più quelle abbandonate. Pure il turismo si è fermato, dopo una stagione estiva positiva. Troppo alta la paura di essere colpiti, con le inevitabili conseguenze per ristoranti, alberghi e altri attività che stavano ripartendo dopo il Covid-19”.
“Anziani e bambini hanno paura - confessa p. Samir - come bombardamenti siamo tornati al 2003, al tempo buio della guerra. I guerriglieri del Pkk sono presenti lungo una fascia che va dalle nostre montagne a Sinjar, al confine con la Siria, e non sarà facile colpirli, perché sono sempre in movimento”. Il virus delle bombe, osserva, “ci fa da sempre compagnia e oggi è tornato a incidere anche il coronavirus: ogni settimana muoiono due o tre persone della nostra zona, la copertura vaccinale nella mia parrocchia è attorno al 60% e in altre zone ancora più bassa. Vi è paura e diffidenza, alimentata anche da fake news su pericolosità o inefficacia che circolano in rete”.
P. Samir è fra i principali beneficiari della campagna di AsiaNews “Adotta un cristiano di Mosul”.
Archiviata la lotta contro lo Stato islamico (SI, ex Isis), dichiarato sconfitto almeno sul piano militare oltre tre anni fa “ma la cui mentalità è ancora diffusa”, ad oggi restano i problemi degli sfollati che spesso non dispongono nemmeno delle risorse di base per sopravvivere o si trovano a fare i conti con le ulteriori difficoltà provocate dalla pandemia. I problemi legati alle elezioni politiche a Baghdad hanno dei riflessi anche nel Kurdistan “dove i prezzi sono aumentati, dalla benzina al kerosene per il riscaldamento, ai generi alimentari, poi ci sono persone che non ricevono lo stipendio da tre mesi e la situazione resta instabile”.
Come Chiesa irachena, sottolinea p. Samir, proseguono le iniziative di carità fra le quali “l’acquisto di cibo, benzina e denaro per sostenere la famiglie più bisognose della zona e quelle di profughi arabi e curdi, cristiani e musulmani, che qui hanno trovato accoglienza. Io ho ancora oggi 35 famiglie siriane che, dal 2013, contano sul nostro sostegno”. Ecco perché il sacerdote rilancia la campagna di AsiaNews e invita chi può a continuare a donare, e aiutare. “In questo tempo difficile - conclude - ogni comunità ha le proprie difficoltà, ma non dobbiamo restare indifferenti ai bisogni. Ogni minima donazione è un bene prezioso per le nostre famiglie e per i profughi in difficoltà… e senza aiuti è difficile continuare quest’opera”.

12 novembre 2021

Iraq: card. Sako (patriarca), “vogliono gettare il Paese nel caos per interessi di parte”. Visita al-Tayyeb a rischio

Daniele Rocchi

“Attaccando il premier Mustafa al-Kadhimi hanno voluto destabilizzare ulteriormente la situazione interna dopo le elezioni, quindi bloccare il nuovo Parlamento, la nomina delle più alte cariche dello Stato, dal Presidente della Repubblica a quella del premier”: così il patriarca caldeo di Baghdad, card. Louis Raphael Sako, torna sull’attentato, avvenuto nella notte fra il 6 e il 7 novembre, contro la casa del Primo Ministro al-Khadimi, rimasto illeso.
L’esito del voto del 10 ottobre scorso è stato contestato in piazza dai movimenti sciiti filo-iraniani, come l’Alleanza della conquista, braccio politico delle milizie paramilitari Hashed al-Shaabi, che dalle urne sono usciti sconfitti. Manifestazioni anche violente, nei pressi della ‘Zona verde’ della capitale irachena, che hanno fatto registrare una vittima e diversi feriti.
“Fa male – dichiara al Sir Mar Sako – vedere tante proteste violente. Siamo preoccupati per il vuoto politico che si sta creando”.

Papa Francesco.
Il 9 novembre Papa Francesco ha fatto pervenire, tramite il suo Segretario di Stato, card. Pietro Parolin, un telegramma al premier iracheno in cui esprime “vicinanza nella preghiera” e condanna di “questo vile atto di terrorismo”. “Sua Santità – si legge nel testo – ancora una volta esprime la sua fiducia che, con la benedizione di Dio, il popolo dell’Iraq sarà confermato in saggezza e forza nel cercare il percorso della pace attraverso il dialogo e la solidarietà fraterna”.
Parole che, afferma il card. Sako, “infondono coraggio e forza, necessarie per portare avanti le urgenti riforme di cui il Paese ha bisogno. Lavoro intrapreso dal premier al-Kadhimi e che adesso vogliono bloccare con la violenza”.
Ribadisce il patriarca caldeo: “Creare confusione e caos: questo è lo scopo. Chi ha commesso questo attacco non vuole un Iraq stabile e forte, ma un Paese nel caos per continuare a fare i propri interessi settari e di parte”.
Gli interessi di attori regionali in Iraq sono tali e tanti che non impediscono al patriarca di ribadire un concetto espresso più volte in passato: “Un Iraq forte e sicuro potrebbe favorire la stabilità della regione ma evidentemente c’è chi lavora in senso opposto”.

Visita a rischio. 
Il clima di tensione nel Paese potrebbe avere delle ripercussioni anche sulla visita – da più parti data per certa – del Grande Imam di al-Azhar, Sheikh Ahmad Al-Tayyeb, in Iraq e sul suo incontro con il Grande Ayatollah Ali al-Sistani. Vere e proprie ‘prove di dialogo’ tra le due “anime” dell’islam sunnita e sciita, nel contesto del Documento di Abu Dhabi, e sulla scia della visita in Iraq del Papa a marzo scorso. “Non credo che chi ha compiuto questo attentato al premier abbia mirato anche a questo incontro – afferma Mar Sako -.
Su questa visita non c’è ancora nulla di ufficiale, almeno fino ad ora, né un programma, né una data. Si parlava di fine novembre ma io credo che con questa situazione sarà difficile che possa tenersi. Ritengo che questa visita potrà realizzarsi solo con una situazione interna stabile e sicura. Probabilmente dopo la formazione di un nuovo Governo” nel quale, è il timore del patriarca, “il ruolo della componente cristiana potrebbe essere nullo”.

I giovani iracheni. 
Maggiori speranze, invece, il patriarca caldeo le riserva per i giovani del Paese: “Sono certo che il futuro sarà dell’Iraq, e il futuro dell’Iraq è rappresentato dai suoi giovani”.
Assume particolare significato il prossimo raduno della Gioventù caldea, in programma nella capitale irachena dal 18 al 20 novembre, sul tema “Voi siete una Chiesa viva”.
“Aspettiamo almeno 400 giovani da Baghdad e da altre diocesi caldee irachene” spiega il patriarca che rivela: “ho invitato il Primo Ministro a tenere un discorso ma vediamo se sarà possibile, dopo l’attentato”.
L’evento cade alla vigilia della Giornata mondiale della Gioventù che quest’anno per la prima volta si celebra nella domenica di Cristo Re, dopo lo spostamento dalla data tradizionale della Domenica delle Palme. “Sarà un tempo di meditazione, di fede di festa per alzare il morale dei giovani. Abbiamo bisogno di loro per il nuovo Iraq”.

11 novembre 2021

A Mosul gli Usa finanziano il restauro della chiesa di Mar Korkis, devastata dai jihadisti

By Fides

E’ prevista entro la fine di novembre la cerimonia di riapertura della chiesa principale del monastero di Mar Korkis, nella città irachena di Mosul, gravemente danneggiata dai miliziani dell’autoproclamato Stato islamico (Daesh) durante il tempo dell’occupazione jihadista. Nei giorni scorsi è stato reso noto il completamento dei lavori di restauro eseguiti nel quadro del programma di stabilizzazione del patrimonio iracheno, in collaborazione con l’ordine monastico antoniano di Sant’Ormisda dei Caldei e grazie al supporto finanziario garantito dal Dipartimento di Stato degli Stati Uniti d’America ai progetti di ricostruzione di chiese e monumenti realizzati in Nord Iraq dal Department of Heritage and Civilization dell'Università della Pennsylvania.
Il Monastero di Mar Korkis si trova sul lato destro del fiume Tigri, appena fuori dalla strada che unisce Mosul a Dohuk, a 10 km dal centro della città. La prima fondazione del monastero viene fatta risalire dalle fonti storiche a prima del X secolo dopo Cristo.
Nel marzo 2015, i jihadisti dello Stato Islamico devastarono gravemente la chiesa, senza però raderla al suolo. Furono smentite le informazioni rilanciate da diversi media che in quei giorni avevano accreditato le voci in merito a una totale demolizione del luogo di culto cristiano tramite esplosivo. La furia distruttiva dei jihadisti si era concentrata sulla cupola e sulla facciata della chiesa, caratterizzata da una particolare configurazione architettonica, con i mattoni e le aperture disposti in modo da disegnare una grande croce. Le croci che spiccavano sulla cupola e sul tetto del monastero erano state divelte dai jihadisti già nel dicembre 2014. Foto e documenti pubblicati a quel tempo confermarono che a subire devastazioni era stato soprattutto il cimitero adiacente alla chiesa, dove riposavano anche i corpi di molti soldati iracheni cristiani caduti durante il conflitto Iraq-Iran. Durante il tempo dell’occupazione jihadista, il monastero di San Giorgio era stato usato anche come luogo di detenzione. Nel dicembre 2014 vi erano stati trasferiti almeno 150 prigionieri bendati e ammanettati, compresi alcuni capi tribù sunniti oppositori dello Stato Islamico ed ex membri degli apparati di sicurezza, detenuti in precedenza presso la prigione di Badush (evacuata nella previsione di un possibile attacco da parte della coalizione anti-Califfato).
Le opere di restauro hanno visto coinvolti ingegneri, e architetti e operai locali. Le pareti interne del luogo di culto sono state ricoperte con il marmo di Mosul.

10 novembre 2021

Safe haven: What will Ankawa's new autonomy mean for Kurdistan's Christians?

Michal Kranz
November 4, 2021

For Ankawa, an Assyrian Christian-majority suburb of Iraqi Kurdistan’s capital Erbil, the last decade has been one of change and transformation.
Its population swelled in 2014 as Assyrian Christian refugees from other parts of northern Iraq poured in ahead of the Islamic State’s (IS) onslaught, cementing the town’s status as one of the primary nodes of Iraqi Kurdistan’s Christian community.
Mechanical engineer Liver Dakali moved to Ankawa from Erbil in 2019, well after the wartime surge. Although he wasn’t fleeing war, he too felt the pull of the town’s Christian character.
“We are a minority there in Erbil, so we were alone. It was uncomfortable to celebrate occasions like Christmas,” Dakali said. “So we came here.”
"Ankawa's population swelled in 2014 as Assyrian Christian refugees from other parts of northern Iraq poured in ahead of the Islamic State's onslaught" 
On 4 October, Iraqi Kurdistan’s Prime Minister Masrour Barzani moved to recognise Ankawa’s ethno-religious distinctiveness by announcing that the town would become a separate, autonomous district from Erbil for the first time.
Like others in Ankawa, Dakali said he is hopeful that the change will lead to improved infrastructure, public services, and security. But for him, any additional quality of life benefits for Christians in Ankawa or beyond will be limited at best.
“I don’t think there will be a significant effect,” Dakali said, referring to the move’s impact on the broader Assyrian Christian community in Iraqi Kurdistan.
According to locals and political leaders alike, Ankawa’s new status will be a positive development for the Christian community in Iraqi Kurdistan, and despite some reservations, Dakali and other residents remain optimistic about the town’s future.
Yet many argue that the change does not go far enough, and claim that although Ankawa’s new designation is a step in the right direction, the Kurdistan Regional Government (KRG) must take serious and concrete steps to rectify a host of grievances before Assyrian Christians can feel completely at home in Ankawa or elsewhere in Iraqi Kurdistan.
For activists and community leaders, wedge issues like taxation, land expropriation, and the erasure of Assyrian Christian identity will continue to plague Christians in the KRG despite the shift in Ankawa’s status.
As part of his 4 October announcement, Barzani stated that once its new designation is implemented, Christians in Ankawa would be able to “nominate civic leaders, appoint officials, manage their own security and directly shape their destinies” — something that residents said will allow them to maintain their heritage, upgrade their cityscape, and improve zoning practices to protect residential areas.

Papa Francesco condanna il ‘vile’ attentato al premier iracheno

By Asia News
9 novembre 2021

“Vicinanza nella preghiera a voi e alla vostra famiglia e ai feriti”, unita alla condanna ferma per un “vile atto di terrorismo”.
È il messaggio inviato al primo ministro iracheno Mustafa Al-Kadhimi da papa Francesco, a firma del cardinale segretario di Stato Pietro Parolin, in seguito “all’attacco alla vostra residenza a Baghdad”. Il pontefice rinnova dunque la solidarietà all’Iraq e alle sue massime istituzioni, dopo l’attentato del 7 novembre scorso che ha preso di mira l’abitazione del capo del governo. Una vicinanza rafforzata dagli incontri passati e dalla storica visita ufficiale compiuta nel marzo scorso nel Paese arabo.
Il papa esprime “ancora una volta la fiducia che, con la benedizione di Dio onnipotente, il popolo dell’Iraq sarà confermato nella saggezza e nella forza” per perseguire “la via della pace” attraverso “il dialogo e la solidarietà fraterna”. Parole non scontate e che confermano, una volta di più, la vicinanza della Santa Sede del papa stesso ai passi compiuti dal governo e dal premier nella direzione della riconciliazione fraterna dopo anni di violenze politiche, etniche e confessionali.
Un messaggio rilanciato con forza ieri ad AsiaNews dallo stesso patriarca caldeo, il card. Louis Raphael Sako, secondo cui l’attentato mira a “bloccare” il progetto di un Iraq forte, di uno Stato “basato sulla legge, sulla cittadinanza, sull’ordine e la giustizia”.
Oggi, intanto, giunge notizia dell’arresto da parte delle forze di sicurezza irachene di tre persone legate al tentativo di assassinio del premier al-Kadhimi. A riferirlo è un funzionario governativo a Russia Today, il quale non fornisce però ulteriori indicazioni sull’identità dei fermati e il loro ruolo nell’attacco, nel quale sono rimaste ferite alcune guardie del corpo. Alcune voci non confermate affermano che le tre persone arrestate apparterrebbero a una “fazione sciita armata” vicina all’ Iran. In precedenza lo stesso primo ministro aveva affermato di “conoscere bene” identità e matrice dei responsabili.

“Voi siete una Chiesa viva”: 400 ragazzi e ragazze attesi a Bagdhad per l’incontro della Gioventù caldea

9 novembre 2021

Foto Patriarcato caldeo
“Voi siete una Chiesa viva”.
Le parole pronunciate da Papa Francesco a Baghdad, nell’omelia della concelebrazione liturgica da lui presieduta nella Cattedrale caldea di San Giuseppe durante la sua visita pastorale in terra irachena, sono state scelte come motto dell’Incontro della Gioventù caldea, in programma nella capitale irachena dal 18 al 20 novembre. All’evento, convocato dal Patriarcato caldeo, parteciperanno almeno 400 ragazzi e ragazze di Baghdad e delle altre diocesi caldee sparse per il territorio nazionale.
La kermesse giovanile, scandita da appuntamenti liturgici, tempi di preghiera, dibattiti e momenti di socializzazione, avrà come momento clou un incontro di catechesi guidato dal Patriarca caldeo Louis Raphael Sako sul tema “Noi crediamo nel Signore Gesù Cristo”. Nei diversi momenti comunitari, l’attenzione si concentrerà intorno ad alcune questioni connesse all’incontro con Cristo e alla vita ecclesiale delle giovani generazioni caldee. Per facilitare la riflessione individuale e comunitaria, sono stati già diffusi attraverso i canali di comunicazione del Patriarcato caldeo, alcuni interrogativi relativi al rapporto personale di ciascuno con Cristo stesso, all’efficacia dei corsi di catechesi, alla familiarità con le Sacre Scritture, alle vie più efficaci per rendere ragione agli altri della speranza cristiana e del vivere nella quotidianità la partecipazione universale al sacerdozio di Cristo, condivisa da ogni cristiano in virtù del Battesimo. I ragazzi e le ragazze riuniti a Baghdad saranno anche sollecitati a far conoscere le proprie aspettative in merito al cammino sinodale avviato nella Chiesa cattolica in vista della prossima Assemblea del Sinodo dei Vescovi.
L’esodo impressionante che negli ultimi lustri ha visto buona parte dei cristiani iracheni lasciare il proprio Paese, ha interessato soprattutto le giovani generazioni di battezzati. L’incontro dei giovani convocato dal Patriarcato caldeo rappresenta un tentativo di farsi carico anche di questo fenomeno, e di interrogarsi sui tesori che conviene custodire e le grazie che occorre mendicare per veder fiorire e rifiorire il miracolo della fede in Cristo nelle vite di ragazzi e ragazze irachene.
Le parole e i gesti disseminati da Papa Francesco durante il suo storico viaggio in Iraq continuano a essere carichi di suggestioni per il presente e il futuro dei cristiani nel Paese dei due fiumi. «Oggi – disse il Papa concludendo l’omelia letta in italiano nella messa celebrata nel pomeriggio di domenica 7 marzo a Erbil - posso vedere e toccare con mano che la Chiesa in Iraq è viva, che Cristo vive e opera in questo suo popolo santo e fedele».
Nei pochi giorni del suo breve e intenso pellegrinaggio tra i dolori e le attese del popolo iracheno, l’85enne Successore di Pietro aveva toccato con mano le tribolazioni e rincuorato le speranze di rinascita di tutto il popolo e della locale comunità cristiana. Da Baghdad a Mosul, da Qaraqosh a Erbil, il Successore di Pietro si è imbattuto nel miracolo di una comunità di fede viva, un popolo di Dio umile e povero, reso ancora più esiguo nei numeri dalle traversie degli ultimi anni, che continua a attingere alla sorgente inesauribile della fede degli Apostoli.
Uomini e donne, giovani e bambini gli avevano raccontato anche i patimenti e i colpi subiti nel recente passato senza accusare, maledire o recriminare. Attestando piuttosto – come disse allora il sacerdote siro cattolico Ammar Yako nella testimonianza resa davanti al Papa a Qaraqosh – che perfino gli anni passati come profughi da lui e dai suoi parrocchiani, cacciati dalle proprie case, non sono stati «anni maledetti, ma benedetti dal Signore, che ha mostrato la sua gloria».

Francesco, Al-Tayyeb, Al-Sistani. Il miracolo della triplice intesa

Sandro Magister
9 novembre 2021

Se per Benedetto XVI valeva la “diplomazia della verità”, con Francesco domina la “Realpolitick”. Non potrebbe essere più netto il cambio di passo politico e diplomatico tra i due ultimi pontificati, in particolare nei rapporti con la Cina e l’Islam. È quanto mette a fuoco Matteo Matzuzzi, caporedattore del quotidiano “Il Foglio” e vaticanista sperimentato, in un volume fresco di stampa sulla geopolitica vaticana, dal titolo “Il santo realismo”, edito dalla LUISS University Press.
Con la Cina il cambio di passo è sotto gli occhi di tutti. Lo è meno quello con l’Islam. Ma è proprio su quest’ultimo terreno che i due pontificati compiono i percorsi più diversi, se non opposti, che il libro di Matzuzzi ricostruisce con cura.
Di Benedetto XVI resta nella memoria l’incidente di Ratisbona, quando una sua argomentata critica dell’incerto rapporto nell’Islam tra fede e ragione scatenò una reazione furiosa e violenta nel mondo musulmano.
Pochi però ricordano che non solo papa Benedetto non arretrò di un passo da quanto detto allora, ma proprio da quel suo discorso del 12 settembre 2006 prese vita un dialogo di spessore senza precedenti prima con trentotto e poi con centotrentotto autorevoli personalità musulmane di varie nazioni e di vario orientamento, sunniti e sciiti.
Questo dialogo si sostanziò in impegnative lettere al papa firmate da questi saggi e nella prima visita in Vaticano del re dell’Arabia Saudita e custode dei luoghi santi dell’Islam, oltre che di emissari della più alta autorità sciita al di fuori dell’Iran, il grande ayatollah Sayyid Ali Husaini Al-Sistani. Mentre a sua volta Benedetto XVI, dopo un viaggio in Turchia riuscito oltre ogni previsione nel novembre di quello stesso 2006 – con preghiera silenziosa nella Moschea Blu di Istanbul –, nel tracciare a fine anno un bilancio nel discorso prenatalizio alla curia romana, arrivò a sollecitare apertamente il mondo musulmano a fare anch’esso quella “lunga ricerca faticosa” che – disse – già impegna da tempo i cristiani, cioè “accogliere le vere conquiste dell'illuminismo, i diritti dell'uomo e specialmente la libertà della fede e del suo esercizio, riconoscendo in essi elementi essenziali anche per l'autenticità della religione”.
Parlando al corpo diplomatico, nel gennaio del 2006, papa Benedetto non aveva esitato a ravvisare nel tempo presente il reale “pericolo di uno scontro di civiltà”, al quale disse che si doveva opporre “l’impegno per la verità” anche “da parte delle diplomazie”, una verità che “può essere raggiunta solo nella libertà” e “nella quale è in gioco l’uomo stesso in quanto tale, il bene e il male, le grandi mete della vita, il rapporto con Dio”.
Attenendosi senza mai deflettere a questa “diplomazia della verità”, Benedetto XVI pagò dei prezzi. Il più alto all’inizio del 2011, quando ad Alessandria d’Egitto un’autobomba esplose davanti a una chiesa colma di fedeli convenuti per la messa. I morti furono decine. E il 2 gennaio, al termine dell’Angelus, il papa non tacque. Ma nemmeno tacque il grande imam di Al-Azhar, Ahmad Al-Tayyeb, che dall'Egitto reagì alla “ingerenza” papale troncando i rapporti con la Santa Sede, lui che più volte in passato s’era detto favorevole agli attentati suicidi in territorio israeliano.
I rapporti con Al-Azhar furono riallacciati solo nel 2016, con un abbraccio a Roma tra Al-Tayyeb e Francesco. Ma appunto, col nuovo papa molto era già cambiato.
Intanto, s’era subito interrotto quel dialogo profondo su fede e ragione con i centotrentotto saggi musulmani. Perché le mosse di papa Francesco nei confronti dell’Islam rispondevano a criteri del tutto diversi, più pragmatici.
Il primo suo gesto, con tanto di digiuno penitenziale, fu nel settembre del 2013 l’offensiva pubblica contro l’incombente attacco occidentale alla Siria di Bashar Al-Assad. Le gerarchie ortodosse e cattoliche di quel paese erano decisamente dalla parte del regime alawita, che faceva loro da scudo all’ostilità di altre correnti islamiche. Ma la mossa di Francesco era a più ampio spettro. Tra i più contrari a un’intervento militare occidentale in Siria c’era Vladimir Putin. E questo indusse il papa a scrivere al leader russo una lettera-appello, come a un alfiere di pace. La mossa andò a segno e da lì in poi i rapporti tra Francesco e Putin furono quanto mai concordi, fino a propiziare, il 12 febbraio 2016, lo storico incontro all’aeroporto dell’Avana tra il papa e il patriarca di Mosca Kirill, con la firma apposta da entrambi a una dichiarazione – nota Matzuzzi – che “di vaticano aveva ben poco e sembrava scritta al Cremlino”.

Telegramma del Santo Padre, a firma del Cardinale Segretario di Stato, al Primo Ministro iracheno Mustafa Al-Kadhimi, per l'attentato accaduto a Baghdad

novembre 2021

HIS EXCELLENCY MUSTAFA AL-KADHIMI PRIME MINISTER OF IRAQ

FOLLOWING THE ATTACK ON YOUR RESIDENCE IN BAGHDAD, HIS HOLINESS POPE FRANCIS WISHES ME TO CONVEY HIS PRAYERFUL CLOSENESS TO YOU AND YOUR FAMILY, AND TO THOSE INJURED. IN CONDEMNING THIS VILE ACT OF TERRORISM, HIS HOLINESS ONCE MORE EXPRESSES HIS CONFIDENCE THAT WITH THE BLESSING OF THE MOST HIGH GOD THE PEOPLE OF IRAQ WILL BE CONFIRMED IN WISDOM AND STRENGTH IN PURSUING THE PATH OF PEACE THROUGH DIALOGUE AND FRATERNAL SOLIDARITY.

CARDINAL PIETRO PAROLIN SECRETARY OF STATE

Iraq: attentato al premier, il patriarca caldeo Sako invita a pregare per il Paese e per il primo ministro Mustafa al-Kazimi

By AgenSIR
8 novembre 2021

Una preghiera per il Paese e per il premier.
La richiesta è del patriarca caldeo di Baghdad, card. Louis Raphael Sako, che ieri sera ha presieduto una messa nella chiesa del Sacro Cuore nella capitale irachena.
Durante l’omelia, secondo quanto riferito dal Patriarcato caldeo, il porporato ha invitato i fedeli a pregare per il Primo Ministro Mustafa al-Kazimi dopo che tre droni imbottiti di esplosivo erano lanciati nella notte sulla residenza del premier iracheno nella Zona verde di Baghdad, la più sorvegliata del Paese.
Il premier è rimasto illeso, mentre almeno 6 guardie del corpo sono risultate ferite. Mar Sako ha pregato affinché “l’Iraq continui a camminare con fiducia verso la sicurezza, la stabilità e un futuro prospero”. 
L’attentato di ieri, finora non rivendicato, ha messo in allarme l’Iraq su una nuova escalation di violenza. Da giorni nel Paese si susseguono proteste contro l’esito del voto legislativo dello scorso 10 ottobre, tra accuse di brogli e scontri armati. Il premier al-Kazimi, subito dopo l’attentato, ha scritto su Twitter: “Sto bene, lode a Dio, e chiedo calma e moderazione da parte di tutti per il bene dell’Iraq”.
Il presidente Barham Saledh, ha parlato di un tentativo di “golpe”.
Secondo fonti di sicurezza di Baghdad, i droni “sono stati lanciati da un sito vicino al Ponte della Repubblica”, non distante dalla zona dove centinaia di manifestanti filo-iraniani protestano da giorni contro l’esito del voto. I dimostranti, che avevano dato fuoco ai ritratti del premier, denunciano irregolarità nelle urne, dove le forze del leader sciita nazionalista Moqtada al-Sadr hanno rivendicato la vittoria, mentre il braccio politico delle milizie paramilitari Hashed al-Shaabi vicine all’Iran ha perso numerosi seggi. Condanne dell’attacco sono giunte dalla comunità internazionale, Usa e Ue in testa: “Siamo sollevati nell’apprendere che il primo ministro è rimasto illeso. Questo apparente atto di terrorismo, che condanniamo fermamente, è stato diretto al cuore dello Stato iracheno”, è la reazione degli Usa. “Qualsiasi violenza è inaccettabile e non deve essere consentito di minare il processo democratico”, ha detto l’Alto rappresentante Ue Josep Borrell.
“Calma, moderazione e dialogo sono essenziali nel periodo post-elettorale”, ha aggiunto Borrell. Una “condanna con fermezza” arriva dall’Italia, che conferma il suo sostegno alla stabilizzazione dell’Iraq.

Card. Sako: l’attentato ad al-Kadhimi per destabilizzare l’Iraq


Un attacco a colpi di droni che mira a “bloccare” il progetto di un Iraq forte, di uno Stato “basato sulla legge, sulla cittadinanza, sull’ordine e la giustizia”.
Così il patriarca caldeo, il card. Louis Raphael Sako, commenta ad AsiaNews l’attentato nella notte fra il 6 e il 7 novembre contro la casa del primo ministro Mustafa al-Kadhimi, rimasto illeso. “Non si sa ancora chi ci sia dietro questo episodio - sottolinea il porporato - ma è chiaro che l’obiettivo è quello di destabilizzare, creare confusione e interrompere il lavoro avviato dal primo ministro, che vuole costruire un progetto di Iraq non isolato” sul piano internazionale.
Il primate caldeo esclude la mano dello Stato islamico (SI, ex Isis) e avanza analogie con gli attacchi - a colpi di razzi e droni - contro l’aeroporto di Erbil, nel Kurdistan iracheno, o l’ambasciata Usa a Baghdad. “Il progetto è di colpire Kadhimi come rappresentante dello Stato. Io stesso ho avvertito le esplosioni, perché il patriarcato non è molto distante dalla Zona Verde”.
In queste ore il premier, scampato al tentativo di omicidio, è apparso in un video diffuso dai suoi collaboratori in cui incontra e discute con i responsabili della sicurezza. In una nota l’ufficio di Kadhimi parla di “codardo attacco terroristico” sferrato da “gruppi armati criminali” che hanno usato tre doni: due di questi sono stati abbattuti, mentre un terzo è riuscito a raggiungere e colpire la residenza ferendo almeno sei delle guardie del corpo del capo del governo, nel centro di Baghdad. Al momento la situazione è di relativa calma e non si sono registrate rivendicazioni ufficiali, mentre sono numerose e unanimi le voci di condanna: dal presidente Barham Salih al leader radicale sciita Moqtada al-Sadr, oltre all’Onu, agli Stati Uniti, all’Iran e all’Arabia Saudita per citarne alcuni.
Analisti ed esperti legano l’attentato alle elezioni parlamentari del 10 ottobre scorso contestate da una parte dello schieramento politico, in particolare dai movimenti sciiti filo-iraniani usciti sconfitti dalle urne anche se i risultati definitivi devono ancora essere ufficializzati. Il 5 novembre scorso le milizie legate a Teheran hanno promosso imponenti manifestazioni di piazza, per rilanciare le accuse di brogli e contestare il responso delle urne. Tensioni che avevano già fatto risuonare più di un campanello d’allarme fra i vescovi caldei, che chiedono un governo forte per frenare la deriva violenta e una situazione di caos che farebbe precipitare il Paese nel baratro.
Nella messa domenicale il patriarca caldeo ha pregato per la salute del primo ministro e di tutto il Paese. “Fra i fedeli - racconta - vi era grande tristezza per l’attacco, ma anche felicità perché si è salvato. In molti credono che il suo lavoro di riforme sia autentico e di beneficio alla nazione. Finora egli non ha mai voluto usare le armi per risolvere i problemi, chiede e rilancia i principi del dialogo e dell’incontro, anche con i suoi nemici o avversari politici”.
È chiaro, prosegue il card. Sako, che l’attentato è legato al processo post elettorale e all’iter che porterà al giuramento del prossimo Parlamento e alla nomina del futuro presidente della Repubblica, dell'Assemblea legislativa e del capo del governo, che potrebbe essere ancora Kadhimi. “A tutti i cristiani d’Iraq - conclude il porporato - chiedo di pregare per il bene del Paese, di aspettare con calma e fiducia, non farsi trasportare dalle tensioni contrapposte, ma restare fonte di equilibrio”.

Israele: Eydar (amb. Israele in Italia), “pronti a normalizzare i rapporti con Iraq. Con Libano disposti a compromesso” su zone economiche esclusive

8 novembre 2021 

“Se c’è un Paese che intende normalizzare i rapporti con noi, perché no? Noi siamo disponibili. La pace è un vantaggio per tutti”.
È quanto dichiara l’ambasciatore di Israele in Italia, Dror Eydar, in una lunga intervista concessa al sito www.strumentipolitici.it. Tanti gli argomenti toccati da Eydar che dal settembre del 2019 ricopre la carica di ambasciatore di Israele in Italia. Parlando degli Accordi di Abramo (13 agosto 2020) che formalizzarono le relazioni diplomatiche tra Israele e gli Emirati Arabi e di lì a poco con il Bahrein, il Marocco, e all’inizio del 2021 con il Sudan, Eydar afferma: “Anche per l’Iraq, saremo lieti di stabilire rapporti di pace e di commercio e sono certo che ci saranno tanti ebrei desiderosi di visitare Baghdad, alla ricerca delle loro radici, me compreso. Questa terra ha dato i natali al primo patriarca, Abramo, ed esistono rapporti storici, lunghi 3000 mila anni. Baghdad storicamente ci ricorda l’antica Babilonia, dove 2600 anni fa viveva la più numerosa comunità ebraica al mondo e lì vi rimase nel corso dei secoli. Il Talmud babilonese, un testo fondamentale per la nostra cultura, fu scritto proprio in quella città”. “Gli ebrei – ricorda l’ambasciatore israeliano – hanno dato un forte contributo alla formazione dell’Iraq moderno in ogni campo: culturale, sociale, economico e anche giuridico e politico. Ma questo non li ha aiutati quando gli arabi iracheni si sono uniti ai nazisti. Alla fine, tutta la comunità è stata costretta a lasciare l’Iraq per trovare rifugio nel neonato Stato d’Israele. Gli ebrei iracheni hanno vissuto per dieci anni in tende e baracche nei campi profughi. Vorrei aggiungere che non sono solo i palestinesi a vivere questa condizione, perché anche gli esuli ebrei purtroppo hanno raggiunto cifre non indifferenti (recenti studi stimano che nel secolo scorso dai soli Paesi arabi e dall’Iran ne furono cacciati 850mila, di cui 135mila dall’Iraq)”. “Siamo aperti ad estendere gli accordi siglati a Washington anche a Baghdad, perché non è un interesse esclusivo d’Israele. Gli accordi – sostiene il diplomatico – 
Gli Accordi di Abramo, che il presidente Usa, Biden, porterà avanti, aggiunge Eydar, “non dipendono dalla volontà di un singolo leader, ma sono il risultato di un lungo processo e gli Stati arabi moderati che vi hanno aderito, lo hanno fatto in virtù dei vantaggi derivanti dalla collaborazione con il nostro Paese, che si traducono in investimenti, turismo, energia, tecnologia, agricoltura. Gli americani hanno sponsorizzato gli Accordi, che proseguono e forse a breve si aggiungerà un altro Paese”. 
Circa i negoziati fra Israele e Libano per la risoluzione della delicata questione delle Zone economiche esclusive l’ambasciatore punta l’indice contro “Hezbollah, cioè l’Iran. Beirut oggi sta attraversando forse una delle peggiori crisi del paese. Israele è disposta a raggiungere un compromesso per il bene della popolazione, ma a bloccare il tavolo dei negoziati è ancora Hezbollah, cioè l’Iran. Il Paese degli ayatollah non intende aiutare Beirut, ma vuole destabilizzare e controllare per circondare Israele”. 
Eydar si sofferma anche sulle relazioni diplomatiche fra Israele e Italia, definite “profonde e in alcuni casi intime. Ci sono collaborazioni in diversi settori: intelligence, cyber security, acqua, hi-tech. In piena pandemia abbiamo portato una delegazione di medici dall’ospedale Sheba in Piemonte, per condividere la nostra esperienza nella lotta al Covid. Il nostro augurio è che la solidità di questo legame possa manifestarsi anche nell’arena internazionale”. In questo ambito il diplomatico israeliano auspica che l’Italia “voti contro il rinnovo del mandato di alcuni organi onusiani, la cui unica ragione d’essere è quella di promuovere un’agenda anti-israeliana”. “Dolorosa”, infine, viene definita da Eydar l’istituzione, voluta dall’Onu, di una commissione d’inchiesta volta a far luce sulle presunte violazioni dei diritti umani in Israele, nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania prima e dopo il 13 aprile scorso. “L’Italia si è astenuta e da parte nostra l’astensione significa trattare Israele e Hamas allo stesso modo e questo ci rammarica, perché il mio popolo – conclude – ama l’Italia più di qualsiasi altra nazione in Europa”.

Torneo di calcio “interrituale” tra le parrocchie di Baghdad. Vincono i caldei ai calci di rigore

By Fides
5 novembre 2021

Foto patriarcato caldeo
E’ finita ai rigori la finale del “Torneo Papa Francesco”, la manifestazione sportiva che ha messo in competizione 12 squadre, in rappresentanza delle locali comunità ecclesiali armene, caldee, siriache, latine e copte. 
Alla fine l’ha spuntata la formazione della Cattedrale caldea di San Giuseppe, che ai tiri dal dischetto ha prevalso sulla squadra della chiesa latina di San Giuseppe. Alla finale, giocata davanti ad un folto pubblico di tifosi giovedì 4 novembre e trasmessa in diretta anche su alcuni canali televisivi iracheni, hanno assistito anche il Patriarca caldeo Louis Raphael Sako e diversi Vescovi iracheni, che alla fine della partita hanno distribuito i premi ai membri della formazione vincitrice e quelli individuali riservati al miglior giocatore, al miglior portiere e al capocannoniere del torneo.
La competizione sportiva è stata organizzata dal Comitato giovanile cattolico, guidato da Mar Basel Salem Yaldo, Vescovo ausiliare caldeo di Baghdad. In un Paese e in una città alle prese da decenni con emergenze (compresa quella pandemica), violenze e tensioni sociali e politiche che rendono travagliata la vita quotidiana di buona parte del popolo iracheno, il torneo di calcio tra le squadre parrocchiali di Baghdad è stato organizzato e vissuto come un momento di convivenza fraterna, segno e auspicio del possibile ritorno a una quotidianità non più stravolta dai veleni del settarismo.
Il torneo di calcio era intitolato a Papa Francesco, anche in memoria della visita compiuta in Iraq dall’attuale Successore di Pietro nel marzo 2020. La sera di domenica 31 ottobre, durante la Liturgia eucaristica da lui presieduta nella Cattedrale caldea di San Giuseppe a Bagdad, il Cardinale e Patriarca Sako si era soffermato proprio sulla professione di fede dell’Apostolo Pietro riportata nel Vangelo di Luca (“Allora domandò: ‘Ma voi chi dite che io sia?’. Pietro, prendendo la parola, rispose: ‘Il Cristo di Dio’ “Lc 9, 20). La fede della Chiesa – ha commentato il Patriarca Sako - “è la fede di Pietro”, e la Chiesa stessa nasce e cresce solo come “frutto dell'esperienza della fede di Pietro, degli Apostoli e dei cristiani”, sperimentata “nel mistero di Dio e di Cristo”.

Il Grande Imam di al-Azhar in Iraq per superare i conflitti confessionali

Georges Fahmi 
28 ottobre 2021 

Durante una conferenza svoltasi qualche anno fa a Beirut, un religioso sciita iracheno aveva dichiarato che i Paesi arabi stavano trascurando le relazioni con gli sciiti del suo Paese, permettendo così all’Iran di accrescere la propria influenza nell’area. Il Grande Imam di al-Azhar Ahmad al-Tayyib è pronto a rimediare a questa situazione. Ha infatti annunciato di essere in procinto di recarsi in Iraq per una visita che toccherà Baghdad, Mosul, Erbil e la città santa di Najaf.
La visita a Najaf avrà un’importanza particolare. La città è infatti un importante centro d’insegnamento delle scienze religiose islamiche oltre che luogo di residenza della più alta autorità sciita irachena, se non del mondo: l’Ayatollah al-Sistani. Questi è infatti il riferimento degli sciiti duodecimani dal 1992, e una delle personalità religiose più influenti dell’Iraq degli ultimi tre decenni, specialmente dopo la caduta del regime di Saddam Hussein nel 2003. È nato nel 1931 a Mashhad, in Iran, ma vive a Najaf dal 1951, e la sua autorevolezza ha oltrepassato i confini dell’Iraq per diffondersi in tutto il mondo.
La visita di Al-Tayyib a Najaf giunge in un momento in cui il dialogo interreligioso vive un periodo d’oro. Negli ultimi anni si è infatti assistito a un avvicinamento tra al-Azhar e il Vaticano, culminato nel Documento sulla Fratellanza Umana firmato dal Grande Iman di al-Azhar e da Papa Francesco ad Abu Dhabi nel 2019. Nel marzo di quest’anno poi, l’Iraq ha ricevuto la visita proprio di Papa Francesco, che ha incontrato l’Ayatollah al-Sistani nella sua abitazione di Najaf. 
La visita di Ahmad al-Tayyib è il coronamento queste due iniziative.
Essa persegue una serie di obiettivi non solo religiosi ma anche politici. 
A livello religioso, è un incoraggiamento al dialogo tra la leadership sunnita e quella sciita, ciò che potrebbe ispirare positivamente le comunità arabe in cui convivono sunniti e sciiti, come avviene in Iraq, in Libano e in molti Paesi del Golfo, in modo da stemperare le forti tensioni interconfessionali. In passato sia al-Tayyib che al-Sistani hanno invocato la necessità di porre fine a queste tensioni. In diverse occasioni il Grande Imam ha espresso il suo rifiuto per qualsiasi forma di offesa nei confronti degli sciiti, sostenendo che questi costituiscono insieme ai sunniti le due “ali” della comunità islamica, e che occorre lavorare per porre fine al disaccordo tra le due comunità. Allo stesso modo, l’Ayatollah al-Sistani ribadisce costantemente il bisogno di convivenza pacifica tra sciiti e sunniti e tra questi e le altre religioni dell’Iraq. Al-Sistani si è peraltro opposto ai discorsi che incitavano all’odio settario nella fase degli scontri confessionali in Iraq tra il 2006 e il 2007, affermando l’illiceità per un musulmano di uccidere un altro musulmano.
Sul piano politico, la visita è un nuovo passo per limitare la monopolizzazione della rappresentanza sciita araba da parte dell’Iran. Quest’ultimo infatti tenta sistematicamente di usare la carta confessionale per arrogarsi il diritto di parlare a nome di tutti gli sciiti, specialmente durante le fasi di tensione settaria, presentandosi come il loro difensore in Medio Oriente. Ed è riuscito a promuovere quest’immagine all’interno delle stesse società arabe, al punto che si è diffusa la concezione errata di un legame tra confessione sciita e fedeltà politica all’Iran. In molti sono convinti che tutti gli sciiti siano necessariamente sostenitori del sistema nato dalla Rivoluzione islamica. Questo può essere vero con alcune forze politiche sciite che l’Iran sostiene per estendere la propria influenza nell’area, ma non è il caso di al-Sistani e di una grande fetta degli sciiti iracheni.
In realtà ci sono diverse divergenze tra l’autorità religiosa di Najaf e la Repubblica Islamica d’Iran. Alcune di esse riguardano la religione, altre le politiche iraniane nei confronti dell’Iraq. L’Ayatollah al-Sistani, per esempio, rifiuta il principio della wilāyat al-faqīh, che assegna ai religiosi sciiti un’autorità politica sulle questioni di governo ed è stato adottato in Iran a partire dall’ascesa di Khomenei nel 1979. Di contro, al-Sistani invita a istituire uno Stato civile, rifiutando qualsiasi ruolo politico nella gestione dello Stato iracheno. È una posizione che riflette le sue convinzioni religiose: egli crede infatti nell’autogoverno della umma (e non nel governo dei giuristi-teologi, NdT), dal momento che il potere trae la sua legittimità dal popolo e questo contrasta con il modello della wilāyat al-faqīh fatto proprio dalla Rivoluzione iraniana.