"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."

Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014

21 ottobre 2011

Alkosh la devota, dove si prega nella lingua di Cristo

By Terra
by Riccardo Bottazzo

«La cristianità è un gregge di pecore in transumanza. Quella che fa la matta, quella che sbaglia direzione è sempre la pecora che sta davanti. Ma quella che si piglia la randellata sul groppone è sempre quella in fondo, quella vicina al bastone del pastore».
Padre Ghazwan Baho vive sotto assedio. Da cinque anni oramai non abbandona più il villaggio di Alkosh, nel nord dell’Iraq. «Qualche giorno fa a Mossul hanno ammazzato a coltellate un altro cristiano. Due settimane fa un gruppo armato di integralisti è riuscito ad arrivare sino a qui forzando la linea difensiva dei curdi. Volevano prendere il vescovo e sono entrati in canonica sparando. L’esercito curdo è intervenuto con le armi e dopo una breve battaglia sono riusciti a respingerli, per questa volta almeno. E tenete conto che Alkosh è anche considerato il villaggio caldeo più sicuro per i cristiani! Ma ogni volta che l’America e l’Europa intraprendono qualche assurda crociata contro l’Islam, siamo noi, i cristiani caldei, quelli che ne pagano le spese».
Alkosh, con la sua antica chiesa che contiene le tombe del patriarca Michele e del profeta biblico Naom, è il cuore della cristianità in terra irachena. Qualche centinaio di case abbarbicate come un gregge di capre sulle pendici dell’altopiano che ad est sale sino alle montagne dell’Iran e ad ovest scende verso le distese desertiche dell’Iraq. In lontananza, dietro una foresta di pozzi di estrazione, alti fuochi e sbuffi di fumo nero delle raffinerie, si intravede l’azzurrognola sagoma di Mossul.
I cristiani caldei chiamano pomposamente Alkosh la “seconda Roma”. Ben pochi di loro comunque saprebbero trovare la capitale d’Italia su una carta geografica. Della Roma vera, queste quattro case in croce di pastori e contadini non hanno proprio niente con cui spartire. è solo un appellativo dettato dalla fede e dalla voglia di rimarcare ad un’Europa sempre più sorda che qui, in Iraq, continuano a vivere dei cristiani. Gli ultimi cristiani che continuano a parlare e a pregare nella lingua di Cristo, l’aramaico.
Un paese arroccato su se stesso sin dall’arrivo del Vangelo, portato dal patriarca Michele nei primi anni del 400, e che è rimasto fedele alla sua fede originaria anche quando l’intera Arabia si convertiva al dio misericordioso ed onnipotente predicato dal profeta Maometto.
Una legge tradizionale, non scritta ma cui nessuno ha mai trasgredito, vieta alla gente di Alkosh di vendere la propria abitazione e la propria terra a chiunque venga da fuori, non parli l’aramaico e non garantisca una discendenza caldea. Preservare la propria identità, su queste monti, è fondamentale per la sopravvivenza.
Tutta la fascia premontana abitata dai caldei, a confine tra il governatorato curdo di Erbil e quello sunnita di Ninive, appartiene amministrativamente alla provincia di Mossul ma nei fatti è occupata militarmente dall’esercito curdo. Per giungere ad Alkosh da Erbil ho contato sei posti di blocco. Nell’ultimo, quello a ridosso della “seconda Roma”, le milizie curde ti sequestrano il passaporto. Per riaverlo (da queste parti è saggio non farsi trovare mai senza) sei obbligato a ripassare dallo stesso posto di blocco. Non c’è comunque modo di fare di testa propria. Un miliziano con un Uzi carico a tracolla e che parla solo un dialetto siriaco ti segue per tutta la permanenza in città. Prima dell’intervento americano, non era così, mi racconta padre Ghazwan. Le porte delle case, ad Alkosh, erano sempre aperte. Anche per i curdi perseguitati da Saddam che trovavano sicura protezione nei cristiani caldei. Fu proprio il vescovo cristiano di Baghdad ad intercedere con il dittatore per salvare la vita all’attuale presidente dell’Iraq, il curdo Jalai Talabani.
«Oggi ci stanno ricambiando il favore. Se siamo vivi oggi, lo dobbiamo all’esercito curdo. Ma se passa l’idea di fare del territorio caldeo un’area cuscinetto tra i curdi e i mussulmani, noi siamo spacciati. Speriamo che gli americani cambino idea! Sono loro che comandano qui. Ho paura che finiranno per dividere l’Iraq in tre Stati separati: uno per i curdi, uno per i sunniti e uno per gli sciiti. Fa comodo a tutti, oramai. Ma nel caso noi speriamo che Alkosh rimanga in zona curda e che l’esercito di Erbil non si ritiri dalle attuali posizioni. Il governo del Kurdistan vorrebbe le città di Mossul e di Kirkuk. Ma Mossul non gliela daranno mai senza combattere. Mi chiedi di Saddam Hussein? Cosa posso rispondere? Saddam era un feroce dittatore impostoci dagli Usa ma con lui avevamo elettricità 24 ore al giorno e non per sole due ore come adesso. Non c’era il limite settimanale di 30 litri di benzina, c’era uno Stato, un solo esercito, c’erano leggi e non c’era guerra tra cristiani e mussulmani. Sciiti e sunniti pregavano insieme. Si sposavano tra loro addirittura. Una cosa inconcepibile oggi. Adesso l’Iraq è tutta una frontiera e un posto di blocco. Neanche le autoambulanza fanno passare se non hanno la targa col colore giusto. è questa quella “democrazia” che a voi, in occidente, pare così importante?».
Più in alto, incastrato in mezzo ai monti, che ti vien da chiederti come abbiano fatto a mettercelo, c’è il monastero in rovina di Santa Madonna. I frati si sono spostati all’inizio della strada «per essere più vicini alla gente» mi spiega il priore, padre Gabriele dove hanno tirato su un orfanotrofio. Una bella struttura moderna. Cento posti disponibili anche i se i piccoli ospiti sono solo 24. Se gli chiedi perché lo abbiano fatto così grande, padre Gabriele ti risponde domandandoti se davvero credi che non ci saranno più guerre in questo angolo di mondo. Come tanti altri su queste montagne, anche padre Gabriele è uno sfollato. Viveva a Baghdad col suo ordine religioso «quando Baghdad era ancora una città civile e non una città occupata. Il mondo non lo sa oppure fa finta di ignorarlo - racconta - ma ai tempi di Saddam a Baghdad c’era mezzo milioni di cristiani. Oggi sono poco meno di ventimila quelli che resistono perché non hanno altro posto dove scappare. Ogni quartiere era una mescolanza di genti e di religioni diverse. Oggi ci sono posti di blocco sulle strade e ogni zona deve innalzare o la mezzaluna sunnita o la Mano di Fatima sciita. I cristiani non hanno più diritti e sono perseguitati da un integralismo islamico sempre più feroce».
«Ma quelli che ci hanno cacciato via da Baghdad non sono gli arabi ma l’esercito americano: “Qui non c’è più posto per voi - ci hanno detto mentre ci accompagnavano alla frontiera - andate in Kurdistan o in Europa dove sarete accolti come rifugiati’. Perché ci hanno mandato via dalle nostre case? Gli Usa hanno sempre fatto così. Con la guerra fredda hanno diviso il mondo con le ideologie tra democrazie e comunismi. Oggi lo vogliono dividere con le religioni tra cattolici e mussulmani. Non c’è posto per chi è nato dall’altra parte della frontiera».
Dividi et impera. Lo dicevano anche in quell’altra Roma. Quella dell’impero.

18 ottobre 2011

Congresso Internazionale: La genesi anaforica del racconto istituzionale alla luce dell’anafora di Addai e Mari


By Baghdadhope*

25 e 26 ottobre 2011

Sede del Congresso: Pontificia Università Gregoriana

Piazza della Pilotta, 4 – 00187 Roma

Per informazioni: Pontificio Istituto Orientale

Piazza S. Maria Maggiore, 7 – 00185 Roma

e-mail: cesare.giraudo.sj@gmail.com

www.liturgia.it/addaicongress/

Il 17 gennaio 2001 la Congregazione per la Dottrina della Fede riconosceva la validità dell’Eucaristia celebrata con l’anafora di Addai e Mari, che la Chiesa Assira d’Oriente adopera ab immemorabili senza il racconto di istituzione.
Il 26 ottobre 2001 L’Osservatore Romano rendeva pubblica tale decisione, approvata da Giovanni Paolo II, tramite un documento intitolato Orientamenti per l’ammissione all’Eucaristia fra la Chiesa Caldea e la Chiesa Assira d’Oriente. Per celebrare questo primo significativo decennio l’ Istituto Orientale, in collaborazione con l’Università Gregoriana, promuove un Congresso Internazionale per i giorni 25 e 26 ottobre 2011.
Mentre la giornata di martedì 25 sarà dedicata ad ambientare la riflessione tramite conferenze storico-canonistiche sulla Chiesa Assira d’Oriente, la Chiesa Caldea e la Chiesa Siro-Malabarese, la giornata commemorativa di mercoledì 26 sarà consacrata interamente a conferenze tese a far luce sulla genesi del racconto istituzionale nell’anafora, in riferimento specifico all’anafora di Addai e Mari e ad analoghe testimonianze provenienti soprattutto dalle tradizioni anaforiche siriaca, maronita ed etiopica.

Per il programma e le informazioni sul congresso clicca qui


Foto proveniente dall'archivio del Pontificio Istituto Orientale - Roma - Nelle tre didascalie siriache, considerate da sinistra a destra, si legge: “Gesù Messia mentre è reclinato” (cioè nella positura richiesta dalla normativa conviviale della pasqua); “I discepoli mentre mangiano la pasqua” (cioè l’agnello pasquale, raffigurato nel simbolo cristologico del pesce/ichthys); “La cena mistica”.
La miniatura proviene dal Monastero Mar Gabriel di Tur Abdin (foto Archivio-PIO).

13 ottobre 2011

Iraq: US Catholic bishops visit tomb of martyred priests

By Speroforum in Energy Publisher, October 12, 2011

Two Roman Catholic bishops of the United States visited Iraq and conferred with their colleagues. Bishop Gerald Kicanas of Tucson, Arizona, and Bishop George Murry, SJ, of Youngstown, Ohio, visited Baghdad, October 2-5, at the invitation of the Catholic bishops of Iraq. They stayed with the apostolic nuncio, Archbishop Giorgio Lingua, and visited churches, convents, schools and hospitals in the city.
Bishop Kicanas and Bishop Murry are the chairman of the board of Catholic Relief Services (CRS) and secretary of the U.S. Conference of Catholic Bishops (USCCB), respectively. They made the trip as representatives of the USCCB and visited the four Christian communities in Baghdad, the Chaldean, Latin, Armenian and Syrian Catholics.
“The Christians in Baghdad have suffered greatly; their faith has been tested,” said Bishop Kicanas. “One of the most moving moments in the visit was praying with Archbishop Athanase Matti Shaba Matoka, archbishop emeritus of Baghdad, in the Syrian Catholic Church of Our Lady of Deliverance where so many were killed in the bombings and shootings that took place there on October 31 of last year.”
The bishops prayed at the tomb of the two priests killed in the siege and viewed the damage done to the Church by four suicide bombers.
“Because of religious tensions, Christians in Iraq do not feel safe in their churches or their homes,” said Bishop Murry. “Many have emigrated to the north of the country or have left Iraq entirely, which greatly concerns the bishops there. One Chaldean priest told us the chilling story of his kidnapping and being held for ransom by two different groups. Many people had similar stories to tell.”
The bishops also celebrated Mass with Bishop Shlemon Warduni and the Chaldean Christian community of the Church of the Assumption, as well as Archbishop Jean Benjamin Sleiman, O.C.D. and the Latin Catholic community, and visited the small Armenian community served by Archbishop Emmanuel Dabbaghian.
The bishops toured Caritas Iraq programs in Baghdad that serve Christian and Muslims. These included a well-baby program, programs integrating people with special needs, assistance for victims of violence, assistance for displaced families, and peace building and reconciliation programs.
“In every instance we were impressed by the great good being done by the Caritas staff and volunteers,” said Bishop Murry. “Large numbers of the poor have access to health care. Parents are assisted in caring for their children, including those with disabilities. Women have opportunities to learn how to cook, to sew and to use computers. There are opportunities for dialogue in order for people of different faiths to understand one another better. Volunteers are trained to use their talents to assist others.”
“In discussions with the bishops of the region, with others who serve the Church in Iraq and with Caritas staff as well as in visits around the city, we saw and heard the challenges and aspirations of the Christians in Iraq and of its other citizens,” said Bishop Kicanas. “Instability and the fear of violence permeate the city. People pray and long for peace. The sanctions, war, and occupation have taken a heavy toll on the people. The terrible condition of the roads, the concrete security walls around churches and buildings in the city reflect the fractionalization of the community and the dire situation that exists. So many have fled the country or are internally displaced. Many live in desperate situations. Christians will remain in Iraq only if there are opportunities to work, if greater stability and peace can occur.”
Bishop Murry and Bishop Kicanas will inform the U.S. bishops, the CRS Board, and the government of the United States on what they saw and experienced. “As the United States military moves to the planned withdrawal from the city in the next months, it is critical that a plan be in place for a peaceful transition and not one marred by more violence and the killing of innocent people,” said Bishop Murry.

USA/Irak: Bischöfe besuchen Bagdad

By Radio Vatikan, 13/10/2011

Zwei amerikanische Bischöfe waren auf Einladung in der irakischen Hauptstadt Bagdad. Von 2. bis 5. Oktober besuchten Bischof Gerald Kicanas aus Arizona und Bischof George Murry aus Ohio Kirchen, Klöster und katholische Sozialeinrichtungen, Schulen und Krankenhäuser der Stadt.
Als Repräsentanten der amerikanischen Bischofskonferenz gingen sie außerdem zu den vier christlichen Gemeinschaften Bagdads. Im Gebet gedachten sie der Christen, die bei Übergriffen auf die Minderheit ums Leben gekommen waren. Der Glaube der Christen im Irak war oft auf die Probe gestellt worden, sagte Bischof Kicanas. Außerdem lobten die beiden Bischöfe die Arbeit der Caritas Irak für die christliche und die muslimische Bevölkerung. - Das strikte Nein des damaligen Papstes Johannes Paul II. zum Irak-Krieg hatte seinerzeit in der katholischen Ortskirche der USA nicht überall Zustimmung gefunden. Mit dem Krieg begann die gezielte Verfolgung und Vertreibung der christlichen Minderheit aus dem Irak.

Medio Oriente: Mons. Sleiman (Baghdad) "I cristiani non appoggiano i dittatori"

By SIR

“I cristiani in Medio Oriente non appoggiano i regimi dittatoriali, tutt’altro. Esprimono solo la paura e la preoccupazione che da regimi ideologici come quelli attuali si possa passare a quelli religiosi e fondamentalisti”.
È quanto dichiarato al SIR dall’arcivescovo latino di Baghdad, mons. Jean Sleiman, a margine della riunione, che si chiude oggi a Roma, della Celra, la Conferenza dei vescovi latini delle regioni arabe.
“In Occidente – afferma l’arcivescovo – parlate di primavera araba mentre queste rivolte non sono necessariamente primavera. Noi chiediamo, vogliamo il rispetto dei diritti, della dignità, abbiamo lo stesso desiderio degli altri di vivere in Paesi liberi ma anche la paura di altre dittature, quelle pericolose, della religione”. Mons. Sleiman rigetta le accuse fatte ai cristiani di essere vicini ai regimi al potere: “non è vero – spiega – uno dei principali oppositori di Assad in Siria è un cristiano, e i cristiani rivendicano pacificamente uno Stato laico”.
Altra preoccupazione dei vescovi latini delle regioni arabe è quella dell’emigrazione, resa ancora più drammatica dalla cifra di 100 mila copti cristiani in fuga dall’Egitto. “Sappiamo di questo esodo anche se il numero non è confermato – dice mons. Sleiman – purtroppo molti si accorgono della drammaticità del problema solo quando restano a terra delle vittime. I cristiani sentono la gravità di questi tempi e scelgono di andare via. Siamo una minoranza, i nostri appelli chi può raccoglierli? Tuttavia non dobbiamo perdere la speranza e continuare la nostra vita nelle nostre terre”. “In questa regione – conclude il presule – la situazione migliorerà quando sarà trovata una soluzione giusta e duratura al conflitto israelo-palestinese. La richiesta all’Onu da parte palestinese per uno Stato non pregiudica le possibilità di pace che va ricercata, comunque, per via negoziale”.

11 ottobre 2011

Medio Oriente: Vaticano, riunione annuale dei vescovi latini delle regioni arabe

By SIR

Si apre questa mattina (fino al 13), in Vaticano, la riunione annuale della Celra (Conferenza dei vescovi latini nelle Regioni arabe).
Diversi i temi all’ordine del giorno, alcuni dei quali sono riflesso dell’attuale situazione in Medio Oriente: la Primavera araba, la domanda di adesione di uno Stato della Palestina alle Nazioni Unite, le violenze in Egitto, Iraq e Siria.
I presuli, sotto la presidenza del patriarca latino di Gerusalemme, Fouad Twal, provvederanno, inoltre, all’elezione del nuovo segretario della Conferenza e sceglieranno il vescovo che parteciperà, insieme al Patriarca, al Sinodo su "La Nuova Evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana", che si terrà dal 7 al 28 Ottobre 2012 in Vaticano.
Tra gli argomenti anche la presenza della Chiesa mediorientale al Congresso eucaristico internazionale che si terrà in Irlanda, a Dublino, dal 10 al 17 Giugno 2012, sul tema "L'Eucaristia, comunione con Cristo e tra noi".

4 ottobre 2011

Iraq: Christians clinging on to hope in Ankawa as numbers triple

By Aid to the Church in Need UK, October 4, 2011
by John Pontifex

Christians in one corner of Iraq have trebled in number over the past 15 years according to a leading bishop who is grappling with an influx of people escaping persecution and oppression.
The Christian population in Ankawa, a suburb of the Kurdish capital Erbil, has increased from just over 8,500 in the mid-1990s to more than 25,500 today.
Of those, up to 1,500 have arrived within the last year alone.
Many of them fled after the 31st October 2010 siege of the Syrian Catholic Cathedral in Baghdad, where 58 people were killed and more than 70 were injured in an attack during Sunday evening Mass.
Christians arriving in Ankawa have fled not only from the Iraqi capital but from all across the country – Mosul in the north, Kirkuk in the north-east, and even Basra, hundreds of miles away in the extreme south.
Giving this assessment of the displacement of Christians in Iraq, Archbishop Bashar Warda of Erbil told Aid to the Church in Need about the huge challenge of helping people arriving in Ankawa.
He added: “Many Christians arrive in Ankawa very poor. They need jobs, they need decent healthcare and they need good homes."
The archbishop said many were attracted by the relative safety of the Kurdish north and had come to Ankawa because of its high proportion of Christians.
Underlining the need to support Christians, Archbishop Warda said that this week alone a Catholic primary school had opened its doors for the first time.
Back in January, Archbishop Warda got local government support for a plan to secure two plots of land to build a 100-bed hospital and a university.
But the archbishop said there was still a huge amount of work ahead.
“The people demand a great deal from the Church. We are doing our best to help them.”
“They are our beloved people and it is our mission to help them but sometimes we feel the pressure is very great.”
Archbishop Warda said that many Christians arriving in Ankawa think of it as a stop-off en route to eventual emigration to Turkey, Lebanon and Jordan.
In the last decade, Christians in Iraq have plummeted from 800,000 to perhaps as few as 150,000 – many of them forced out by a series of killings, kidnappings, verbal and physical violence, and attacks on Christians businesses and homes – many of them acts of religious intolerance.
The archbishop stressed that the Church wanted to encourage Christians to stay in Iraq.
He said: “It is the wish of everyone that people will stay in our country. All our efforts and strategies are aimed at reducing the phenomenon of emigration.”
Describing the people as “very strong in their faith”, Archbishop Warda stressed the pastoral demands of coping with too few churches and a shortage of priests and catechists.
He said: “At present we only have three churches in the Ankawa area. Sometimes, the churches are so full, people are forced to stand outside.”
Now Archbishop Warda has plans for a new church in Ankawa.
He praised Aid to the Church in Need for prioritising pastoral help for Christians arriving in Ankawa.
The charity has given help including Mass stipends for priests, Christian education materials such as books and leaflets and support for church building projects.
When the Baghdad district of Dora fell victim to killings and kidnapping of Christians (2004-7), Aid to the Church in Need helped evacuate seminarians studying there to Ankawa where for a time they lived in metal shelters.
The charity has also provided scholarships for priests, and food hampers for Christian families in Kurdish northern Iraq provided by Sisters who travel around villages in a van.
Archbishop Warda, who was a special guest at the UK and Ireland launches of Aid to the Church in Need’s 2011 publication ‘Persecuted and Forgotten? on oppressed Christians, praised the charity, saying: “Thank God there are diligent people who listen and care for our people. The benefactors remind us that we are not forgotten. They deserve a big thank you for their wonderful work – thinking, praying and acting in support of us, all done in a caring manner.”

I cristiani iracheni prima salvati e poi dimenticati

By Vatican Insider- La Stampa, 4 ottobre 2011
by Gianni Valente

All'inizio grande era stato l'ìmpegno della autorità civili e religiose, poi il progressivo abbandono o il rimpatrio con le sole associazioni rimaste a far fronte alle esigenze dei profughi ha svelato uno scenario molto diverso dai primi giorni di emergenza. Quando arrivarono a Roma da Baghdad, sofferenti nel corpo e nello spirito, la gara di solidarietà che si era sviluppata intorno a loro li aveva commossi e consolati. Era il 12 novembre dello scorso anno: ventisei cristiani iracheni, rimasti feriti nella strage consumata alla fine di ottobre 2010 da un commando terrorista nella cattedrale siro-cattolica di Nostra del Perpetuo, avevano trovato ricovero al Policlinico Gemelli, nel quadro di un’operazione di soccorso solidale sponsorizzata dal Ministero degli Affari esteri italiano su sollecitazione del Segretario di Stato Vaticano, il cardinale Tarcisio Bertone. Ad accompagnare gli scampati al massacro – 16 donne, 3 bambini e 7 uomini – c’erano anche 21 parenti.

Il sindaco Gianni Alemanno, sempre pronto a manifestare la propria sensibilità per le vittime della cosiddetta “cristianofobia”, dopo avere incontrato i profughi si era detto «impressionato» dai racconti di violenza ascoltati dalle voci dei sopravvissuti alla strage che aveva lasciato sul terreno 58 morti e più di cento feriti. «La città di Roma» aveva detto il primo cittadino dell’Urbe «farà tutto il possibile per ospitare coloro che tra queste persone sceglieranno di vivere qui o in Italia e per coloro che vorranno effettuare dei ricongiungimenti familiari in altri paesi europei».

Eppure, a distanza di un anno, un comunicato diffuso dall’associazione Salvaimonasteri fa emergere nuovi particolari che fanno calare più di un’ombra su quella vicenda, presentata sui media come una testimonianza di solidarietà cristianamente ispirata verso gli sfortunati fratelli d’Oriente.

Secondo il racconto fornito dall’organizzazione presieduta da Elisabetta Valgiusti - e da sempre in prima linea nel sostegno alle comunità cristiane dell’ex Jugoslavia, del Medio Oriente e dell’Asia - la carica di ospitalità esibita ai profughi cristiani iracheni al loro arrivo sarebbe durata poco. Nel comunicato diffuso da Salvaimonasteri si legge che già il 7 dicembre 2010 «venne inaspettatamente comunicato dall'Ufficio Task Force Iraq del Ministero degli Esteri che la maggior parte del gruppo iracheno doveva essere rimpatriato immediatamente». Davanti alle scontate resistenze degli iracheni, al Gemelli si venne a creare una situazione di «pesante emergenza». Secondo la denuncia di Salvaimonasteri, gli uffici ministeriali e lo stesso Policlinico Gemelli («fruitore di una convenzione con il Ministero per l'intervento») in quel frangente avrebbero dato prova di gravi carenze operative e strategiche.

L’emergenza fu tamponata anche grazie al coinvolgimento di altri soggetti: oltre a Salvaimonasteri, la congregazione religiosa dei padri rogazionisti e la Procura della Chiesa siro-cattolica a Roma. Tali organismi, in diretto rapporto con l'ufficio Task Force Iraq della Farnesina, per nove mesi hanno fornito assistenza e ospitalità a gran parte dei profughi iracheni, superando - così lamenta il comunicato - il continuo rimpallo di competenze e responsabilità.
Venerdì scorso l'ultimo nucleo familiare di iracheni della Cattedrale di Baghdad presente a Roma è partito per la destinazione da loro richiesta. Ma adesso i costi materiali un’iniziativa solidale realizzata sotto il patrocinio di eminenti istanze istituzionali rischiano di pagarli per buona parte gli enti intervenuti solo di rincalzo, ispirati dal semplice istinto di carità cristiana, senza ricadute di visibilità “umanitaria”.
In particolare la casa dei rogazionisti a Morlupo avrebbe sostenuto spese vive per più di 30mila euro. Salvaimonasteri denuncia senza indugi «le inadempienze del Ministero riguardo alle collaborazioni effettuate» e parla di fondi promessi e mai arrivati. Secondo l’associazione, la Farnesina avrebbe garantito al Policlinico Gemelli i 400mila euro previsti dalla convenzione bilaterale, ma sarebbe intenzionata a escludere le altre strutture dalle procedure di rimborso per i servizi effettuati.

3 ottobre 2011

Doppio omicidio mirato contro la comunità cristiana a Kirkuk

By Asia News, 3 ottobre 2011

Doppio omicidio, lo scorso fine settimana, contro esponenti della comunità cristiana a Kirkuk. Nella città a nord dell’Iraq, ritenuta strategica per gli enormi giacimenti petroliferi, al centro di un’aspra contesa politico-economica fra arabi, turcomanni e curdi, i cristiani continuano a morire nell’indifferenze delle autorità. Sequestri a scopo di estorsione, omicidi mirati e attentati a chiese o proprietà di cristiani sono ormai episodi di cronaca quotidiana, che il governo locale e nazionale non riescono ad arginare. Fonti di AsiaNews a Kirkuk, anonime per motivi di sicurezza, denunciano che “gli attacchi contro i cristiani continuano, nel silenzio più totale del mondo. Su di noi – continua – è come se fosse calata la notte”.
Ieri pomeriggio Bassam Isho, 30enne cattolico, dipendente di un ristorante nel quartiere di Muthana, è stato assassinato a colpi di arma da fuoco da un gruppo di sconosciuti. Compiuto l’omicidio, la banda ha fatto perdere le proprie tracce e, al momento, non si hanno ulteriori notizie. La salma del giovane verrà sepolta a Telkef. Il primo ottobre, alla periferia di Kirkuk, è stato rinvenuto il cadavere di un secondo cristiano, ucciso anch’egli a colpi di pistola. Il corpo di Emmanuele Hanna Polos, nato nel 1951, giaceva riverso ai margini della strada che dalla città porta fino a Baghdad, capitale dell’Iraq.

Gli omicidi del fine settimana sono solo l’ultimo episodio di una lunga striscia di sangue e violenza: il 15 agosto scorso alcuni ordigni sono esplosi contro la chiesa di sant’Efrem a Kirkuk. La chiesa siro-ortodossa è a poche centinaia di metri dalla cattedrale caldea, nel centro della città. Ancora, il 2 agosto un’autobomba è esplosa davanti alla chiesa siro-cattolica della Sacra Famiglia, ferendo 15 persone. Nello stesso giorno, un altro ordigno con autobomba, parcheggiato vicino a una chiesa presbiteriana, è stato disinnescato prima che scoppiasse.

I cristiani in Iraq sono sempre più divenuti il bersaglio del fondamentalismo islamico ancora attivo; allo stesso tempo, essi sono presi di mira nelle faide locali. Kirkuk, con i suoi 900mila abitanti, e con i depositi di petrolio più importanti dell’Iraq, da tempo è al centro di un conflitto etnico-politico fra arabi, turcomanni e curdi. Questi ultimi la vorrebbero annessa alla regione del Kurdistan, mentre arabi e turcomanni sostengono il legame con il governo centrale irakeno.


* Secondo la ben informata fonte locale Ankawa.com l'assassinio di Bassam Isho è avvenuto non a Kirkuk ma a Mosul. Località confermata anche da altri siti iracheni.
Nota di Baghdadhope

Double targeted killings against the Christian community in Kirkuk

By Asia News, October 3, 2011

A double murder has marked the Christian community in Kirkuk this weekend. In the northern Iraqi city, considered strategic for the huge oil fields in the center of a bitter political and economic dispute between Arabs, Turkmen and Kurds, Christians continue to die in the complete indifference of the authorities. Kidnappings for extortion, assassinations and attacks on churches and Christians are now episodes of daily life, and the local and national government seem incapable of defending them. AsiaNews sources in Kirkuk, anonymous for security reasons, denounced that "the attacks on Christians continue and the world remains totally silent. It’s as if – he continues- we’ve been swallowed up by the night. "
Yesterday afternoon, Bassam Isho a 30 year old Catholic restaurant employee in the district of Muthana, was shot dead by a group of strangers. After the murder, the band scattered covering their tracks and, so far, there is no further information. The young man will be buried in Telkef. On October 1, on the outskirts of Kirkuk, the corpse of a second Christian was found, also shot to death. The body of Hanna Polos Emmanuel, born in 1951, lay sprawled on the edge of the road that leads from the city to Baghdad, the capital of Iraq.

The weekend killings are only the latest in a long trail of blood and violence: on August 15 last a few bombs exploded against the church of St. Ephrem in Kirkuk. The Syriac Orthodox Church is a few hundred meters from the Chaldean cathedral in the center of the city. Again, August 2 a car bomb exploded in front of the Syrian Catholic Church of the Holy Family, injuring 15 people. On the same day, another car bomb, parked next to a Presbyterian church, was defused before it exploded.

Christians in Iraq have increasingly become the target of Islamic fundamentalism which is still active. At the same time, they are also targeted in local feuds. Kirkuk, with its 900 thousand inhabitants, and most important deposits of oil in Iraq, has long been the center of a political-ethnic conflict between Arabs, Turkmens and Kurds. The latter want it annexed to the Kurdistan region, while both Arabs and Turkmen want to maintain links with the Iraqi central government.


* According to the well-informed local source Ankawa.com Isho Bassam's murder took place in Kirkuk and not in Mosul. Location confirmed by other Iraqi sites.
Note by Baghdadhope

1 ottobre 2011

Medio Oriente - Segno di pace e speranza - Mons. Sako: i musulmani dicono che "i cristiani sono i nostri fiori"

By Il Nuovo Torrazzo, 30 settembre 2011

Mons. Louis Sako, arcivescovo caldeo di Kirkuk in Iraq, è un coraggioso esponente della comunità cristiano-caldea irachena. Originario di Mosul, è un difensore delle minoranze minacciate e un sostenitore del difficile processo di democratizzazione e di riconciliazione in Iraq. In questi giorni in Italia per partecipare all'edizione 2011 di "Molte fedi sotto lo stesso cielo", promossa dalle Acli di Bergamo, mons. Sako è un testimone del dialogo e della riconciliazione in Iraq, e negli ultimi anni si è fatto interprete delle difficoltà dei cristiani iracheni, costretti ad una vita catacombale a causa dell'aggressività del fondamentalismo islamico.
I riconoscimenti a lui attribuiti, nel 2008 "Defensor Fidei", nel 2010 Premio per la pace "Pax Christi", nel 2011 Premio per i diritti umani della Fondazione Stephanus (Germania), lo stanno a ricordare.
Il SIR lo ha incontrato per fare il punto sulla situazione in Medio Oriente alla luce degli eventi più recenti.Un passo positivo per tutta la regione.

La disamina di mons. Sako parte dalla richiesta di Abu Mazen all'Onu di uno Stato palestinese.
"Il mondo arabo - dice - aspetta il riconoscimento di uno Stato palestinese. Sarebbe un passo avanti nella soluzione del conflitto israelo-palestinese. Anche i negoziati potrebbero trarne vantaggio dal momento che a dialogare saranno due Stati, in condizione di parità. A beneficiare della nuova possibile situazione sul campo saranno anche le minoranze cristiane, spesso assimilate all'Occidente alleato di Israele. A lungo tempo i cristiani hanno pagato, e continuano a farlo, la crisi israelo-palestinese". "Ingiustamente - ribadisce l'arcivescovo - perché bisogna ricordare che i pionieri della liberazione della Palestina sono stati i cristiani. Sono stati tra i primi a chiederla e a combattere per la Palestina, con le loro milizie. Il riconoscimento è un passo verso un futuro migliore e per questo dobbiamo sostenerlo. Il fatto che i palestinesi possano avere un'entità statale e con essa anche un'identità non potrà che avere dei riflessi positivi su tutto il mondo arabo che da decenni attende la soluzione al conflitto".

Primavera araba e paure dei cristiani.
L'inizio del 2011 è stato caratterizzato dal fiorire della "primavera araba", popoli in piazza in molti Stati per invocare democrazia, giustizia, diritti e migliori condizioni di vita. Sullo sfondo, però, le ombre del fondamentalismo islamico che rischia di prendere il posto dei regimi caduti. I timori delle minoranze cristiane sono forti.
Ma, per mons. Sako, "i cristiani non dovrebbero avere paura poiché fanno parte della popolazione araba, sono cittadini a pieno titolo e in quanto tali possono e devono avere un ruolo in questo cambiamento. Ci vuole prudenza, certo, ma è lecito chiedere ai rispettivi governi, per esempio a quello siriano, riforme profonde, a livello sociale, economico, politico e culturale. I cristiani devono far valere quelle capacità di mediazione e di dialogo, connaturate alla nostra fede, per riavvicinare le posizioni ed evitare odio e violenza. Questo è il grande contributo dei cristiani".
Costoro, aggiunge il presule caldeo, "non devono limitarsi ad aspettare l'aiuto dell'Occidente o a cercare una protezione da fuori". "Il futuro dei cristiani - sottolinea - è legato a quello dei loro concittadini musulmani. Vivere insieme è possibile, anche con i musulmani fondamentalisti avviando un dialogo aperto, sincero e coraggioso che porti alla conoscenza armonica e reciproca. Farlo è possibile perché si condivide la stessa lingua, la stessa cultura, la stessa storia. Anche quella futura".

Dialogare con tutti.
Dialogare con i fondamentalisti, i fratelli musulmani, i salafiti, le autorità sunnite e sciite è fondamentale per mostrare loro "la nostra lealtà, il nostro impegno e la volontà di vivere insieme con rispetto e dignità. La laicità positiva, quella rispettosa dei valori religiosi e dei principi di giustizia, per cui tutti i cittadini hanno gli stessi diritti e doveri e sono uguali davanti alla legge, passa attraverso il dialogo". Il dialogo deve poi essere accompagnato da alcune decisioni concrete come quella di "modificare i programmi di educazione religiosa ed eliminare le espressioni di violenza, odio, esclusione ed emarginazione e di permettere l'insegnamento di tutte le religioni con rispetto e in modo positivo per sviluppare una convivenza pacifica ed armonica". Come a dire che le autorità religiose musulmane "devono avere un modo moderato e aperto per presentare l'Islam e aiutare l'integrazione dei musulmani nella società contemporanea" ma che nel contempo anche "i cristiani devono essere consapevoli di vivere in un contesto musulmano, e quindi essere realistici per contribuire al cambiamento restando nella loro terra e non emigrando. I Paesi occidentali - rimarca a riguardo mons. Sako - non dovrebbero incoraggiare l'emigrazione, salvo casi specifici. Devono aiutare alla riconciliazione e a una cultura del dialogo e della pace". "Nonostante tutte le difficoltà - sostiene - siamo rispettati dalla maggioranza dei musulmani, apprezzati per la nostra apertura, formazione scientifica e testimonianza, per questo possiamo contribuire alla costruzione di una cultura del dialogo e della riconciliazione. I musulmani dicono che 'i cristiani sono i nostri fiori'; dunque, siamo per loro un segno di pace e di speranza".

"Lie in wait"

By Baghdadhope*

“Lie in Wait è il mio viaggio alla scoperta della condizione delle profughe irachene nei sobborghi di Amman, in Giordania”.
Così Simona Ghizzoni (Contrasto) racconta il cortometraggio realizzato con Un ponte per… che si è guadagnato il primo posto al Milano Film Festival, nella sezione “Ngo world videos”.
Foto, video e voci di donne che narrano di privazioni, traumi, malattie e difficoltà di donne sospese in un limbo istituzionale, senza diritti e senza garanzie di futuro, nell’infinita attesa di ricevere l’agognata lettera dell'UNRWA, il loro lasciapassare per una nuova vita.
La dichiarazione della fine della guerra in Iraq e il progressivo ritiro delle truppe americane ha provocato un ulteriore, abissale silenzio politico e mediatico riguardo la questione dei profughi.
Dall’inizio dell’invasione, nel 2003, centinaia di migliaia di iracheni hanno lasciato il paese, cercando rifugio negli Stati confinanti, con la speranza di poter rientrare un giorno nelle proprie case.
Il progetto biennale Servizio di salute integrato per le comunità di rifugiati iracheni in Giordania - finanziato dal Ministero degli Affari Esteri e realizzato in partenariato con la Jordanian Women Union (JWU) - s’inserisce nell’ambito delle attività che Un ponte per… porta avanti dal 1991, anno in cui l’Associazione inizia a lavorare in Iraq.

Per approfondimenti: http://www.unponteper.it/amman

Per vedere il cortometraggio clicca sul titolo o qui