"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."

Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014

26 settembre 2023

Iraq Il Patriarca caldeo Sako si rifugia nel Kurdistan e chiede sostegno. Papa Francesco dovrebbe chiarire la sua posizione e rompere il silenzio

21 settembre 2023 
L.B., R.C. - a cura Redazione "Il sismografo"

 Il Papa, seppure sovrano assoluto, è prima di tutto il Vescovo di Roma che presiede nella carità i suoi confratelli, e tra i suoi doveri c'è quello supremo di difendere le chiese particolari. Per fare questo serve la parresia profetica e non il silenzio ammiccante 
In sostanza, quanto Kevin Clarke scrive sulla rivista dei gesuiti statunitensi America, è verissimo: "Il capo della Chiesa cattolica caldea irachena, il Patriarca Sako, è stato cacciato da Baghdad".
La gravità di questo fatto è enorme al punto che per capire bene, scrive Clarke, occorre ricordare che "l'ultima volta che la leadership caldea fuggì da Baghdad, secondo la Iraqi Christian Foundation, fu nel 1259 d.C. quando un esercito mongolo stava consolidando il controllo della città".
Ma nonostante questa situazione inverosimile, il Vaticano tace.
Il 17 luglio scorso il Patriarca Louis Raphaël Sako spedì all'organizzazione pontificio 'Aiuto alla Chiesa che soffre', un comunicato in cui raccontava e spiegava quanto stava succedendo – e che succede tuttora – nel suo martoriato e disastrato Paese visitato da Papa Francesco dal 5 all'8 marzo 2021.

Le manovre del Presidente iracheno Rashid
L'origine immediato della crisi è stata una decisione del Presidente iracheno Abdul Latif Rashid che, nella sostanza, revoca un decreto del 2013, firmato dall'allora Presidente Jalal Talabani, che riconosceva al cardinale Sako la guida della Chiesa Caldea. Ora il Presidente Rashid, militante dell'Unione Patriottica del Kurdistan, dice di ritenere che quel decreto di dieci anni fa è incostituzionale.
La stampa in generale, tranne qualche eccezione, non ha reagito di fronte a questi eventi. Anzi ha taciuto, diminuito o ignorato i fatti. Washington reagì subito con fermezza. Il portavoce del Dipartimento di Stato, Matthew Miller, criticò la decisione di Abdul Latif Rashid di revocare un decreto che aveva riconosciuto il cardinale Louis Sako come capo della Chiesa cattolica caldea in Iraq e gli aveva permesso di sovrintendere ai suoi beni. "Dirò che siamo turbati dalle vessazioni al cardinale Sako... e turbati dalla notizia che ha lasciato Baghdad", ha sottolineato Miller durante una conferenza stampa. Poi ha aggiunto: "Non vediamo l'ora che ritorni sano e salvo. La comunità cristiana irachena è una parte vitale dell'identità irachena e una parte centrale della storia irachena fatta di diversità e tolleranza".
A Baghdad il presidente Rashid si è infastidito facendo sapere di essere "deluso dalle accuse mosse contro il governo iracheno" da Miller e quindi avrebbe convocato l'ambasciatore USA per un colloquio.

La reazione del Vaticano
Ma, sino ad oggi, non si trova una sola riga in cui il Papa, il cardinale Parolin o mons. Gallagher, oppure il Dicastero per le Chiese Orientali, scendano in difesa di una chiesa martoriata d'anni come quella caldea in Iraq dove le molte vicissitudini in vent'anni – spesso terribili – hanno ridotto i fedeli da 1,5 milioni a 150mila. Dal Vaticano in questi mesi non è mai arrivato nulla. Si è visto il solito copione di situazioni precedenti di conflitto fra il potere e la chiesa locale: Bielorussia, Cina, Nicaragua, Venezuela e altre situazioni simili ma più discrete o circoscritte.
Dal Vaticano è arrivato solo un curioso documento della Sala stampa: una ossequiosa e rispettosa smentita a Rayan al-Kildani, capo della Brigata Babilonia nemico dichiarato del cardinale Sako, suo calunniatore seriale e considerato da numerosi Paesi occidentali persona pericolosa sulla quale pesano sanzioni statunitensi e canadesi. Questo attivista, potente alleato dell'Iran, amico di numerosi ayatollah della teocrazia di Teheran, che si dice anche lui cristiano, con l'inganno – o forse con qualche complicità vaticana sulla quale s'indaga tuttora – è riuscito ad avvicinare il Pontefice, farsi fotografare mentre si rivolgeva a Francesco, e tutto ciò per dire poi che era stato ricevuto dal Papa di Roma. L'inghippo aveva un solo scopo: fuorviare l'attenzione pubblica irachena e accreditarsi come uno che ha facilmente accesso al Pontefice, in modo di far passare l'idea insensata che tra Sako e Rayan, il Papa preferisce il secondo.
Il 12 settembre, una settimana dopo, mentre la foto della presunta udienza papale circolava ampiamente, il direttore della Sala stampa della Santa Sede, Matteo Bruni ha dichiarato: «Durante l’udienza generale in piazza San Pietro del 6 settembre scorso, Sua Santità Francesco ha salutato alcune persone presenti, come avviene di consueto. Tra di esse vi era anche un gruppo di iracheni con il signor Rayan Al-Kildani, con il quale c’è stato un breve saluto di circostanza».

Tutte parole felpate anche se la vittima della montatura è il Papa. Curioso!
Se in Vaticano si trova tempo e idee per correggere Rayan Al-Kildani, non si potrebbe fare un sforzo per trovare tempo e idee per difendere i cristiani caldei dell'Iraq e il loro Patriarca? A questo punto il silenzio del Papa, e dei suoi collaboratori autorizzati a parlare, significa che non hanno nessuna spiegazione convincente.
Ma perché?
Card. Sako: "se Roma tace a rischio il futuro dei cristiani iracheni" Dario Salvi, in un'intervista per AsiaNews, ha chiesto al cardinale Sako: Il silenzio finisce per legittimare gli attacchi contro la sua persona e l’intera Chiesa caldea?
Risposta del Patriarca: "Esatto! La Santa Sede poteva prendere parola, dire che la propaganda di questo signore non è vera, poteva cercare di calmare la gente, i moltissimi cristiani e musulmani in Iraq che stanno soffrendo per questi nuovi attacchi, per queste bugie che fanno del male prima di tutto alla nostra comunità. Il nunzio apostolico mi invita a dialogare, a non umiliare il presidente… ma qui è il presidente a umiliare la Chiesa e il suo popolo. Dice che bisogna lasciare il decreto e accettare una sentenza del tribunale. Ma deve capire la mentalità locale e sostenere la Chiesa: poteva smentire la strumentalizzazione e le bugie di Rayan, chiedere ai vescovi che ricevono soldi da lui di fermarsi, trovare una soluzione che non fosse contro la Chiesa caldea".