23 settembre
Daniele Rocchi
“I cristiani iracheni vedono violati i loro legittimi diritti umani e nazionali”. A ribadirlo con forza è il patriarca caldeo di Baghdad, card. Louis Raphael Sako, che, in una nota diffusa questa mattina, ricorda gli abusi patiti dalla comunità cristiana irachena che vanno dall’“esclusione dal lavoro all’appropriazione delle loro risorse e proprietà, fino al sistematico cambiamento demografico delle loro città nella Piana di Ninive” il tutto “sotto gli occhi dello Stato iracheno” e nonostante “la lealtà e l’impegno dei cristiani verso la loro patria”.
Mar Sako ricorda anche che “un milione di cristiani ha lasciato l’Iraq dopo la caduta del regime, dopo la loro cacciata da Mosul e dalle città della Piana di Ninive operata da parte di elementi dell’Isis nel 2014, emigrati per motivi di sicurezza (milizie incontrollate), politici (la logica del settarismo e delle quote che hanno riversato l’inferno sull’Iraq), economici (corruzione) e sociali (estremismo religioso)”.
Il patriarca, citando anche alcune statistiche dell’Organizzazione Hammurabi e del Movimento democratico assiro, ricorda oltre 1200 cristiani uccisi, i religiosi e rapiti e uccisi a Mosul e Baghdad, come l’arcivescovo caldeo di Mosul, Boulos Faraj Rahho, e poi 85 chiese e monasteri a Baghdad, Mosul e Bassora bombardati dagli estremisti e poi dall’Isis, il sequestro di beni dei cristiani ad opera delle mafie locali. Rientra in questo elenco del cardinale anche il ritiro “ingiustificato”, da parte del Presidente della Repubblica irachena, Abdul Latif Rashid, del decreto presidenziale n. 147 del 2013 che riconosce il patriarca, nominato dalla Santa Sede, capo della Chiesa caldea “in Iraq e nel mondo”, oltre che “responsabile e custode delle proprietà della Chiesa”.
Una decisione che, ha sempre dichiarato Mar Sako, “è un attacco alla minoranza cristiana” e che rivela manovre politiche per mettere le mani sui beni ecclesiastici. Non meno significative appaiono altre violazioni come le conseguenze “della legge sullo status personale e dell’islamizzazione dei minori, che – spiega il cardinale – hanno fatto perdere ai cristiani la fiducia”.
Davanti a questa situazione, scrive il patriarca, “la Chiesa ha mobilitato tutte le sue energie e compiuto sforzi straordinari per aiutare e incoraggiare i cristiani rimasti (stimati in mezzo milione, scesi dal 4 all’1%), ma la Chiesa non è un sostituto dello Stato. Da qui la domanda: “Come mantenere i cristiani in Iraq e rafforzare la loro presenza, radicata nel Paese dal oltre 2000 anni?”.
Per Mar Sako “le dichiarazioni di solidarietà e le promesse non servono a nulla se non ci sono azioni reali e dirette per fermare queste violazioni, indipendentemente da chi le emette. Crediamo che la soluzione sia trattare le componenti etniche e religiose emarginate secondo il principio dell’uguaglianza davanti alla legge, che garantisce ad ogni cittadino di vivere la sua vita nel quadro delle leggi del Paese. È in base al diritto che i cittadini perseguono liberamente lo sviluppo economico, sociale e culturale del loro paese”.
Chiudendo la sua nota il patriarca respinge al mittente le accuse di “interferire nella politica. Non sono un politico di parte – scrive – non ho alcuna ambizione politica. Come uomo di religione, porto le preoccupazioni delle persone e sento la responsabilità umana, sociale e spirituale nei loro confronti. Difendere i loro diritti, la loro dignità e condannare l’ingiustizia come Cristo ha fatto chiaramente è per me imperativo. Le persone vengono da me e si lamentano delle ingiustizie subite. Questa difesa è parte essenziale della mia missione evangelica. C’è una differenza tra difendere il popolo e il paese e la partigianeria e impegnarsi in politica. Il compianto cardinale Martini – conclude Mar Sako – ha detto: ‘Il più grande atto d’amore è la politica quando si esercita per la crescita del bene comune e della vera sicurezza’”.
Mar Sako ricorda anche che “un milione di cristiani ha lasciato l’Iraq dopo la caduta del regime, dopo la loro cacciata da Mosul e dalle città della Piana di Ninive operata da parte di elementi dell’Isis nel 2014, emigrati per motivi di sicurezza (milizie incontrollate), politici (la logica del settarismo e delle quote che hanno riversato l’inferno sull’Iraq), economici (corruzione) e sociali (estremismo religioso)”.
Il patriarca, citando anche alcune statistiche dell’Organizzazione Hammurabi e del Movimento democratico assiro, ricorda oltre 1200 cristiani uccisi, i religiosi e rapiti e uccisi a Mosul e Baghdad, come l’arcivescovo caldeo di Mosul, Boulos Faraj Rahho, e poi 85 chiese e monasteri a Baghdad, Mosul e Bassora bombardati dagli estremisti e poi dall’Isis, il sequestro di beni dei cristiani ad opera delle mafie locali. Rientra in questo elenco del cardinale anche il ritiro “ingiustificato”, da parte del Presidente della Repubblica irachena, Abdul Latif Rashid, del decreto presidenziale n. 147 del 2013 che riconosce il patriarca, nominato dalla Santa Sede, capo della Chiesa caldea “in Iraq e nel mondo”, oltre che “responsabile e custode delle proprietà della Chiesa”.
Una decisione che, ha sempre dichiarato Mar Sako, “è un attacco alla minoranza cristiana” e che rivela manovre politiche per mettere le mani sui beni ecclesiastici. Non meno significative appaiono altre violazioni come le conseguenze “della legge sullo status personale e dell’islamizzazione dei minori, che – spiega il cardinale – hanno fatto perdere ai cristiani la fiducia”.
Davanti a questa situazione, scrive il patriarca, “la Chiesa ha mobilitato tutte le sue energie e compiuto sforzi straordinari per aiutare e incoraggiare i cristiani rimasti (stimati in mezzo milione, scesi dal 4 all’1%), ma la Chiesa non è un sostituto dello Stato. Da qui la domanda: “Come mantenere i cristiani in Iraq e rafforzare la loro presenza, radicata nel Paese dal oltre 2000 anni?”.
Per Mar Sako “le dichiarazioni di solidarietà e le promesse non servono a nulla se non ci sono azioni reali e dirette per fermare queste violazioni, indipendentemente da chi le emette. Crediamo che la soluzione sia trattare le componenti etniche e religiose emarginate secondo il principio dell’uguaglianza davanti alla legge, che garantisce ad ogni cittadino di vivere la sua vita nel quadro delle leggi del Paese. È in base al diritto che i cittadini perseguono liberamente lo sviluppo economico, sociale e culturale del loro paese”.
Chiudendo la sua nota il patriarca respinge al mittente le accuse di “interferire nella politica. Non sono un politico di parte – scrive – non ho alcuna ambizione politica. Come uomo di religione, porto le preoccupazioni delle persone e sento la responsabilità umana, sociale e spirituale nei loro confronti. Difendere i loro diritti, la loro dignità e condannare l’ingiustizia come Cristo ha fatto chiaramente è per me imperativo. Le persone vengono da me e si lamentano delle ingiustizie subite. Questa difesa è parte essenziale della mia missione evangelica. C’è una differenza tra difendere il popolo e il paese e la partigianeria e impegnarsi in politica. Il compianto cardinale Martini – conclude Mar Sako – ha detto: ‘Il più grande atto d’amore è la politica quando si esercita per la crescita del bene comune e della vera sicurezza’”.