By Asia News
20 maggio 2023
Piccoli segnati di speranza, e di ripresa, giungono dalla popolazione cristiana irachena che dopo decenni di esilio e crollo demografico sembra essere in leggera ripresa, pur mantenendo numeri sempre contenuti rispetto alla fase precedente l’invasione americana.
Almeno a Erbil, capitale del Kurdistan iracheno, come racconta l’arcivescovo locale mons. Bashar Matti Warda il quale parla di una crescita della comunità; un aumento favorito non solo da spostamenti interni, ma soprattutto da rientri dall’estero di persone fuggite in passato dalla povertà, dalle violenze estremiste o per l’ascesa dello Stato islamico (SI, ex Isis) nell’estate 2014.
Almeno a Erbil, capitale del Kurdistan iracheno, come racconta l’arcivescovo locale mons. Bashar Matti Warda il quale parla di una crescita della comunità; un aumento favorito non solo da spostamenti interni, ma soprattutto da rientri dall’estero di persone fuggite in passato dalla povertà, dalle violenze estremiste o per l’ascesa dello Stato islamico (SI, ex Isis) nell’estate 2014.
In una recente visita negli Stati Uniti, il prelato ha ricordato le molte battaglie e difficoltà sperimentate dai cristiani e dagli iracheni in generale, soprattutto sotto il regno del terrore del califfato islamico. Sfide e difficoltà che, seppure in tono minore, proseguono anche oggi in cui la principale sfida per una vera rinascita del Paese è rappresentata dalla corruzione diffusa nel governo.
Nel soggiorno Usa mons. Warda ha incontrato personalità istituzionali, ricevuto un dottorato dalla Walsh University nell’Ohio e ha avviato collaborazioni fra l’ateneo cattolico di Erbil - da lui fondato subito dopo l’ascesa dello Stato islamico - e diverse università americane.
La popolazione cristiana dell’Iraq, ha raccontato in una intervista al sito cattolico di informazione Aleteia, che un tempo “superava il milione é crollata a circa 200mila”. Tuttavia, una parte di quelli che sono fuggiti nei Paesi della diaspora, soprattutto in Occidente, hanno scelto di tornare, molti di questi fermandosi a Erbil, nel nord, dove la situazione è relativamente più tranquilla.
Interrogati sul motivo del ritorno, prosegue il 53enne mons. Warda, “molti di loro hanno detto di voler crescere i loro figli in un ambiente davvero cattolico”. “Viviamo in una zona abbastanza sicura” conferma l’arcivescovo caldeo, la cui comunità è raddoppiata dalla sconfitta dell’Isis passando da duemila a quattromila famiglie in totale. “Inoltre, abbiamo accolto - prosegue - nella zona Chiese che non erano presenti prima, tanto che oggi il quartiere cristiano di Ankawa accoglie la Chiesa assira, l’eparchia cattolica siriana, l’eparchia siro-ortodossa siro, la Chiesa armena e la Chiesa latina”. Questo, aggiunge il prelato, “porta la popolazione cristiana di Erbil a oltre 8mila famiglie”.
A rafforzare la presenza cristiana ha poi contribuito la visita di papa Francesco nel marzo 2021, che ha dato una spinta ulteriore a progetti in cantiere e valorizzato opere pre-esistenti. La diocesi oggi dispone di un ospedale, quattro nuove scuole cui se ne aggiunge una quinta della Chiesa siro-ortodossa, per un totale di 18 istituti. Una realtà apprezzata anche dai musulmani, che non esistano a mandare i loro figli nelle scuole cattoliche perché si fidano del loro grado di preparazione e dell’apertura nell’insegnamento. “In primo luogo, tutti si sono resi conto che usare la religione o usare la violenza in nome di Dio e della religione - afferma mons. Warda - è un fatto devastante e che influenzerà tutti. Per esempio, ai 125mila cristiani sfollati dall’Isis si aggiungono tre milioni di sunniti, per non parlare degli sciiti uccisi. Quindi vi è consapevolezza sull’uso del nome di Dio per diffondere la violenza”.
Infine la visita del pontefice ha permesso finalmente di parlare dell’Iraq non per gli attentati o le violenze, ma per un viaggio e un incontro basato su dialogo e fratellanza. “Ringraziamo Dio - conclude - per aver superato i tempi difficili, ma le sfide sono ancora presenti. Guardiamo ai nostri fratelli e sorelle cristiani [in Occidente] per aiutarci davvero a mantenere questo tipo di aiuto, sostegno, solidarietà in modo da poter continuare”.
La popolazione cristiana dell’Iraq, ha raccontato in una intervista al sito cattolico di informazione Aleteia, che un tempo “superava il milione é crollata a circa 200mila”. Tuttavia, una parte di quelli che sono fuggiti nei Paesi della diaspora, soprattutto in Occidente, hanno scelto di tornare, molti di questi fermandosi a Erbil, nel nord, dove la situazione è relativamente più tranquilla.
Interrogati sul motivo del ritorno, prosegue il 53enne mons. Warda, “molti di loro hanno detto di voler crescere i loro figli in un ambiente davvero cattolico”. “Viviamo in una zona abbastanza sicura” conferma l’arcivescovo caldeo, la cui comunità è raddoppiata dalla sconfitta dell’Isis passando da duemila a quattromila famiglie in totale. “Inoltre, abbiamo accolto - prosegue - nella zona Chiese che non erano presenti prima, tanto che oggi il quartiere cristiano di Ankawa accoglie la Chiesa assira, l’eparchia cattolica siriana, l’eparchia siro-ortodossa siro, la Chiesa armena e la Chiesa latina”. Questo, aggiunge il prelato, “porta la popolazione cristiana di Erbil a oltre 8mila famiglie”.
A rafforzare la presenza cristiana ha poi contribuito la visita di papa Francesco nel marzo 2021, che ha dato una spinta ulteriore a progetti in cantiere e valorizzato opere pre-esistenti. La diocesi oggi dispone di un ospedale, quattro nuove scuole cui se ne aggiunge una quinta della Chiesa siro-ortodossa, per un totale di 18 istituti. Una realtà apprezzata anche dai musulmani, che non esistano a mandare i loro figli nelle scuole cattoliche perché si fidano del loro grado di preparazione e dell’apertura nell’insegnamento. “In primo luogo, tutti si sono resi conto che usare la religione o usare la violenza in nome di Dio e della religione - afferma mons. Warda - è un fatto devastante e che influenzerà tutti. Per esempio, ai 125mila cristiani sfollati dall’Isis si aggiungono tre milioni di sunniti, per non parlare degli sciiti uccisi. Quindi vi è consapevolezza sull’uso del nome di Dio per diffondere la violenza”.
Infine la visita del pontefice ha permesso finalmente di parlare dell’Iraq non per gli attentati o le violenze, ma per un viaggio e un incontro basato su dialogo e fratellanza. “Ringraziamo Dio - conclude - per aver superato i tempi difficili, ma le sfide sono ancora presenti. Guardiamo ai nostri fratelli e sorelle cristiani [in Occidente] per aiutarci davvero a mantenere questo tipo di aiuto, sostegno, solidarietà in modo da poter continuare”.