"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."

Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014

14 dicembre 2016

«Serve la presenza di forze di sicurezza internazionale»

Michele Zanzucchi

Abuna Yohanna Petros Mouche, noto a tutti come mons. Boutros, è l’arcivescovo siro-cattolico di Mosul, Kirkuk e Kurdistan. Intervista ad Erbil, capitale della regione dei curdi iracheni.
Mi incontra nell’arcivescovado, alle porte di Ankawa, in un quartiere dove cresce una scuola, quella di Sant’Ireneo costruita col contributo del card. Barbarin e della diocesi di Lione in Francia, e un nuovo centro universitario. Entrambe le istituzioni sono pubbliche, per cui gli studenti sono in maggioranza musulmani. La stessa cattedrale deve essere completata, cosicché pilastri di cemento coronati da un ciuffo di tondini di ferro svettano dinanzi all’ingresso.
 
Quand’è che si libererà anche la sua città di Mosul?
La liberazione è cominciata con Qaraqosh ma manca ancora Mosul all’appello. Il pericolo del Daesh è ancora vicino. Nei cristiani della diocesi della Piana di Ninive c’è però ancora molta esitazione a ritornare alle proprie case. Le loro case sono state non solo distrutte ma anche bruciate: e incendiare una casa per la nostra cultura è un messaggio chiaro, non tornate più qui. Le case sono state bruciate dai vicini: come coabitare ancora con loro?
Allora restate a Erbil o vi rassegnate all’emigrazione all’estero?
No, Cerchiamo delle soluzioni politiche, è necessario avere la piena fiducia del governo iracheno. Per arrivare a una progressiva riconciliazione chiediamo che una forza internazionale, se possibile sotto l’egida dell’Onu, si installi da queste parti per incoraggiare a riprendere la vita di una volta. Con la loro presenza si potrebbe cominciare a sminare, sgomberare le macerie, ricostruire le case, riaprire gli uffici pubblici e gli ospedali, rimettere in sesto le chiese… Certo, non ci sono soldi, bisogna che vengano pattuiti indennizzi e risarcimenti nazionali e internazionali. Altrimenti a Qaraqosh e Mosul non torneremo più.
I giovani sembrano i primi a volersene andare…
Quelli che volevano espatriare lo hanno fatto. Coloro che sono rimasti sembrano invece voler rimanere, sono attaccati alla loro terra, alle loro famiglie. Ma servono progetti concreti per dar loro studio e lavoro. Le case possono essere anche restaurate, ma bisogna dare motivi per rimanere alla nostra gente.
Mantenete i rapporti con chi espatria?
Più che altro sono rapporti familiari. Come Chiesa non li manteniamo più di tanto. Certo, cerchiamo di nominare qualche prete nella diaspora, pur nelle grandi difficoltà logistiche. E i siro-cattolici che vanno all’estero molto spesso si inseriscono nelle Chiese che trovano sul posto.
Dialogo coi musulmani ancora possibile, oltre che necessario?
Se abbiamo un governo che governa, subito possiamo ricominciare a vivere assieme. Certamente non tutti i musulmani lo vogliono, ma se c’è una garanzia governativa il dialogo riprenderà. Daesh non è solo un gruppo di miliziani, è anche una mentalità strisciante che ha preso possesso di larghi strati della popolazione…
Ecumenismo possibile qui in Kurdistan?
Non ci sono problemi con le altre Chiese cattoliche e ortodosse. Le vecchie dispute stanno scemando di fronte ai gravissimi problemi che ci accomunano.
Cosa possono fare gli europei per sostenervi?
Fanno già molto, ne sono certo, con la preghiera e con gli aiuti che arrivano abbastanza regolari. Ci vengono anche a trovare, dal Vaticano e dall’Europa. In Francia ho recentemente incontrato il presidente Hollande, che mi ha assicurato tutto il suo interessamento. Anche papa Francesco ci è vicino, anche se è difficile fare miracoli. Tutti vogliono aiutarci a restare qui, e questo ci conforta. A chi parte non diamo aiuti, mentre li abbiamo per chi vuole restare.
Può immaginare la sua Chiesa tra dieci anni?
Bisogna riuscire a portare anche qui delle forze di interposizione. Prego Maria, mia madre, a cui non chiedo nulla di specifico, ma che prego. Eravamo 53 mila cristiani nella mia diocesi, nel 2003, oggi siamo rimasti in 26 mila. 1300 famiglie siro-cattoliche della mia diocesi sono in Libano, 1500 in Giordania. Capite quanto difficile sia la situazione. La speranza nasce solo da Dio, perché se si guarda alla situazione attuale ogni speranza scompare.
Il Kurdistan vi protegge?
Abbiamo buoni rapporti con le autorità locali. Ci rispettano, ci accolgono in questi anni. Quando ci sono problemi di sicurezza intervengono, ma economicamente fanno poco per la nostra comunità. Vediamo cosa succederà col prossimo governo. Da parte nostra c’è la disponibilità più totale a una forte collaborazione.