By Asia News
"I cristiani devono unire i loro sforzi per
mantenere la coesione nazionale e difendere il diritto alla libertà religiosa come
una componente fondamentale della società irachena". È quanto sottolinea sua Beatitudine Mar Luis
Rapahel Sako, patriarca caldeo, in occasione delle elezioni per il rinnovo del
parlamento del Kurdistan, in programma per il 21 settembre. Nella sua lettera ai
politici cristiani, il prelato indica alcune linee guida su come migliorare la
situazione del Paese, vittima degli odi confessionali ed etnici che da gennaio
hanno provocato oltre 5mila morti. Per il patriarca i cristiani si sentono in
pericolo. Essi vendono le loro case ed emigrano all'estero. "Questa - afferma -
è una grave perdita non solo per la comunità cristiana oramai dimezzata, ma per
l'intero Paese".
Secondo gli analisti queste saranno le votazioni più importanti
nella storia della regione, che in gennaio ha iniziato l'esportazione diretta
di greggio sui mercati mondiali attraverso la Turchia, sfidando in modo aperto
il governo centrale che rivendica il "pieno controllo" del petrolio
in Iraq. I successi economici non
hanno però fermato la disgregazione della società. La spaccatura tra i
due partiti principali, il Partito Democratico Curdo (KDP), guidato dal presidente
in carica Mas'ud Barzani e l'Unione
Patriottica del Kurdistan (PUK), partito fondato da Jalal Talabani, attuale
capo di Stato, potrebbe favorire i partiti islamici finora all'opposizione, Unione
Islamica e Gruppo Islamico, con gravi rischi per la minoranza
cristiana più volte bersaglio degli islamisti, con attentati e omicidi mirati.
Di seguito il testo della lettera inviata dal patriarca
Sako ai politici cristiani.
Mi rivolgo a voi con amore e
rispetto, in vista delle elezioni parlamentari in Kurdistan, partendo dalle mie
preoccupazioni per la sorte dei cristiani e non per intervenire nella politica.
Desideravo organizzare un incontro per raccoglierebbe i politici cristiani, che
non si è riusciti ad organizzare a causa delle troppe responsabilità nella
Chiesa e l'assenza di un team di lavoro nella curia patriarcale. Per questa
ragione scrivo questa lettera suggerendo alcune idee per unire gli sforzi dei
cristiani invitandoli a mantenere da un lato la coesione nazionale e dall'altro
di portare avanti la difesa dei diritti dei cristiani come un valore per la
società irachena.
La fragilità della sicurezza e
dell'identità nazionale, gli scontri e l'instabilità, mettono a rischio tutti i
cittadini, ed i cristiani in modo particolare. Finora non vi sono segni che
lascino intendere sicurezza o un futuro migliore. Essi hanno venduto le loro
case, i terreni ereditati dai loro padri e sono emigrati per trovare un luogo
migliore per i loro figli. Questa è una grande sfida, ma anche una perdita per
chi parte e per tutto l'Iraq. Secondo il censimento del 1987 i cristiani erano 1.264.000,
oggi sono meno della metà. Se circa 600mila sono fuggiti, chi ha deciso di
restare ha bisogno di aiuto, di coraggio, ma ciò va realizzato in modo pratico,
con metodo e vi è la necessità di un team specializzato che studi e analizzi il
problema e suggerisca nuove soluzioni.
Possiamo migliorare la situazione
delle nostre città e dei nostri villaggi, costruire abitazioni, strade e creare
lavoro affinché i cristiani non emigrino? Perché non si incoraggiano i membri
ricchi della comunità ad investire nelle proprie zone?
In che modo si può introdurre nel
Paese e nel governo del Kurdistan il rispetto della libertà religiosa e dare ai
cristiani gli stessi diritti dei musulmani?
Come possiamo partecipare in modo
attivo nella politica per servire il bene comune e non gli interessi personale?
E' possibile riunire tutti i
partiti cristiani sotto un unico nome, ad esempio "Unione nazionale cristiana irachena"?
Oggi servono unità, familiarità e
solidarietà. Restando uniti potremmo lanciare una campagna nazionale, che potrebbe
avere come slogan: "La pace e la convivenza pacifica, il rispetto di tutte le
religioni e le confessioni, per diffondere uno spirito di libertà e vera
democrazia".
Perché non si costituisce un
"consiglio politico cristiano" che si faccia carico degli affari dei
cristiani e di seguire i problemi della comunità.
Dobbiamo incoraggiare i cristiani della diaspora ad
iscriversi nelle ambasciate irachene e ad avere un proprio passaporto per
mantenere il loro diritto di voto, utile in tempo di elezioni.
Occorre sollecitare i cristiani ad entrare in altro
partiti, a candidarsi in altre liste, non solo in quelle cristiane, soprattutto
in occasione delle elezioni del 2014 in modo da aumentare i parlamentari membri
della nostra comunità.