By Asia News
A seguito delle autobombe esplose ieri
in 7 città irachene sale a 5612 morti il bilancio annuale delle vittime.
Il 2013, dopo soli 8 mesi e mezzo, si conferma l'anno più sanguinoso
dal 2007 ad oggi. "Nella popolazione non c'è volontà di perdonare o
voltare pagina - spiega ad AsiaNews il patriarca caldeo, Mar
Louis Raphael Sako - sciiti, sunniti, curdi, arabi..tutto tende a
frammentarsi e a confessionalizzarsi".
All'ombra dell'emergenza siriana, la recente ondata di violenze
religiose in Iraq ha prodotto oltre 3mila vittime dall'inizio
dell'estate. Con una media in aumento di 36 civili al giorno, il mese di
settembre si appresta a raggiungere il bilancio più sanguinoso degli
ultimi 5 anni: nella sola giornata di ieri, 11 differenti attacchi su
tutto il territorio hanno causato 67 morti.
Secondo iraqbodycount.org, sito impegnato a documentare ogni
attentato dall'inizio del conflitto, il bilancio dei civili in 10 anni
d'instabilità oscillerebbe tra i 114mila e i 125mila innocenti. Il
ritiro statunitense nel 2011, e il conseguente passaggio dei poteri alle
autorità sciite irachene ha contribuito a peggiorare tale tendenza,
riaccendendo l'odio religioso della minoranza sunnita.
In aggiunta a ciò, il vicino conflitto siriano, con le sue
degenerazioni confessionali, ha contribuito a una ripresa delle violenze
religiose anche tra i gruppi iracheni. "La situazione regionale è molto
complessa e la crisi in Siria ne è la riprova - spiega il patriarca
Sako - In Iraq e in tutto il Medio oriente, sembra che mani esterne
agiscano per alimentare odio e violenza facendo leva sulle
frammentazioni etnico-religiose".
Anche il parlamentare cristiano Yonadam Kanna, leader dell'Assyrian Democratic Movement, spiega ad AsiaNews
che "le violenze nel Paese, soprattutto a Baghdad, sono il riflesso
diretto del conflitto settario che si sta consumando in Siria; oltre che
la partita irachena di uno scontro su più ampia scala tra le monarchie
sunnite del Golfo e l'asse sciita di Tehran-Damasco-Hezbollah". E
prosegue: "La gente in Siria non piange per il regime ma per il collasso
dell'istituzione statale; in tale quadro rischia di essere compromessa
anche la stabilità del Libano, della Giordania, dell'Iraq e della
Turchia. Grazie a Dio è stato almeno evitato un intervento armato
esterno".