«Nessun uomo che crede in Dio e ha un senso umano può commettere tali atti». Con queste parole l’arcivescovo caldeo di Kirkuk, monsignor Louis Sako, ha commentato con ACS il brutale assassinio di Ashur Yacoub Issa. L’uomo, un operaio cristiano di 29 anni con tre figli, è stato rapito nella città nord-irachena nella notte tra venerdì 13 e sabato 14 maggio. I rapitori hanno chiesto alla famiglia un riscatto di 100mila dollari, ma per i familiari non è stato impossibile trovare la somma necessaria e Ashur è stato ucciso.
Il suo corpo è stato trovato lunedì mattina, vicino al “Ponte Quattro” di Kirkuk, con evidenti segni di crudeli torture: decapitato e con gli occhi strappati dalle orbite. «Sabato scorso sono andato a trovare la famiglia del ragazzo, per pregare con loro e incoraggiarli» ha raccontato ad ACS il presule che si è rivolto anche alla polizia di Kirkuk «affinché facciano di tutto per proteggere la vita dei cittadini e loro proprietà». La violenza contro i cristiani è all’ordine del giorno in Iraq, e, dopo il brutale assassinio si temono ora ulteriori ritorsioni. Un grande senso di sdegno e di tristezza domina la popolazione, in particolare quella cristiana che però, malgrado la paura non ha smesso di credere intensamente. «Nonostante le innumerevoli minacce, in tutti questi anni non ho mai sentito parlare di conversioni dal cattolicesimo all’islam» ha raccontato monsignor Sako, ricordando invece dei molti musulmani che sono andati da lui a chiedere di essere battezzati. «Ma mi è proibito battezzarli, perché qui non c’è libertà religiosa».
«L’uccisione aveva lo scopo di intimidirci – ha dichiarato ad ACS l’arcivescovo caldeo di Erbil, monsignor Bashar Warda – cosicché, d’ora in poi, tutti paghino immediatamente il riscatto». Il presule si è rivolto alle guide religiose islamiche, affinché spieghino ai loro fedeli che un tale omicidio è un crimine contro l’umanità e non può essere giustificato da alcun credo. «È inconcepibile che in certe moschee si continui a predicare l’odio contro gli appartenenti ad altre fedi». A ferire ulteriormente i cristiani è stato il silenzio della comunità musulmana riguardo l’uccisione di Ashur Yacoub Issa. «Il clero musulmano ci parla sempre di coesistenza pacifica – hanno dichiarato alcuni sacerdoti alla delegazione di ACS al momento in Iraq – ma come ci può essere se nessuno condanna un simile delitto?».
Terza voce raccolta da ACS è quella dell’arcivescovo siro-cattolico di Mosul, Yohanna Petros Mouche, secondo cui le motivazioni religiose addotte ai crimini contro i cristiani coprirebbero meri interessi economici. «Alle bande interessano solo i soldi – ha spiegato ad ACS – anche se c’è la possibilità che i criminali siano strumentalizzati».
Un pensiero condiviso dal sindaco di un piccolo villaggio cristiano vicino Mosul che, parlando con ACS, ha affermato: «Siamo in molti a credere che le bande siano pagate da alcune correnti politiche radicali per dare la caccia ai cristiani».
Da Bagdad, infine, l’arcivescovo dei latini, monsignor Jean Sleiman, ha descritto ad ACS una situazione che non sembra dare segni di cambiamento. Le violenze continuano, anche se spesso in altre forme e l’esodo dei cristiani – in particolare dopo la strage del 31 ottobre nella chiesa siro-cattolica di Nostra Signora del Perpetuo Soccorso – non accenna a diminuire. «L’assassinio del giovane cristiano ha riaperto vecchie ferite e rianimato le paure. Ora è necessario che l’Iraq trovi presto il coraggio di affrontare i suoi problemi fondamentali: l'unità, la distribuzione delle risorse, la riconciliazione, la sicurezza e le contraddizioni nella nuova - ancorché buona – Costituzione», ha concluso il vescovo.
ACS – nel solo 2010 – ha sostenuto la presenza della Chiesa in Iraq con progetti pastorali per oltre 500mila euro.