Tra i problemi che affliggono gli iracheni, in patria o all'estero, se ne affaccia uno nuovo. Un intoppo burocratico che rischia di vanificare gli sforzi di molti di ricostruirsi una vita e che riguarda una lettera, la lettera G che può fare la differenza.
“…abbiamo la responsabilità di rispondere ai bisogni immediati degli iracheni che sono fuggiti dalla violenza e dalle persecuzioni.”
Con queste parole il sottosegretario di stato americano Paula Dobriansky ha annunciato la decisione dell’amministrazione USA di ammettere 7000 iracheni sul proprio territorio nel 2007.
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“La dimensione del problema è così ampia che niente è abbastanza ma, in ogni caso, è un buon inizio,” così Antonio Guterres, funzionario dell’UNHCR (Alto Commissariato per i Rifugiati delle Nazioni Unite) che nel suo ultimo rapporto sulla crisi irachena ha scritto di due milioni di persone in fuga dal paese verso l’estero e di un milione e settecentomila sfollati interni, ha descritto l’iniziativa americana. Una iniziativa che, si deve ricordare, è stata dovuta non tanto a generosità o a partecipazione al dramma di queste persone, quanto piuttosto alle pressioni internazionali che hanno messo in luce come gli Stati Uniti, dall’inizio della guerra del 2003 fino alla fine del 2006, abbiano accettato solo 466 iracheni sul proprio territorio.
Per quanto tardiva, comunque, l’iniziativa americana ha dato speranza a migliaia di persone già in possesso del visto per gli USA o decisi ad ottenerlo. Certo le parole della Dobriansky non significano immigrazione incontrollata: “rigorosi controlli di sicurezza e sanitari saranno effettuati sugli iracheni prima che sia concessa loro la possibilità di entrare nel paese” ha infatti precisato Ellen Sauerbrey, assistente segretario di stato per la popolazione, i rifugiati e l’immigrazione.
Nell’ambito delle severissime misure di sicurezza adottate dagli USA del post 11 settembre un tale controllo è certo apparso agli occhi degli iracheni perlomeno atteso, quello che certamente essi non si sarebbero aspettati è che dall’8 di gennaio scorso è diventato per molti di essi, anche se già in possesso di visto per gli USA per motivi di studio o lavoro, quasi impossibile entrare nella “terra promessa.”
Quel giorno, infatti, e con effetto immediato, il Dipartimento di Stato USA ha dichiarato la non validità dei passaporti iracheni che iniziano con la lettera S perché non corrispondenti agli standards di sicurezza.
Per capire ciò che questa dichiarazione significa bisogna far luce sulla questione dei passaporti iracheni. Prima della guerra del 2003 esistevano tre serie di documenti che iniziavano, rispettivamente, con la lettera M, N o H, dopo la guerra sono stati emessi passaporti di serie S, e dall’aprile del 2006 il governo iracheno in carica ha emesso quelli di serie G.
Un iracheno, quindi, potrebbe avere avuto nel giro di 4 anni anche tre passaporti: serie M o N o H, serie S e serie G.
La serie M è stata recentemente dichiarata non più valida dal governo iracheno mentre la validità della serie N è stata estesa fino alla fine del 2007. La serie H, emessa dal regime iracheno poco prima della guerra, ma estremamente rara, è ancora considerata valida persino dagli Stati Uniti che invece rigettano la S ed accettano la G.
Il problema, per quanto confuso, non sembrerebbe complicato da risolvere. Anche noi italiani abbiamo bisogno, da dopo l’11 settembre, di un passaporto particolare per recarci negli Usa, perché mai gli iracheni non dovrebbero sottostare alle stesse regole? Perché, sebbene l’amministrazione USA li inviti a contattare la più vicina ambasciata per scoprire come ottenere un passaporto di serie G, l’ambasciatore iracheno negli USA Samir Sumaida'ie ha rivelato che “nessuna delle 50 sedi diplomatiche irachene nel mondo è in grado di emettere i nuovi passaporti serie G. ”
Qual è quindi la soluzione per quegli iracheni che, già rifugiati fuori dal proprio paese, attendono di poter entrare negli USA perché già hanno un visto o perché contano di far parte dei famosi 7000 fortunati del 2007?
Ma è semplice! Recarsi nell’unico posto al mondo dove i passaporti di serie G vengono emessi: Baghdad!
Immaginiamo quindi un iracheno rifugiato in Giordania che debba:
1. Tornare nel paese dal quale è fuggito e recarsi a Baghdad, certamente la città più pericolosa del mondo
2. Pagare dai 500 ai 1000 $ per ottenere il nuovo documento “saltando” per così dire la lista dei richiedenti che non hanno i soldi per “velocizzare amichevolmente” le pratiche
3. Sperare di poter poi tornare in Giordania, cosa questa non sicura e molte volte legata solo alla buona o cattiva disposizione d’animo delle guardie di frontiera, come racconta Cathy Breen, operatrice umanitaria ad Amman.
Poniamo poi che quello stesso iracheno riesca a superare tutti questi ostacoli e ritornare sano e salvo ad Amman con un passaporto serie G nuovo fiammante. Se ancora non ha un visto per gli States dovrà ricominciare la trafila, magari già avviata, per ottenerlo. Se, invece, possiede uno dei 1119 visti per studio o lavoro concessi dagli USA da settembre a dicembre 2006, ma non ha ancora messo piede sul suolo americano dovrà, come ultima beffa, non solo chiederlo nuovamente, quanto pagarlo una seconda volta.
“Life is difficult” dice il mio amico iracheno Ibrahim, e bisogna ammettere che anche in questo caso ha ragione.
Poniamo poi che quello stesso iracheno riesca a superare tutti questi ostacoli e ritornare sano e salvo ad Amman con un passaporto serie G nuovo fiammante. Se ancora non ha un visto per gli States dovrà ricominciare la trafila, magari già avviata, per ottenerlo. Se, invece, possiede uno dei 1119 visti per studio o lavoro concessi dagli USA da settembre a dicembre 2006, ma non ha ancora messo piede sul suolo americano dovrà, come ultima beffa, non solo chiederlo nuovamente, quanto pagarlo una seconda volta.
“Life is difficult” dice il mio amico iracheno Ibrahim, e bisogna ammettere che anche in questo caso ha ragione.
Di Baghdadhope
Fonti varie:
http://www.cnn.com/2007/POLITICS/02/14/us.iraq.refugees/
http://damascus.usembassy.gov/iraqi-passport-s.html