"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."

Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014

21 febbraio 2007

Attentati e rapimenti, la Chiesa in Iraq non si arrende

Fonte: ASIA NEWS

di Marta Allevato

Intervista a mons. Jacques Isaac, vescovo ausiliare caldeo di Baghdad e rettore del Babel College: le difficoltà non uccidono la Chiesa, ogni giorno viviamo la Passione di Cristo, ma morire con Lui significa anche risorgere con Lui; le messe continuano ad essere affollate, come pure i corsi di catechismo e quelli prematrimoniali. Il sostegno del Papa, che “prega tutti i giorni per la pace in Iraq”.

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Oggi più che mai per i cristiani iracheni prepararsi alla Pasqua significa “vivere sulla propria pelle la Passione di Gesù, ma attraverso questa nutrire la certezza della Resurrezione”. A parlare così ad AsiaNews è mons. Jacques Isaac, rettore del Babel College, l’unica Università teologica dell’Iraq, gestita dal Patriarcato caldeo. Il Babel College può essere considerato simbolo della tenace volontà della Chiesa irachena di “non arrendersi” alle violenze che dilaniano il Paese e che più volte negli ultimi tre anni l’hanno colpita al cuore con attentati, rapimenti e uccisioni di religiosi e laici.

“A causa delle crescenti difficoltà – ricorda mons. Isaac – l’Università è stata trasferita da poco da Baghdad ad Ankawa, in Kurdistan; inizialmente abbiamo avuto problemi a trovare una sede, ma non potevamo permetterci di chiudere: il Babel è una fonte di speranza e un punto di incontro non solo per la Chiesa caldea, ma per quella siro-ortodossa, assira e tutte le altre denominazioni presenti in Iraq”. Qui, per sei anni, gli studenti vivono e lavorano insieme ed è “veramente un’esperienza concreta di ecumenismo”. “Il trasferimento è stato doloroso – racconta il presule – ma ora ne iniziamo a cogliere anche gli aspetti positivi: prima degli anni ’60 la maggior parte dei cristiani viveva a nord, solo in seguito si sono trasferiti a Baghdad e Mosul; adesso molti stanno facendo ritorno e il Babel college si prefigge anche di rendere un servizio culturale alla popolazione di questa zona” ad esempio con seminari e conferenze pubbliche tenute dai professori universitari sulla Bibbia o sulla teologia. Anche se inaugurati da poco più di un mese il Babel College e il Seminario maggiore caldeo ad Ankawa “già irradiano una luce di speranza sulla comunità locale”. “L’esempio dei giovani seminaristi, dei sacerdoti e dei laici consacrati - riferisce mons. Isaac - ha molto più effetto delle parole”. Per questo è in esame l’ipotesi di “mantenere la sede di Ankawa del Babel anche quando la situazione sarà normalizzata e aprirne un’altra di nuovo a Baghdad”.

Non è previsto “neppure lontanamente”, invece, un trasferimento del Patriarcato caldeo dalla capitale. “Le difficoltà a Baghdad sono enormi, ma abbandonare i fedeli rimasti e che coraggiosi affollano le messe sarebbe dare un colpo mortale al morale di tutta la comunità. È adesso che dobbiamo rimanere, partecipare alle loro sofferenze, adesso c’è bisogno di noi e se dobbiamo morire con loro, come sacerdoti o vescovi, siamo pronti a farlo” dichiara mons. Isaac.
“La situazione - riferisce il presule caldeo - è pericolosa per tutti, non solo per i cristiani, ma le difficoltà non hanno mai ucciso la Chiesa”. E porta degli esempi: “Le parrocchie a Baghdad sono aperte, a Natale erano piene e alcune messe sono state trasmesse dalla televisione statale, il catechismo per la Prima Comunione è sempre frequentato, come pure i corsi prematrimoniali; inoltre, dopo la nazionalizzazione delle scuole sotto Saddam, ora abbiamo anche una scuola privata”. Mons. Isaac, anche vescovo ausiliare per gli Affari culturali a Baghdad, garantisce che la guerra non ha fermato la pubblicazione di riviste, l’uscita di nuovi libri e le attività intellettuali.

Quest’anno la Pasqua non è considerata periodo a maggior rischio di attentati: “Ormai siamo abituati, tutto l’anno ogni volta che usciamo di casa siamo coscienti che vi potremo non fare ritorno, ma questo non può impedirci di continuare a vivere”. “Parlare della Croce e della Passione di Gesù Cristo è una cosa, ma viverla è un’altra - spiega il presule - noi cristiani in Iraq viviamo la Croce ogni giorno e morire con Gesù, significa anche risorgere con Lui, oggi più che mai possiamo capire veramente la dimensione della Sua Passione”.

Lo scorso 14 febbraio, dopo l’udienza generale, mons. Isaac - a Roma per una visita di alcuni giorni - ha incontrato Benedetto XVI, al qual ha chiesto di pregare per la pace in Iraq. E il Papa - racconta il vescovo - gli ha risposto: “Tutti i giorni prego per l’Iraq”.