By Asia News
12 luglio 2023
12 luglio 2023
Nuove nubi si addensano sul futuro dei cristiani in Iraq, dopo le violenze e le persecuzioni del passato. e che vanno ad investire direttamente la massima autorità ecclesiastica del Paese: il patriarca caldeo, card. Louis Raphael Sako, cui nei giorni scorsi il presidente della Repubblica ha ritirato quello che possiamo definire “riconoscimento istituzionale” della carica che ricopre.
Il capo dello Stato ha infatti cancellato il Decreto 147, emanato dal predecessore Jalal Talabani il 10 luglio 2013, che sanciva la nomina pontificia del porporato a capo della Chiesa caldea “in Iraq e nel mondo” e per questo “responsabile dei beni della Chiesa”. E su questo, sottolinea una fonte ecclesiastica di AsiaNews in Iraq, ruota tutta la vicenda: “Il controllo dei beni e delle proprietà dei cristiani, della Chiesa, che qualcuno vuole sottrarre”.
Il capo dello Stato ha infatti cancellato il Decreto 147, emanato dal predecessore Jalal Talabani il 10 luglio 2013, che sanciva la nomina pontificia del porporato a capo della Chiesa caldea “in Iraq e nel mondo” e per questo “responsabile dei beni della Chiesa”. E su questo, sottolinea una fonte ecclesiastica di AsiaNews in Iraq, ruota tutta la vicenda: “Il controllo dei beni e delle proprietà dei cristiani, della Chiesa, che qualcuno vuole sottrarre”.
Sulla questione era intervenuto nei giorni scorsi con una nota lo stesso presidente Abdul Latif Rashid, con l’intenzione di “chiarire” i contorni della vicenda.
“Il ritiro - sottolinea - non pregiudica lo status religioso o giuridico del patriarca Sako” perché di nomina “della Sede Apostolica”. Esso, prosegue il leader musulmano curdo, intende “correggere” una questione di natura “costituzionale”, mentre la persona del patriarca continua a godere “del rispetto e dell’apprezzamento della presidenza della Repubblica come patriarca della Chiesa caldea in Iraq e nel mondo”.
“Il ritiro - sottolinea - non pregiudica lo status religioso o giuridico del patriarca Sako” perché di nomina “della Sede Apostolica”. Esso, prosegue il leader musulmano curdo, intende “correggere” una questione di natura “costituzionale”, mentre la persona del patriarca continua a godere “del rispetto e dell’apprezzamento della presidenza della Repubblica come patriarca della Chiesa caldea in Iraq e nel mondo”.
Di fatto, la decisione del presidente finirebbe però per esautorare il patriarca dell’amministrazione dei beni ecclesiastici, da tempo nel mirino di Ryan “il Caldeo” e delle Brigate Babilonia. “E non è un caso - sottolinea la fonte di AsiaNews - che la decisione del presidente sia giunta a pochi giorni di distanza da un incontro fra lo stesso Rashid e Ryan, il sedicente leader cristiano”. “Altri vogliono intervenire, comandare, espropriare - prosegue la fonte - ciò che appartiene ai cristiani. Da oltre 100 anni il patriarca, dopo la nomina del papa, riceve il riconoscimento per decreto della sua carica, prima dal re e poi dal presidente, in cui viene sancito che è capo della Chiesa e il custode delle sue proprietà”.
Col ritiro del decreto presidenziale, il primate “finirebbe per perdere a livello giuridico il controllo dei beni e delle proprietà stesse” conclude la fonte, ma il card. Sako “è deciso a dare battaglia e sta già studiando il ricorso in tribunale perché prevalga il diritto e sia fatta giustizia”.
Col ritiro del decreto presidenziale, il primate “finirebbe per perdere a livello giuridico il controllo dei beni e delle proprietà stesse” conclude la fonte, ma il card. Sako “è deciso a dare battaglia e sta già studiando il ricorso in tribunale perché prevalga il diritto e sia fatta giustizia”.
La controversia legata al ritiro del decreto presidenziale è solo l’ultimo capitolo di una serie di attacchi che hanno colpito la figura più autorevole - e rispettata - della Chiesa caldea in Iraq, tanto che nelle scorse settimane si era levata la “voce” dei cristiani in risposta alle “bugie”. Il riferimento è all’attacco lanciato contro il patriarca Sako e i vertici ecclesiastici dal capo del Movimento Babilonia Rayan al-Kaldani. Il sedicente leader cristiano, spalleggiato da fazioni sciite collegate a potenze straniere (leggi Iran), vuole formare un’enclave nella piana di Ninive sfruttando la posizione di forza e disponendo di quattro parlamentari [su cinque riservati per quota alla minoranza, sebbene la loro scelta non sia esercitata in via esclusiva da cristiani, ndr] e un ministero da lui controllati. La fazione “Brigate Babilonia” è nata al tempo della lotta contro lo Stato islamico nel decennio scorso e si è affermata sul piano economico e politico.
I vescovi del Nord (Mosul e piana di Ninive) hanno criticato con forza il sistema di assegnazione della quota per le minoranze, sostenendo in pieno la battaglia del porporato e annunciando il possibile boicottaggio delle prossime tornate elettorali da parte della componente cristiana. Lo stesso primate caldeo a maggio aveva accennato all’eventuale ricorso agli organi di giustizia internazionali per tutelare la corretta distribuzione della quota di seggi parlamentari. Posizioni che hanno attirato gli attacchi verso la persona del patriarca e l’istituzione da parte di persone vicine al “Movimento Babilonia” divenute sempre più aspre e dure col passare del tempo, tanto da spingere centinaia di cristiani - sacerdoti e fedeli - a scendere in piazza e manifestare solidarietà al porporato.
In una dichiarazione congiunta inviata ad AsiaNews, l’Assyrian Democratic Movement, il Popular Chaldean Syriac Assyrian Council, il Betnahrain Patriotic Union, il Nahrain Sons Party e l’Assyrian Patriotic Party confermano “il sostegno” al patriarca. Una vicinanza che va oltre l’autorità religiosa, ma riguarda lo “status, in quanto istituzione religiosa che rappresenta una parte importante della società irachena”. I movimenti cristiani definiscono “poco rassicurante” la decisione per le sue “ripercussioni negative”, che si “aggiungono agli attacchi diretti” alla componente cristiana fra cui “sfollamenti, uccisioni di religiosi e civili, rapimenti, bombardamenti di chiese, cambiamento demografico”. “ Come partiti nazionali - conclude la nota - respingiamo questo decreto” che permetterà “la manipolazione di beni ecclesiastici da parte di partiti influenti e corrotti con ambizioni chiare di esproprio”.