By Vatican News
30 ottobre 2020
Oggi la Chiesa celebra la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato. Saluto i rifugiati e i migranti presenti in Piazza intorno al monumento intitolato “Angeli senza saperlo” (cfr Eb 13,2), che ho benedetto un anno fa. Quest’anno ho voluto dedicare il mio messaggio agli sfollati interni, i quali sono costretti a fuggire, come capitò anche a Gesù e alla sua famiglia. «Come Gesù costretti a fuggire», così gli sfollati, i migranti. A loro, in modo particolare, e a chi li assiste va il nostro ricordo e la nostra preghiera.
Era il 27 settembre quando Papa Francesco, all'Angelus, ricordò la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato sul tema: “Come Gesù Cristo, costretti a fuggire. Accogliere, proteggere, promuovere e integrare gli sfollati interni”.
Nell’ottavo video realizzato dal Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, che da giugno ha promosso una campagna di comunicazione, si ripercorre quell’importante momento che ha toccato il cuore di tante persone e di chi le assiste come padre Jalal Yako, missionario rogazionista iracheno, che lavora a stretto contatto con gli sfollati interni.
Nell’ottavo video realizzato dal Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, che da giugno ha promosso una campagna di comunicazione, si ripercorre quell’importante momento che ha toccato il cuore di tante persone e di chi le assiste come padre Jalal Yako, missionario rogazionista iracheno, che lavora a stretto contatto con gli sfollati interni.
Raccontando la sua esperienza nel campo di Erbil, ricorda le 250 famiglie costrette a vivere in un container in condizioni difficili soprattutto per il freddo. “Gente – afferma – che aveva bisogno della presenza della Chiesa per riacquistare speranza”.
Padre Jalal definisce la sua esperienza come un momento di crescita, di amicizia, di umanità e di essersi sentito investito della presenza di Gesù in questa missione. Infine il ringraziamento ai tanti buoni samaritani che continuano ad aiutare le persone nel campo profughi.
Padre Jalal definisce la sua esperienza come un momento di crescita, di amicizia, di umanità e di essersi sentito investito della presenza di Gesù in questa missione. Infine il ringraziamento ai tanti buoni samaritani che continuano ad aiutare le persone nel campo profughi.