"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."

Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014

6 giugno 2019

Mons. Warduni: una statua della libertà per celebrare l’apertura della ‘Zona Verde’ dopo 16 anni

By Asia News
Video by Al Jazeera




Dopo oltre 16 anni di isolamento, la “Zona Verde” a Baghdad - l’area di massima sicurezza al centro della capitale, al cui interno sorgono ambasciate e sedi governative - ha aperto le porte ai cittadini in occasione della fine del Ramadan. La festa di Eid al-Fitr ha infatti segnato quella che i leader irakeni definiscono “una nuova era”, un forte “messaggio” politico ad una popolazione martoriata da decenni di guerre sanguinose e violenze jihadiste. La conferma di un miglioramento - almeno parziale - della situazione arriva anche dalla missione Onu in Iraq che, di recente, ha smesso di pubblicate il conteggio mensile delle vittime.
Interpellato da AsiaNews mons. Shlemon Audish Warduni, vescovo ausiliare di Baghdad e braccio destro del patriarca caldeo, parla di un evento “estremamente positivo”, una “bella notizia per tutta la popolazione irakena”. L’area, sottolinea il prelato, per troppo tempo “è stata interdetta al pubblico, il suo accesso era assai limitato” e ciò creava “profondi disagi”. Anche noi, ricorda, “avevamo bisogno di recarci nell’area, per accedere alle ambasciate o a sedi diplomatiche, ma non potevamo. Questa è una grande gioia per tutti”.
La “Zona Verde” si estende per un’area di circa 10 km quadrati lungo il fiume Tigri ed è protetta da imponenti misure di sicurezza. Conosciuta anche con il nome di “Zona internazionale”, nei giorni scorsi ha accolto anche i cittadini irakeni che, per molto tempo, hanno potuto osservarla solo dall’esterno. Dietro le mura anti-missile e il filo spinato vi sono la sede del Parlamento e quella del governo, le ambasciate Usa e britannica, oltre alla sede locale delle Nazioni Unite e il quartier generale della coalizione in lotta contro lo Stato islamico (SI, ex Isis). 
L’area ha rappresentato sin dai tempi del dittatore Saddam Hussein un “simbolo del potere” inaccessibile al popolo. In seguito all’invasione internazionale, gli Stati Uniti hanno eretto al suo interno una delle più imponenti rappresentanze diplomatiche al mondo tanto da ribattezzare il quartiere in cui sorge “la piccola America”. Per molti analisti ed esperti questa zona rappresenta al meglio la “distanza siderale” fra il potere e le classi subalterne, abbandonate alle violenze, alle esplosioni, agli attentanti in un clima di crescente insicurezza. 
Diversi osservatori spiegano questa decisione con il tentativo del governo guidato dal premier Adel Abdel Mahdi di “ritrovare un legame” con la propria gente, una sorta di “spazio parallelo” che viene “restituito” ai legittimi proprietari”. Prova ne è il fatto che dal suo insediamento, nell’ottobre 2018, l’esecutivo tiene le proprie riunioni all’esterno della “Zona Verde”. 
Una scelta accolta con favore dai cittadini, anche in un’ottica di regolarizzazione del traffico in una città di 7,6 milioni di abitanti e in gran parte congestionata dai mezzi di trasporto, privati e non. Ad oltre un anno dalla vittoria militare sull’Isis (che resta vivo a livello di ideologia e cellule isolate), Mahdi vuole dunque convincere gli irakeni che la situazione in tema di sicurezza è migliorata e non vi sono “problemi strutturali”. 
“Quella che veniva chiamata ‘Zona Verde’ - sottolinea mons. Warduni - in realtà è stata una ‘zona rossa’ e off-limits per molti. La gente ha festeggiato questo avvenimento” che è coinciso proprio con la festa per la fine del Ramadan. L’ausiliare di Baghdad aggiunge che all’interno dell’area “si potrebbe costruire una ‘statua della libertà irakena’, come segno e simbolo di una ritrovata unità e di una rinnovata apertura. Di una nuova libertà, sebbene ancora limitata”. “La situazione generale in tema di sicurezza - conclude il prelato - è migliorata, ma bisogna continuare a operare perché tutto il popolo irakeno ne possa beneficiare. Vogliamo un Iraq libero in tutti i suoi aspetti, che venga guardato dal resto del mondo con occhi di amore e libertà”.