Dopo oltre 16 anni di isolamento, la “Zona Verde” a Baghdad - l’area
di massima sicurezza al centro della capitale, al cui interno sorgono
ambasciate e sedi governative - ha aperto le porte ai cittadini in
occasione della fine del Ramadan. La festa di Eid al-Fitr ha infatti
segnato quella che i leader irakeni definiscono “una nuova era”, un
forte “messaggio” politico ad una popolazione martoriata da decenni di
guerre sanguinose e violenze jihadiste. La conferma di un miglioramento -
almeno parziale - della situazione arriva anche dalla missione Onu in
Iraq che, di recente, ha smesso di pubblicate il conteggio mensile delle
vittime.
Interpellato da AsiaNews mons. Shlemon Audish Warduni,
vescovo ausiliare di Baghdad e braccio destro del patriarca caldeo,
parla di un evento “estremamente positivo”, una “bella notizia per tutta
la popolazione irakena”. L’area, sottolinea il prelato, per troppo
tempo “è stata interdetta al pubblico, il suo accesso era assai
limitato” e ciò creava “profondi disagi”. Anche noi, ricorda, “avevamo
bisogno di recarci nell’area, per accedere alle ambasciate o a sedi
diplomatiche, ma non potevamo. Questa è una grande gioia per tutti”.
La “Zona Verde” si estende per un’area di circa 10 km quadrati lungo
il fiume Tigri ed è protetta da imponenti misure di sicurezza.
Conosciuta anche con il nome di “Zona internazionale”, nei giorni scorsi
ha accolto anche i cittadini irakeni che, per molto tempo, hanno potuto
osservarla solo dall’esterno. Dietro le mura anti-missile e il filo
spinato vi sono la sede del Parlamento e quella del governo, le
ambasciate Usa e britannica, oltre alla sede locale delle Nazioni Unite e
il quartier generale della coalizione in lotta contro lo Stato islamico
(SI, ex Isis).
L’area ha rappresentato sin dai tempi del dittatore Saddam Hussein un
“simbolo del potere” inaccessibile al popolo. In seguito all’invasione
internazionale, gli Stati Uniti hanno eretto al suo interno una delle
più imponenti rappresentanze diplomatiche al mondo tanto da ribattezzare
il quartiere in cui sorge “la piccola America”. Per molti analisti ed
esperti questa zona rappresenta al meglio la “distanza siderale” fra il
potere e le classi subalterne, abbandonate alle violenze, alle
esplosioni, agli attentanti in un clima di crescente insicurezza.
Diversi osservatori spiegano questa decisione con il tentativo del
governo guidato dal premier Adel Abdel Mahdi di “ritrovare un legame”
con la propria gente, una sorta di “spazio parallelo” che viene
“restituito” ai legittimi proprietari”. Prova ne è il fatto che dal suo
insediamento, nell’ottobre 2018, l’esecutivo tiene le proprie riunioni
all’esterno della “Zona Verde”.
Una scelta accolta con favore dai cittadini, anche in un’ottica di
regolarizzazione del traffico in una città di 7,6 milioni di abitanti e
in gran parte congestionata dai mezzi di trasporto, privati e non. Ad
oltre un anno dalla vittoria militare sull’Isis (che resta vivo
a livello di ideologia e cellule isolate), Mahdi vuole dunque
convincere gli irakeni che la situazione in tema di sicurezza è
migliorata e non vi sono “problemi strutturali”.
“Quella che veniva chiamata ‘Zona Verde’ - sottolinea mons. Warduni -
in realtà è stata una ‘zona rossa’ e off-limits per molti. La gente ha
festeggiato questo avvenimento” che è coinciso proprio con la festa per
la fine del Ramadan. L’ausiliare di Baghdad aggiunge che all’interno
dell’area “si potrebbe costruire una ‘statua della libertà irakena’,
come segno e simbolo di una ritrovata unità e di una rinnovata apertura.
Di una nuova libertà, sebbene ancora limitata”. “La situazione generale
in tema di sicurezza - conclude il prelato - è migliorata, ma bisogna
continuare a operare perché tutto il popolo irakeno ne possa
beneficiare. Vogliamo un Iraq libero in tutti i suoi aspetti, che venga
guardato dal resto del mondo con occhi di amore e libertà”.