By Fides
Un Comitato di dialogo permanente tra i rappresentanti dei centri religiosi sciiti e il Patriarcato caldeo, per affrontare insieme i problemi vissuti dalle popolazioni locali, in un contesto di amichevole collaborazione. E' questa la proposta concreta emersa durante la visita resa lunedì 25 luglio al Patriarca caldeo Louis Raphael I da quattro autorevoli rappresentanti delle istituzioni accademiche sciite di Najaf (Iraq) e Qom (Iran). La delegazione era composta dallo sheikh Aladdin Jazairi (che ricopre anche incarichi nel Movimento al Nujaba, a cui fa riferimento anche una milizia sciita), dallo sheikh Jassim Mandalawi, e dagli sheikh Hamid Reza e Hamid Albabai, dirigenti del Centro per il dialogo di Qom, la città iraniana dove sono concentrate importanti istituzioni accademiche dell'islam sciita.
Il modello di dialogo messo in cantiere si configura come complementare a quello già in atto tra le stesse realtà accademiche sciite e le istituzioni vaticane. “Noi cristiani d'Oriente” riferisce all'Agenzia Fides il Patriarca Louis Raphael I “possiamo e dobbiamo essere attori privilegiati nel dialogo con le realtà dell'islam. Viviamo qui, parliamo la stessa lingua, siamo assillati dagli stessi problemi e dagli stessi mali, conosciamo le cose dall'interno. Sono utili tutte le occasioni per creare strumenti di dialogo a livello locale, che possono anche servire a sciogliere tanti nodi incontrati dalle comunità cristiane, in questi tempi drammatici”. Il Primate della Chiesa caldea prende atto che al momento “i sunniti hanno tanti problemi con la liberazione delle loro città dal Daesh, ma, in futuro, un eventuale comitato di dialogo eventualmente avviato con gli sciiti potrebbe coinvolgere anche loro e diventare uno strumento di dialogo tra cristiani e musulmani”. Il Patriarca caldeo ipotizza anche alcuni punti su cui il dialogo potrebbe focalizzare l'attenzione: “Ai rappresentanti sciiti ho detto con amichevole franchezza che non c'è futuro, se non si aggiorna il linguaggio della predicazione religiosa. Ho accennato loro all'esperienza dei cristiani: alla lunga, se questo aggiornamento non avviene, le persone si allontaneranno dalla religione. La predicazione e anche il dialogo devono essere concrete, tener conto del momento storico e dei problemi reali: prima delle questioni strettamente accademiche e teologiche, possiamo iniziare a confrontarci sulle questioni sociali, comprese quelle della giustizia e del riconoscimento dei diritti della persona. Quelli sono i terreni su cui dobbiamo iniziare a sperimentare soluzioni condivise”.
Il modello di dialogo messo in cantiere si configura come complementare a quello già in atto tra le stesse realtà accademiche sciite e le istituzioni vaticane. “Noi cristiani d'Oriente” riferisce all'Agenzia Fides il Patriarca Louis Raphael I “possiamo e dobbiamo essere attori privilegiati nel dialogo con le realtà dell'islam. Viviamo qui, parliamo la stessa lingua, siamo assillati dagli stessi problemi e dagli stessi mali, conosciamo le cose dall'interno. Sono utili tutte le occasioni per creare strumenti di dialogo a livello locale, che possono anche servire a sciogliere tanti nodi incontrati dalle comunità cristiane, in questi tempi drammatici”. Il Primate della Chiesa caldea prende atto che al momento “i sunniti hanno tanti problemi con la liberazione delle loro città dal Daesh, ma, in futuro, un eventuale comitato di dialogo eventualmente avviato con gli sciiti potrebbe coinvolgere anche loro e diventare uno strumento di dialogo tra cristiani e musulmani”. Il Patriarca caldeo ipotizza anche alcuni punti su cui il dialogo potrebbe focalizzare l'attenzione: “Ai rappresentanti sciiti ho detto con amichevole franchezza che non c'è futuro, se non si aggiorna il linguaggio della predicazione religiosa. Ho accennato loro all'esperienza dei cristiani: alla lunga, se questo aggiornamento non avviene, le persone si allontaneranno dalla religione. La predicazione e anche il dialogo devono essere concrete, tener conto del momento storico e dei problemi reali: prima delle questioni strettamente accademiche e teologiche, possiamo iniziare a confrontarci sulle questioni sociali, comprese quelle della giustizia e del riconoscimento dei diritti della persona. Quelli sono i terreni su cui dobbiamo iniziare a sperimentare soluzioni condivise”.