By Radiovaticana
Prosegue la missione dell'inviato del Papa in Iraq il card. Fernando Filoni, prefetto della Congregazione per l'Evangelizzazione dei popoli. Dopo aver visitato Baghdad ed Erbil, oggi il porporato si sposterà in alcuni villaggi del nord per portare la benedizione e l'aiuto concreto di Papa Francesco ad una popolazione stremata dalla violenza jihadista e da anni di guerra.
Ascoltiamo il card. Filoni al microfono di Paolo Ondarza
Ho avuto modo di incontrare sia il presidente del Parlamento sia le prime autorità del Kurdistan e tutti mi hanno assicurato che i cristiani sono in cima anche alle loro attenzioni e che si augurano che la loro presenza qui non venga meno. Questo mi pare anche molto bello da un punto di vista politico: che nessuno si senta un estraneo e che se anche in questo momento soffrono di più, però, per loro c’è la speranza che anche con l’aiuto delle autorità stesse, pian piano, un giorno, la vita possa essere ricostruita. Io direi anche un’altra cosa. Ho parlato anche con alcune autorità, ho detto che il Papa Francesco ha lanciato questo Anno della misericordia e anche i fratelli musulmani dovrebbero imparare a vivere un anno sabbatico della misericordia, soprattutto perché anche loro credono in un Dio clemente e misericordioso. Dunque, se anche insieme ai cristiani, i musulmani celebrano la misericordia, si può ricostruire quella fratellanza, quella vicinanza, anche fondando tutto sul mistero di Dio, perché la pace e la riconciliazione e la misericordia se non hanno come base Dio, ovviamente, non sono né misericordia né pace. Speriamo che questo messaggio possa pian piano farsi strada.
Lei si trova in Iraq per portare l’aiuto concreto e la benedizione del Papa. Che cosa ha visto da quando è arrivato?
Io ho già incontrato alcuni piccoli gruppi di rifugiati prima ad Amman e poi questa mattina anche a Baghdad. Adesso sono qui ad Erbil e domani mattina parto per il giro visitando alcuni villaggi del nord. La situazione, da un punto di vista generale, rispetto al mese di agosto, naturalmente, è molto migliorata perché le famiglie hanno trovato un alloggio, una sistemazione, magari anche due famiglie in una stessa casa, e da questo punto di vista certamente è migliorata. Non ci sono famiglie per strada o per altri posti dove è inconveniente stare. Però, la situazione continua ad essere difficile e delicata.
C’è ancora speranza tra la popolazione? Si sente la vicinanza della comunità internazionale?
Mi hanno detto oggi che tutto quello che si è potuto fare per i rifugiati, cristiani e non cristiani, si è potuto fare grazie al grande aiuto che è venuto da parte di tutta la Chiesa cattolica, in particolare. Sono molte le organizzazioni internazionali, europee e americane, che si sono mosse e stanno dando consistenza a questo prolungarsi della situazione di crisi. Dal punto di vista psicologico, la paura è un po’ che non potendosi risolvere ancora queste situazioni da un punto di vista del ritorno nei propri villaggi, riprendere la propria vita, questo genera un po’ di apprensione, perché più passa il tempo e più la gente ha la percezione che forse non c’è futuro per loro. Quindi si tratta un po’ di incoraggiarli in questa pazienza e in questa vicinanza anche perché i problemi sono estremamente delicati e gravi.
Sentono questa vicinanza della Chiesa rappresentata dalla sua persona in queste ore?
La mia presenza ha proprio questo valore. Ma devo dire che non è soltanto la mia presenza, sono parecchi anche ecclesiastici che vengono, alcuni sono già venuti, altri verranno dopo. La mia presenza durante la Settimana santa, ovviamente, ha un significato di tipo spirituale: valorizzare la sofferenza di queste persone con il mistero della sofferenza di Cristo. Però, questa solidarietà c’è, questa vicinanza c’è. La questione, come ho detto prima, è quanto durerà questa situazione di crisi.
Che cosa vuol dire vivere la Settimana santa per la popolazione irachena in questo momento così drammatico?
Io ho detto già a vari gruppi che ho incontrato che il mistero della loro sofferenza è prezioso agli occhi di Dio perché viene unito a quella di Cristo di questa Settimana santa, quindi di non pensare che anche questa loro sofferenza sia inutile e che non valga niente. Anche se la loro condizione in questo momento apparentemente non dà speranza però davanti agli occhi di Dio questo vale ed è prezioso. E’ un incoraggiamento di tipo spirituale accanto a quello di tipo materiale che noi offriamo. E questo un po’ sia perché educhiamo la nostra gente a capire anche il valore stesso della sofferenza sia anche perché in una situazione di questo genere la loro condizione è molto simile a quella di Cristo e come tale sentono un conforto spirituale e morale.
Come proseguirà adesso la sua permanenza in Iraq?
Adesso andrò a visitare i villaggi del nord, incontrerò i vescovi anche del nord. Ho già incontrato quelli di Baghdad e ovviamente tutti questi villaggi che potrò visitare e essere presente sia cristiani che non cristiani. Quindi visiterò alcuni villaggi yazidi e di altre minoranze che incontrerò lungo il mio cammino.
Quale messaggio si sente di lanciare all’Iraq e a chi ascolta in Italia e altrove in Occidente?
Io credo che il messaggio non può essere molto diverso da quello che il Santo Padre ha già lanciato la Domenica delle Palme. Io penso che celebrare la Pasqua in spirito di unione con questi fratelli è molto bello. E dico anche questo perché io ho spiegato che questa mia presenza porta anche la solidarietà della diocesi di Roma, delle famiglie di Roma che mi hanno permesso di portare qui con me 6 mila colombe, che noi distribuiremo e già stiamo distribuendo nei villaggi dove andiamo, come simbolo della pace ma anche come dono attorno al quale la famiglia si riunisce in questo ideale ponte che si stabilisce tra le famiglie di qua, dell’Iraq, del Kurdistan, dei rifugiati, e le famiglie anche di Roma. Anche questo mi pare molto bello per valorizzare la Pasqua anche in Italia, in Europa e in altre parti del mondo.
Prosegue la missione dell'inviato del Papa in Iraq il card. Fernando Filoni, prefetto della Congregazione per l'Evangelizzazione dei popoli. Dopo aver visitato Baghdad ed Erbil, oggi il porporato si sposterà in alcuni villaggi del nord per portare la benedizione e l'aiuto concreto di Papa Francesco ad una popolazione stremata dalla violenza jihadista e da anni di guerra.
Ascoltiamo il card. Filoni al microfono di Paolo Ondarza
Ho avuto modo di incontrare sia il presidente del Parlamento sia le prime autorità del Kurdistan e tutti mi hanno assicurato che i cristiani sono in cima anche alle loro attenzioni e che si augurano che la loro presenza qui non venga meno. Questo mi pare anche molto bello da un punto di vista politico: che nessuno si senta un estraneo e che se anche in questo momento soffrono di più, però, per loro c’è la speranza che anche con l’aiuto delle autorità stesse, pian piano, un giorno, la vita possa essere ricostruita. Io direi anche un’altra cosa. Ho parlato anche con alcune autorità, ho detto che il Papa Francesco ha lanciato questo Anno della misericordia e anche i fratelli musulmani dovrebbero imparare a vivere un anno sabbatico della misericordia, soprattutto perché anche loro credono in un Dio clemente e misericordioso. Dunque, se anche insieme ai cristiani, i musulmani celebrano la misericordia, si può ricostruire quella fratellanza, quella vicinanza, anche fondando tutto sul mistero di Dio, perché la pace e la riconciliazione e la misericordia se non hanno come base Dio, ovviamente, non sono né misericordia né pace. Speriamo che questo messaggio possa pian piano farsi strada.
Lei si trova in Iraq per portare l’aiuto concreto e la benedizione del Papa. Che cosa ha visto da quando è arrivato?
Io ho già incontrato alcuni piccoli gruppi di rifugiati prima ad Amman e poi questa mattina anche a Baghdad. Adesso sono qui ad Erbil e domani mattina parto per il giro visitando alcuni villaggi del nord. La situazione, da un punto di vista generale, rispetto al mese di agosto, naturalmente, è molto migliorata perché le famiglie hanno trovato un alloggio, una sistemazione, magari anche due famiglie in una stessa casa, e da questo punto di vista certamente è migliorata. Non ci sono famiglie per strada o per altri posti dove è inconveniente stare. Però, la situazione continua ad essere difficile e delicata.
C’è ancora speranza tra la popolazione? Si sente la vicinanza della comunità internazionale?
Mi hanno detto oggi che tutto quello che si è potuto fare per i rifugiati, cristiani e non cristiani, si è potuto fare grazie al grande aiuto che è venuto da parte di tutta la Chiesa cattolica, in particolare. Sono molte le organizzazioni internazionali, europee e americane, che si sono mosse e stanno dando consistenza a questo prolungarsi della situazione di crisi. Dal punto di vista psicologico, la paura è un po’ che non potendosi risolvere ancora queste situazioni da un punto di vista del ritorno nei propri villaggi, riprendere la propria vita, questo genera un po’ di apprensione, perché più passa il tempo e più la gente ha la percezione che forse non c’è futuro per loro. Quindi si tratta un po’ di incoraggiarli in questa pazienza e in questa vicinanza anche perché i problemi sono estremamente delicati e gravi.
Sentono questa vicinanza della Chiesa rappresentata dalla sua persona in queste ore?
La mia presenza ha proprio questo valore. Ma devo dire che non è soltanto la mia presenza, sono parecchi anche ecclesiastici che vengono, alcuni sono già venuti, altri verranno dopo. La mia presenza durante la Settimana santa, ovviamente, ha un significato di tipo spirituale: valorizzare la sofferenza di queste persone con il mistero della sofferenza di Cristo. Però, questa solidarietà c’è, questa vicinanza c’è. La questione, come ho detto prima, è quanto durerà questa situazione di crisi.
Che cosa vuol dire vivere la Settimana santa per la popolazione irachena in questo momento così drammatico?
Io ho detto già a vari gruppi che ho incontrato che il mistero della loro sofferenza è prezioso agli occhi di Dio perché viene unito a quella di Cristo di questa Settimana santa, quindi di non pensare che anche questa loro sofferenza sia inutile e che non valga niente. Anche se la loro condizione in questo momento apparentemente non dà speranza però davanti agli occhi di Dio questo vale ed è prezioso. E’ un incoraggiamento di tipo spirituale accanto a quello di tipo materiale che noi offriamo. E questo un po’ sia perché educhiamo la nostra gente a capire anche il valore stesso della sofferenza sia anche perché in una situazione di questo genere la loro condizione è molto simile a quella di Cristo e come tale sentono un conforto spirituale e morale.
Come proseguirà adesso la sua permanenza in Iraq?
Adesso andrò a visitare i villaggi del nord, incontrerò i vescovi anche del nord. Ho già incontrato quelli di Baghdad e ovviamente tutti questi villaggi che potrò visitare e essere presente sia cristiani che non cristiani. Quindi visiterò alcuni villaggi yazidi e di altre minoranze che incontrerò lungo il mio cammino.
Quale messaggio si sente di lanciare all’Iraq e a chi ascolta in Italia e altrove in Occidente?
Io credo che il messaggio non può essere molto diverso da quello che il Santo Padre ha già lanciato la Domenica delle Palme. Io penso che celebrare la Pasqua in spirito di unione con questi fratelli è molto bello. E dico anche questo perché io ho spiegato che questa mia presenza porta anche la solidarietà della diocesi di Roma, delle famiglie di Roma che mi hanno permesso di portare qui con me 6 mila colombe, che noi distribuiremo e già stiamo distribuendo nei villaggi dove andiamo, come simbolo della pace ma anche come dono attorno al quale la famiglia si riunisce in questo ideale ponte che si stabilisce tra le famiglie di qua, dell’Iraq, del Kurdistan, dei rifugiati, e le famiglie anche di Roma. Anche questo mi pare molto bello per valorizzare la Pasqua anche in Italia, in Europa e in altre parti del mondo.