By L'Osservatore Romano
Gianluca Biccini
Gianluca Biccini
«La Chiesa che Francesco vuole è aperta e vicina alla sofferenza. Per questo il Papa è stato molto contento che abbiamo potuto essere presenti tra i rifugiati iracheni durante la settimana santa». Di ritorno dalla missione in Iraq, il cardinale Fernando Filoni è stato ricevuto martedì sera a Santa Marta dal Pontefice, al quale ha riferito le impressioni di quello che considera anzitutto un pellegrinaggio: «ogni luogo visitato — ha spiegato il prefetto della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli in quest’intervista al nostro giornale — è stata una stazione della Via crucis che questa gente vive quotidianamente».
Quali sono state le tappe principali del viaggio?
Ho trascorso la domenica delle Palme ad Amman, in Giordania; poi mi sono trasferito a Baghdad, in Iraq. Ma è stato nel nord, nelle zone del Kurdistan iracheno, che ho trascorso la maggior parte del tempo, celebrando i riti della Pasqua e incontrando le famiglie, non solo cristiane, in fuga dalle violenze del cosiddetto Stato islamico, e le autorità religiose e istituzionali che si occupano della loro accoglienza.
Ha anche portato segni di solidarietà concreta?
C’è un piccolo proverbio arabo che dice: quando vai a visitare, se non hai altro, nella tua povertà, porta almeno un sassolino. In questa prospettiva abbiamo coinvolto la diocesi del Papa in una esperienza in cui una famiglia di Roma offre un piccolo dono — in questo caso una colomba pasquale, simbolo della pace e del bene, ma anche della condivisione — a una famiglia dell’Iraq.
Che prospettive hanno oggi le famiglie irachene?
Tutte aspettano di poter tornare nelle loro case, nei loro villaggi. Non interessa loro se troveranno distruzioni e saccheggi, non le spaventa la ricostruzione. E noi siamo pronti ad aiutarle a ricominciare. Non ho trovato nessuno che abbia manifestato l’intenzione di lasciare l’Iraq.
Quali sono state le tappe principali del viaggio?
Ho trascorso la domenica delle Palme ad Amman, in Giordania; poi mi sono trasferito a Baghdad, in Iraq. Ma è stato nel nord, nelle zone del Kurdistan iracheno, che ho trascorso la maggior parte del tempo, celebrando i riti della Pasqua e incontrando le famiglie, non solo cristiane, in fuga dalle violenze del cosiddetto Stato islamico, e le autorità religiose e istituzionali che si occupano della loro accoglienza.
Ha anche portato segni di solidarietà concreta?
C’è un piccolo proverbio arabo che dice: quando vai a visitare, se non hai altro, nella tua povertà, porta almeno un sassolino. In questa prospettiva abbiamo coinvolto la diocesi del Papa in una esperienza in cui una famiglia di Roma offre un piccolo dono — in questo caso una colomba pasquale, simbolo della pace e del bene, ma anche della condivisione — a una famiglia dell’Iraq.
Che prospettive hanno oggi le famiglie irachene?
Tutte aspettano di poter tornare nelle loro case, nei loro villaggi. Non interessa loro se troveranno distruzioni e saccheggi, non le spaventa la ricostruzione. E noi siamo pronti ad aiutarle a ricominciare. Non ho trovato nessuno che abbia manifestato l’intenzione di lasciare l’Iraq.