"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."

Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014

29 aprile 2012

Forum in Kirkuk "Let us build bridges for peace"

By Baghdadhope*

The meeting among the different ethnic groups in Kirkuk which took place on last Thursday and organized by the Chaldean Archbishopric of the city achieved its first successes as referred to Baghdadhope by Archbishop Louis Sako.
The
imams of the city had positive words for the meeting in the Friday speeches in the mosques, a committee
formed by a Christian, a Kurd, a Turkoman and an Arab was set up to track its developments, the president of the provincial council, a Turkoman, said that if  Baghdad failed Kirkuk, instead,  made an historic step, and a Kurdish tribal sheikh recognized the conciliatory role of the church in building what the title of the meeting had promised: bridges of peace.

Following the original final document of the meeting by the Chaldean Archbishopric of Kirkuk. 

Forum in Kirkuk "Let us build bridges for peace"

Proposed by archbishop L.Sako

In a initiative from the Chaldean Catholic archdiocese of Kirkuk and in its hospitality,  a forum was organized by it as  a godfather, under the Motto "Let us build bridges for peace" as un effort of reconciliation of all political, religious leaders  and responsible of the local   government. The forum took place in the big hall of the cathedral, in the morning of Thursday 26 of April 2012, more than 50 persons attended it, and at the end they released this document of convention:
So to not stop at the borders of wishes and speeches, so  to not give up to the painful reality, so to play our responsible, we pledge as much as it  depends on us,  to be involved to implement the  points  of this Covenant, which we  declare today for all.

1 - We pledge to continue to live together and maintain the mosaic formation of the city of Kirkuk in harmony and respect.

2 - We pledge to resolve the outstanding problems by sitting together and dialogue smoothly beyond all kinds of threat and violence. Violence will not change and improve the situation, but on the contrary, it will drown our city in a series  of ​​injustice, deprivation and underdevelopment.

3 - We pledge to seek the dismantling of hate speech, marginalization, and exclusion and to maintain the culture of reconciliation, and cohesion and calming the situation.

4 – to get to a consensus about the election of the members of the  province council which assure the participation of all components.

5- We call on relevant authorities to study the dossiers of detained people and to admit them to the court to see their cases without waiting for long wile  that the innocent of them can return to their families, as well as  to resolve with  justice and  wisdom the subject of the disputed territory.
6- We urge the Iraqi central government and the government of Kurdistan to resolve the problems instead to complicate them which affect badly the situation specifically in the fields of service, economy, security etc ..
7 –To Form a committee to manage the diversities and differences and to follow up the dialogue and to activate it in preparing other meetings.

So in this spirit, we have worked to abolish  the barriers among  us and that we looked at each other as free persons, and looked  for peace and not the rivalries and disagreements ,we want to be peace makers indeed.

27 aprile 2012

Il futuro è nell'unità Intervista con mons. Shlemon Warduni (Baghdad)


By SIR

“Abbiamo bisogno di una forte spinta così da avere un governo stabile, capace di far rispettare la legge e dare quindi stabilità e sicurezza alla popolazione. Invece assistiamo a litigi tra fazioni e parti politiche che non favoriscono, anzi danneggiano, la riconciliazione nazionale che si frammenta tra interessi particolari, anche di natura religiosa. Ciò che è necessario è mettere da parte i personalismi a vantaggio di tutti i cittadini e del bene comune. Diversamente sarà sempre più difficile continuare a vivere in Iraq e impossibile per il Paese crescere e ricostruirsi”.
Non usa mezzi termini il vicario patriarcale di Baghdad, mons. Shlemon Warduni, per descrivere la situazione in cui versa il suo Paese, oscurato – per così dire sui media – dalle vicende di altri Paesi della regione mediorientale, Siria ed Egitto in testa, impegnati a dare un corso alla “primavera araba”. Di passaggio in Italia, dopo un lungo tour in diversi Paesi europei per incontrare i responsabili delle varie Caritas nazionali, mons. Warduni che è anche presidente di Caritas Iraq, accetta di fare il punto sul suo Paese con Daniele Rocchi per il Sir.
Da dove deve venire questa spinta?

“La spinta deve venire dall’interno del Paese. Dall’esterno giungono, infatti, forti pressioni per analoghi interessi di parte, legati in modo precipuo, alle risorse naturali dell’Iraq, petrolio in primis. Mai come adesso ai nostri governanti sono richieste saggezza, capacità di discernimento per operare scelte coraggiose, lealtà, spirito di sacrificio. I personalismi distruggono il Paese”.

Quanto sta accadendo nei Paesi a voi vicini non aiuta la stabilità politica irachena...

“L’esperienza c’insegna che, quando abbiamo dei vicini di casa con problemi, questi si riflettono anche su di noi e influenzano la nostra vita. Intorno all’Iraq ci sono tante nazioni, Siria, Iran, Arabia Saudita, Kuwait, Turchia, le cui vicende interne hanno conseguenze negative sulla vita del nostro Paese”.

Un Iraq federato potrebbe essere una soluzione?

“La mia idea è che l’Iraq debba restare unito. I politici devono imparare a lavorare insieme. Il futuro del Paese è nell’unità, non nella divisione. L’Iraq è ricco di risorse naturali, culturali e storiche grazie alle quali tutto il popolo, dotato di grande generosità, potrebbe prosperare e con lui anche le nazioni vicine. Purtroppo, anche a causa delle guerre e dell’embargo, è diventato un Paese povero. Tuttavia, sono certo che se ci fossero politici capaci la nostra economia si risolleverebbe in due anni”.

Ci vorrebbe una “primavera araba” anche per l’Iraq...

“Ma che si tratti di una reale primavera e non di un inverno arabo. Tutte le nazioni arabe sono contagiate da questo movimento. Ora mi chiedo, la primavera, come fa intendere la parola stessa, non deve essere qualcosa di aperto, quindi disponibile al dialogo, favorevole alla rinascita, alla libertà e al diritto di tutti? Da quel che vediamo il fanatismo se ne sta impossessando a scapito del bene comune. La ‘primavera araba’ deve essere il tempo del dialogo, non della chiusura, del fondamentalismo e della divisione etnica, religiosa e politica. Non dimentichiamo che l’Iraq era in fermento già prima della ‘primavera araba’. Almeno questo si poteva credere con la fine del regime”.

In quell’occasione si era creduto che la strada verso la democrazia e la libertà fosse stata segnata, e invece?

“Quale libertà, quale democrazia è arrivata con l’occupazione americana, quella di uccidere, quella della povertà più assoluta, quella delle infrastrutture ancora da ricostruire? Quale? Ancora oggi a distanza di più di dieci anni, non abbiamo erogazione regolare di acqua, elettricità; a Baghdad, per fare un esempio, solo il 5% delle abitazioni possiede un telefono fisso. Senza dimenticare che, anche se in misura minore, continuano gli attentati con autobombe, gli omicidi, i rapimenti e gli abusi che vedono soprattutto i cristiani nel mirino. Davanti a tutto questo non vedo altra via di uscita se non la riconciliazione nazionale, il rispetto dei diritti di tutti i cittadini senza distinzione alcuna e la lotta al fondamentalismo”.

Fondamentalismo che sembra prendere di mira soprattutto i cristiani al punto che oggi la popolazione cristiana irachena si è più che dimezzata...

“Sull’emigrazione ha pesato anche la mancanza di pace e di stabilità. Certamente non si può negare che i cristiani siano vittime, più dei musulmani, di violenze. I cristiani non sono soliti reagire, i musulmani possono godere della protezione delle loro tribù. Quindi le case dei cristiani, le chiese, i negozi e i fedeli stessi sono oggetto di minacce, abusi e violenze da parte di semplici criminali come di fondamentalisti islamici legati anche ad al-Qaeda. Non sono rari i casi di pagamento di somme per essere lasciati tranquilli. E la polizia non fa nulla, la legge non viene fatta rispettare”.

Quanto pesa questa situazione sulla vita della comunità cristiana?

“Pesa molto. Cerchiamo per questo di sviluppare delle iniziative che ci facciano sentire parte della Chiesa universale e allontanare la tentazione di sentirci soli. Stiamo pensando, in questi giorni, di partecipare con una rappresentanza, all’incontro mondiale delle famiglie a Milano. Ogni vescovo dovrà scegliere una famiglia da inviare, facendosi garante per questa, il rischio, infatti, è che una volta usciti dall’Iraq i componenti del nucleo familiare non tornino più nel Paese. Come vescovi saremo a Beirut, con Benedetto XVI, per la consegna dell’Esortazione del Sinodo per il Medio Oriente. Ci stiamo preparando, poi, all’Anno della fede, con delle catechesi tenutesi già durante la Quaresima. La preghiera è la nostra consolazione”.

26 aprile 2012

“Costruire ponti per la pace”: a Kirkuk, un progetto unisce cristiani e musulmani


L'arcivescovado caldeo di Kirkuk, nel nord dell'Iraq, ha organizzato oggi un forum per la riconciliazione incentrato sul tema: "Costruire ponti per la pace", voluto con forza da mons. Louis Sako e che ha visto riunite personalità del mondo cristiano e musulmano. All'evento hanno aderito 50 leader politici fra cui il governatore della provincia, parlamentari, capi dei più grandi partiti della città e sceicchi di importanti tribù. Sul fronte religioso, erano presenti capi sciiti, sunniti, cristiani e importanti figure della comunità curda, araba, turcomanna e assiro-caldea. Kirkuk, e più in generale tutto il Paese, sono stati teatro di una serie di recenti attentati sanguinari che hanno seminato morte e distruzione; la partenza dei soldati statunitensi dopo nove anni di presenza militare non ha migliorato la situazione, pace e sicurezza restano ancora oggi un lontano miraggio.
Fonti ecclesiastiche di Kirkuk spiegano che lo scopo dell'incontro è "fornire un'occasione a tutte le parti" per sedersi attorno a un tavolo, dialogare "in modo civile" e cercare di risolvere problemi e divisioni "provando ad allentare la tensione, non aggravarla con le minacce".
Durante il forum odierno si sono alternati discorsi e interventi, quindi è stato presentato un documento in sette punti preparato dall'arcivescovo mons. Sako e firmato dai delegati come "impegno" comune sulla via del dialogo e della pace. L'applicazione dei principi e delle direttive indicate nel documento saranno valutati da un comitato ad hoc, formato da personalità di diversa estrazione.
Nel suo intervento, mons. Sako ha rilanciato il principio del dialogo con l'islam per una convivenza comune che superi questioni teologiche ancora oggi inconciliabili. Per questo i cristiani devono individuare un linguaggio che risulti "comprensibile" alla comunità musulmana. E per questo, ha aggiunto il prelato, è necessaria una "società civile laica" che sia improntata sulla "comune cittadinanza irakena".
Per favorire l'incontro e il confronto, a Kirkuk sono stati avviati numerosi progetti fra cui un asilo nido - frequentato da 80 bambini, il 10% dei quali musulmano - e una scuola elementare, che sarà inaugurata nel settembre di quest'anno. Perché la convivenza civile, spiegano i promotori, si deve promuovere sin dall'infanzia.

25 aprile 2012

"Building bridges of peace", a project that unites Christians and Muslims in Kirkuk


The Chaldean Archbishopric of Kirkuk, northern Iraq, organised a reconciliation forum today on "Building bridges of peace", on the initiative of Mgr Louis Sako, archbishop of the city. The meeting brought together Christian and Muslims leaders, altogether some 50 people, including politicians like the provincial governor, lawmakers, party chiefs and tribal sheiks; religious leaders from the Shia, Sunni and Christian communities; and representatives of the Kurdish, Arab, Turkmen and Assyrian-Chaldean communities.
The forum comes a few days after a series of attacks left a trail of blood and destruction in Kirkuk as well as the rest of the country. Despite the departure of US troops, the situation has not improved and peace and security remain as elusive as ever.
Today's meeting is "an opportunity for all parties" to sit around a table to talk "in a civilised manner", Church sources in Kirkuk said. This way they can try to solve problems and bridge divisions, thus "reducing tensions rather than make it worse with threats."
Among the various speeches and interventions, Mgr Sako presented a seven-point proposal that participants signed as a joint "commitment" to dialogue and peace. An ad hoc committee made up of individuals from various backgrounds will be set up to evaluate the application of its principles and directives.
In his address, Mgr Sako reiterated the principle of dialogue with Islam so that people can live together and overcome theological issues that today are unsolvable.
For Christians, this means adopting a language that can be "understood" by the Muslim community. At the same time, a "secular civil society" is necessary based on "shared Iraqi citizenship."
A number of plans are on the drawing board to achieve these goals. They include a kindergarten for 80 children (10 per cent Muslim) and an elementary school that should open in September.

24 aprile 2012

"Costruire ponti per la pace" Mons. Sako: Dialogo tra le parti a Kirkuk

By Baghdadhope*

La scorsa settimana un'ondata di attentati ha colpito l'Iraq causando decine di morti e feriti. Tra le città colpite c'è stata anche Kirkuk dove la coesistenza di diversi gruppi etnici, (arabi, curdi e turcomanni) sembra rendere più difficile il processo di democratizzazione e normalizzazione che molti consideravano sarebbe stato invece facile successivamente al ritiro delle truppe americane avvenuto a dicembre dello scorso anno. 
Una delle prime personalità a commentare gli attentati del 19 aprile è stato, in un'intervista alla sezione araba della ADnkronos, Mons. Louis Sako, arcivescovo caldeo di Kirkuk e da sempre promotore di iniziative di dialogo a favore della pace sociale nella sua complicata città. 
Il giorno dopo gli attentati, infatti, Mons. Sako aveva parlato di "ragioni politiche"   alla luce della ""  lotta di potere tra le diverse forze".
Una situazione che lo aveva portato ad esprimersi in termini pessimistici sulle possibilità di accordo tra esse ricordando come gli attentati avessero ridotto al minimo "" la speranza di trovare una soluzione comune che includa tutte le parti",  una speranza compromessa anche dalle "  cattive relazioni tra il governo centrale di Baghdad e quello regionale curdo"   e le ""  diverse richieste delle parti arabe, curde e turcomanne"  .
Nella stessa intervista Mons. Sako aveva anche rivelato come proprio le tre parti in questione gli avessero chiesto di organizzare un  " tavolo di confronto"  per il quale aveva già steso un documento che avrebbero dovuto firmare, in caso di accordo, "  le autorità cittadine, i capi dei partiti e dei consigli ed i diversi capi religiosi"   ma che gli attentati avevano reso incerto l'incontro. 
Una bella occasione che era sembrata sfumare, quindi. 
Non è passata però neanche una settimana e la situazione è cambiata.
Domenica 22 il governatore della provincia di Kirkuk, Nağm Al-din Omar Karim, ha ricevuto Mons. Sako proprio per discutere - in termini positivi - dell'iniziativa di una  conferenza che unisca i leader di tutte le componenti etniche  di Kirkuk  per aprire una nuova via al dialogo con lo slogan: "" costruire ponti per la pace."  
Ora non resta che attendere che le parti in lotta per il potere prendano atto che il dialogo è l'unico mezzo per raggiungere non solo la pace, ma anche lo sviluppo. Fino ad ora il disaccordo non ha  portato a risultati, americani o meno. E' ora di cambiare strada.  

23 aprile 2012

Medio Oriente: Libano, comunicato finale seminario sulle comunicazioni sociali

By SIR

“La Chiesa commetterebbe un peccato d’omissione se non utilizzasse le nuove tecnologie al servizio dell’annuncio” è una delle raccomandazioni finali emerse nel seminario promosso dal Pontificio Consiglio delle comunicazioni sociali (Pccs) e dal Consiglio dei patriarchi cattolici d‘Oriente, svoltosi ad Harissa (Libano) dal 17 al 20 aprile, sul tema “La comunicazione in Medio Oriente come strumento di evangelizzazione, di dialogo e di pace”. Quattro giorni di lavoro cui hanno partecipato 45 tra patriarchi e vescovi provenienti da Libano, Siria, Egitto, Iraq, Giordania, Terra Santa, Cipro e Armenia. Con loro anche sacerdoti, religiosi, laici ed esperti nel campo dei media.
Nell’incontro, secondo quanto si legge nel comunicato finale diffuso oggi dal Patriarcato latino di Gerusalemme, è stato ribadito l’impegno della Chiesa a “partecipare allo slancio della cultura digitale per contribuire alla difesa della verità, della libertà e della dignità umana. Si commetterebbe un peccato di omissione se non si utilizzasse la nuova tecnologia al servizio dell’annuncio”. Nel comunicato si raccomanda ai fedeli di non “rimanere meri consumatori dei media ma di assumere un ruolo di attori e produttori per diffondere il Vangelo in un mondo che aspira all‘autenticità, al dialogo, alla pace e alla giustizia”.

Da qui una serie di suggerimenti pratici come “introdurre nei programmi dei seminari, scuole teologiche, università e scuole cattoliche, una formazione sui mezzi di comunicazione, sull‘era digitale e Internet”. “Ogni diocesi o eparchia - si legge nel comunicato - è chiamata a utilizzare i media, sia nuovi che tradizionali, a creare siti web con finalità pastorali allo scopo di creare la comunione tra i fedeli e le diocesi e di sviluppare questa collaborazione per arrivare, se necessario, ad un‘azione comune nel campo dei media”.
Il tutto nell’ottica di una comunicazione di “alta qualità, nella forma e nel contenuto, per essere all’altezza del messaggio da trasmettere e delle aspettative degli uomini in particolare delle nuove generazioni”. Il comunicato finale mette in evidenza, inoltre, “la necessità di garantire la protezione dei bambini e dei giovani contro i rischi cui sono esposti e renderli consapevoli dell’uso etico delle tecnologie sottolineando il compito dei genitori in questo ambito”. “Le Chiese del Medio Oriente - termina la nota - sono invitate a promuovere una politica di comunicazione attiva ed efficace, ed una di formazione dei sacerdoti e dei laici in questo ambito. Tradurre concretamente queste raccomandazioni è un imperativo”.
 

20 aprile 2012

Mons. Lingua (Nunzio Apostolico in Iraq): "Prevalga la riconciliazione tra i diversi gruppi"

By Baghdadhope*

Baghdadhope pubblica il testo del discorso pronunciato da Mons. Giorgio Lingua, Nunzio Apostolico in Giordania ed Iraq, nel corso del ricevimento offerto dalla Nunziatura Apostolica della capitale irachena in occasione del VII anniversario dell'elezione di Papa Benedetto XVI
Si tratta, come ha sottolineato Mons. Lingua, del primo ricevimento di questo genere dal 1995 quando fu sospeso, prima a causa dell'embargo e poi per ragioni di sicurezza.  
Una Santa Messa per il Santo Padre sarà celebrata nella cattedrale latina di Baghdad mercoledì 25 aprile. Mons. Selim Sayegh, Vicario emerito del Patriarcato Latino di Gerusalemme per la Giordania, terrà una conferenza sul ministero petrino ed a lui sarà affidata l'omelia durante la celebrazione. Una seconda Messa sarà officiata ad Erbil domenica 6 maggio. 

 Holy Father's Day 2012
Speech of the Apostolic Nuncio
April 19, 2012

 First of all I would like to extend my cordial welcome to the Minister of Foreign Affairs, the representatives of the Government, Parliament, the members of the Diplomatic Corps, representatives of Churches and all the friends of the Apostolic Nunciature.
We meet here tonight to commemorate the 7th anniversary of the Supreme Pontiff Benedict XVI’s election, who a few days ago also celebrated his 85th birthday. Seven years have already passed since 19 April 2005 when Cardinal Joseph Ratzinger was chosen as Bishop of Rome becoming the 265th Successor of Peter.
The diplomatic relations between the Holy See and the Republic of Iraq were officially formalized in 1966, even though the presence of the Holy See in this country goes back to the seventeenth century. Since then, this presence was uninterrupted, first through Apostolic Delegates, at consular level, and then through Apostolic Nuncios, with the rank of Ambassadors, even in the most difficult moments of the political life of Iraq. With some pride I can recall that the papal representatives have never left this country even during the two recent Gulf Wars.
Receiving the Letters of Credence of the Ambassador of Iraq, July 2, 2010, Pope Benedict XVI said: "You may be assured that the Holy See, which has always valued its excellent diplomatic relations with your country, will continue to provide whatever assistance it can, so that Iraq may assume its rightful place as a leading nation in the region with much to contribute to the international community ". In this regard I would like to congratulate the Iraqi authorities on the outcome of the recent Arab League Summit, a sign of normalization of the international role that Iraq is recovering. Also this reception, the first organized after about 18 years, which was suspended in solidarity with people affected by the embargo and then for security reasons, it is a small though significant indication of it.
The excellent relations between the Holy See and Iraq are reflected in the meetings of the highest Iraqi authorities with the Holy Father Benedict XVI. I can only express the profound hope that one day the Pope will reciprocate these visits, and put his foot on this land of Abraham a land which is part of the common patrimony of the three monotheistic religions.
" Since the earliest days of the Church  - still remembered the Holy Father in the above-mentioned address to the Iraqi Ambassador  - Christians have been present in the land of Abraham (…). It is greatly to be hoped that Iraqi society in the future will be marked by peaceful coexistence, as is in keeping with the aspirations of those who are rooted in the faith of Abraham. Although Christians form a small minority of Iraq’s population, they have a valuable contribution to make to its reconstruction and economic recovery through their educational and healthcare apostolates, while their engagement in humanitarian projects provides much-needed assistance in building up society ".
The Holy See is working for the Iraqi Christians to remain in their ancestral homeland and hopes that those who were forced to emigrate will soon find a safe place to return and resume their activities.
While  thanking the Iraqi authorities for all the efforts and the significant progress made in ensuring security in the country, despite sporadic terrorist attacks like those of today, which must be condemned with force and determination and for which I wish to express my deep sorrow and sincere condolences, I hope that the spirit of reconciliation among all the political, religious and ethnic groups will prevail so that the wonderful mosaic of the people which constitute this population will find the path to peace and prosperity for the entire Iraqi people.
Di seguito il testo del discorso di Mons. Lingua in arabo e la traduzione del  in italiano.
Traduzione ed adattamento di Baghdadhope

19 aprile 2012

Padre Samir Khalil Samir: "L'Europa deve avere più coraggio, anche nel difendere la libertà religiosa"


«Parità di diritti a tutti i cittadini, di qualunque credo religioso. Garanzia della libertà religiosa. Aiuti economici alle Ong e non ai governi, troppo spesso corrotti». Sono le tre urgenze del Medio Oriente presentate da padre Samir Khalil Samir, gesuita esperto di Islam, al presidente del Consiglio europeo ed allo staff del presidente della Commissione europea. Al telefono con Aiuto alla Chiesa che Soffre da Beirut, dove insegna presso la Facoltà di Teologia dell'Università Saint Joseph, il religioso egiziano riferisce dei recenti colloqui con Hermann van Rompuy e con i collaboratori di José Barroso, sui necessari interventi dell’Ue in Medio Oriente. «L’Europa – ha detto - deve avere il coraggio di boicottare gli Stati che violano i diritti umani, primo fra tutti l’Arabia Saudita»Il 30 marzo padre Samir ha preso parte al seminario «Libertà religiosa: diritto fondamentale in un mondo che cambia velocemente», promosso a Bruxelles dalla Commissione degli episcopati della Comunità europea (Comece) e dalla Conferenza delle Chiese europee (Kek). Al termine della mattinata di lavori il gesuita è stato convocato da Van Rompuy assieme al vescovo di Karachi, monsignor Joseph Coutts, e a Paul Bhatti, Consigliere speciale del Primo Ministro pachistano per l’Armonia e le minoranze religiose.
«Il presidente si è mostrato molto disponibile ed interessato
– riferisce ad ACS-Italia – e si è intrattenuto un’ora invece dei 30 minuti previsti». Monsignor Coutts e Paul Bhatti hanno descritto al presidente la difficile condizione dei cristiani in Pakistan invocando la protezione della comunità internazionale e ponendo l’accento sulla legge anti-blasfemia, l’analfabetismo e la povertà. Padre Samir ha invece presentato la situazione mediorientale - in particolare quella egiziana – chiedendo prima al Consiglio e poi alla Commissione europea una maggiore tutela dei diritti umani e uguaglianza giuridica per i fedeli di tutte le religioni. Per preservare la presenza cristiana in Medio Oriente è necessario innanzitutto rafforzare il concetto – «ovvio in Europa ma non nel mondo islamico» - di cittadinanza. «Aiutateci – ha detto padre Samir allo statista belga - a rimanere in una società liberale aperta a tutti i cittadini, senza distinzioni tra musulmani e non musulmani». Il cristianesimo è elemento di dinamismo ed ha introdotto la modernità nel mondo arabo. L’esodo dei cristiani rappresenta una grave perdita perfino per i Paesi occidentali: «Difendere la nostra comunità significa difendere una società più aperta, anche all’Europa e a tutto l’Occidente».L’Ue dovrebbe mobilitarsi anche per garantire il rispetto della libertà religiosa che è «il fondamento di ogni libertà». Padre Samir ha insistito sulla pericolosità della legge coranica, che non distingue tra regole morali e codice penale. In Egitto ad esempio è previsto il carcere per gli omosessuali. «Alcuni comportamenti possono essere considerati moralmente deprecabili – spiega – ma non dovrebbero comportare sanzioni penali». Infine il religioso ha invitato i vertici europei ad affidare gli aiuti economici alle associazioni e alle Ong. «In Paesi come Tunisia, Siria, Egitto, Libia, la corruzione è molto diffusa all’interno dei governi». Da privilegiare sono gli organismi che difendono i diritti umani, che operano nel campo dell’istruzione - «l’Islamismo cresce lì dove c’è meno istruzione» - e che mirano ad un maggiore ruolo della donna nella società, «perché ciò significa dare spazio ad un approccio più umano e pacifico». Ma più di tutto l’Europa deve avere il coraggio di boicottare gli Stati che violano i diritti umani, come l’Arabia Saudita. «L’Europa è troppo codarda e ai nostri occhi l’Occidente non ha più credibilità. Un Paese che si preoccupa di rafforzare il benessere delle classi abbienti senza intervenire per risollevare le condizioni economiche dei poveri non deve essere aiutato».

18 aprile 2012

Nuovo suddiacono della chiesa caldea in Libano: Samih Traboulsi

By Baghdadhope*

Si sono svolte con grande partecipazione di fedeli le cerimonie della Santa Pasqua a Beirut (Libano) dove la comunità caldea si è raccolta nella cattedrale di San Raffaele. 






Lì si è svolta la messa per la Domenica delle Palme, quella del Giovedì Santo che ha visto la partecipazione del gruppo "Fede e Luce", i riti della Passione di Cristo con la partecipazione di Padre Makhoul Farha, provinciale dei carmelitani in Libano e quelli di Pasqua durante i quali  si è svolta la cerimonia dell'ordinazione suddiaconale di Samih Traboulsi dalle mani di Mons. Michael Kassarji, vescovo caldeo del Libano e di Mons. Kirillus Salim Bustros, arcivescovo di Beirut e Jbeil della chiesa cattolica melkita

16 aprile 2012

Mezzi di comunicazione come strumenti di evangelizzazione, dialogo e pace in Medio Oriente. Mons. Isaac (Baghdad)

By Baghdadhope*

Si terrà a Beirut (Libano) dal 17 al 20 aprile un seminario organizzato dal Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali in collaborazione con i Patriarchi del Medio Oriente  che ha come titolo: “La comunicazione in Medio Oriente come strumento di evangelizzazione, di dialogo e di pace”.
Il seminario il cui scopo è formare le chiese del Medio Oriente in tema di cultura e media digitali ospiterà membri di quelle chiese, ecclesiastici e laici, coinvolti nella diffusione del messaggio cristiano attraverso i diversi mezzi di comunicazione, cartacei e digitali.
Presenti all'evento il presidente del PCCS, Mons. Claudio Maria Celli, il patriarca della chiesa maronita, Bechara Rai, il vescovo maronita di Beirut, Mons. Paul Youssef Matar,  il patriarca latino di Gerusalemme,  Mons. Fouad Twal e  tre dei suoi vescovi ausiliari: Mons. William Hanna Shomali, ausiliare per Gerusalemme, Mons. Giacinto Marcuzzo per Israele e Mons.  Maroun Elias Lahham per la Giordania.
L'Iraq sarà rappresentato da Mons. Jacques Isaac, rettore del Babel College, l'unica facoltà teologica cristiana nel paese e direttore delle riviste Nağm al Mashriq (Stella d'Oriente) e Beth Nahrein (Mesopotamia.) Ad accompagnare Mons. Isaac saranno Padre Saad Sirop Hanna, parroco caldeo della chiesa di San Giuseppe a Baghdad e Bassam Sabri, redattore di Nağm al Mashriq.
L'intervento di Mons. Isaac anticipato a Baghdadhope avrà come titolo:"I mezzi di comunicazione cattolici in Iraq" e sarà diviso in tre sezioni rispettivamente dedicate alle riviste, ai siti web cristiani ed a due canali televisivi.    
   
Baghdadhope ha parlato con Mons. Isaac dell'importanza dei mezzi di comunicazione  per le chiese del Medio Oriente e specificatamente dell'Iraq che, a partire dal 1991 con la Prima Guerra del Golfo, ha attirato l'attenzione internazionale come mai prima.
Secondo Mons. Isaac la conoscenza dell'esistenza della cristianità in Iraq aumentata con lo sviluppo dei mezzi di comunicazione ha contribuito "  a diffondere il sentimento di solidarietà nei suoi confronti da parte dei cristiani nel mondo intero."   Una solidarietà che ha avuto il suo culmine in due tragici momenti della storia: il rapimento e l'uccisione dell'arcivescovo di Mosul, Mons. Faraj P. Rahho e la strage nella chiesa di Nostra Signora della Salvezza a Baghdad quando, secondo Mons. Isaac "  lo sdegno provocato nel mondo per tali azioni è stato tale che anche il governo iracheno ne ha dovuto tenere conto."
"  I moderni  mezzi di comunicazione"  
ha continuato il prelato " sono a nostra disposizione non per fare proselitismo tra i musulmani, una cosa che la chiesa in Medio Oriente non ha mai fatto, quanto per diffondere tra essi la conoscenza della cristianità come religione di pace".   Una conoscenza che attira sempre maggior interesse tanto che, racconta Mons. Isaac, "" proprio in questi giorni sono stato contattato da alcuni professori musulmani di Hilla - nel sud dell'Iraq - desiderosi di approfondire la loro conoscenza del cristianesimo alla luce dei ritrovamenti archeologici di antichissime chiese nella loro regione."    
Per quanto riguarda la necessità di utilizzare al meglio tutti i moderni mezzi di comunicazione Mons. Isaac ha spiegato come la chiesa caldea, pur afflitta da molti problemi, non abbia tralasciato di investire in questo senso, """  é necessario che tutto ciò che in questi anni anche molto difficili è stato costruito nel campo delle comunicazioni - la casa editrice e la rivista Nağm al Mashriq, l'altra rivista Beth Nahrein ed il sito del patriarcato, sia seguito e potenziato da persone qualificate. Noi siamo diventati giornalisti con la pratica - ha continuato Mons. Isaac, liturgista-  ma per la prima volta un nostro sacerdote, Padre Albert Hisham, sta studiando proprio comunicazione sociale e quando  avrà  terminato i suoi studi sarà in grado di dare il suo valido apporto professionale."
Sulla situazione a Baghdad Mons. Isaac l'ha descritta come " abbastanza buona" ed ha ricordato che anche nella capitale irachena il prossimo mercoledì 25 aprile verrà ricordato il settimo anno di pontificato di papa Benedetto XVI con una conferenza organizzata dal nunzio apostolico in Giordania ed Iraq, Mons. Giorgio Lingua e tenuta da Mons. Selim Sayegh, vescovo ausilare emerito per la Giordania, cui seguirà una Santa Messa nella cattedrale latina di San Giuseppe alla presenza del vescovo latino di Baghdad, Mons. Jean Benjamin Sleiman, ed alla quale parteciperà il patriarca della chiesa caldea, Cardinale Mar Emmanuel III Delly.

12 aprile 2012

Nona, arcivescovo iracheno: "dal 2003 che non passavamo una pasqua così bella"

By Tempi.it  11 aprile 2012
Leone Grotti

L'arcivescovo di Mosul Amel Nona nega a tempi.it le notizie di esplosioni e uccisioni di cristiani, che si sarebbero verificate negli ultimi giorni secondo l'agenzia Dpa e Avvenire, e al contrario afferma: «Qui ci sono segnali positivi, erano anni che non celebravamo una Pasqua così. È un bene per l'Iraq che l'America si sia ritirata». 

«Non so nulla di esplosioni né del rapimento e uccisione di un cristiano qui a Mosul. Se fosse successo, ne sarei a conoscenza». L'arcivescovo di Mosul Amel Nona smentisce così a tempi.it la notizia diffusa dall'agenzia tedesca Dpa, e ripresa anche da Avvenire, della morte di sei persone a Mosul, Iraq, 400 km a nord della capitale Baghdad. Nell'articolo si parla anche di «una nuova escalation di violenza alimentata da odio settario, soprattutto dopo il completamento del ritiro delle truppe statunitensi, a dicembre scorso», ma l'arcivescovo al contrario afferma: «Dopo tanti anni, per la prima volta le cose stanno migliorando».
Come hanno passato i cristiani la Pasqua a Mosul?

Questa volta è stato diverso rispetto agli altri anni: l'abbiamo vissuta bene, come non succedeva dal 2003 (quando gli Usa sono entrati in Iraq il 20 marzo, ndr). La gente, quella che non se ne è andata dal paese (in città rimangono appena 1500 famiglie di cristiani, ndr), si è recata in massa nelle chiese. Solo in quelle aperte, ovviamente. Abbiamo potuto anche celebrare la Messa di sera, cosa che non succedeva da tempo. È dal 2003 che non passavamo una Pasqua così bella.
Eppure i cristiani sono sempre sotto attacco in Iraq.

Sì, ma quelli che sono rimasti nutrono ancora la speranza che il paese possa migliorare. Qui a Mosul, ad esempio, ci sono dei segnali positivi: il livello della sicurezza è migliorato anche se, ovviamente, c'è ancora molto da fare. Non solo. Vedere tanta gente che piena di speranza frequenta la chiesa in questi giorni ci ha dato una grande fiducia di potere restare in questa terra e testimoniare la nostra fede. Speriamo che il nostro futuro sia luminoso.
A dicembre gli americani se ne sono andati. La situazione è migliorata o peggiorata?

Peggiorata no. I gruppi armati che combattevano gli americani ora non hanno più niente da fare e hanno cessato la guerriglia, che lasciava sempre sul campo vittime civili innocenti. È meglio che ci abbiano lasciati soli perché così possiamo decidere del nostro futuro senza i militari. Da questo punto di vista, è stato positivo per l'Iraq che gli americani se ne siano andati.

8 aprile 2012

Christians' nightime Easter celebrations show Kirkuk is stable, says governor


Kirkuk's governor described the Easter prayers by Christians last night as a sign that the security situation in the province is improving and moving towards stability.
"The Christians held their prayers for the first time at night and this shows the improved security situation," said governor Najm al-Din Omar Karim during his visit this morning to the Kirkuk Chaldean Christians Cathedral.
"We congratulate you on this occasion and we feel very happy because we share your joy."He assured that Christians are of great importance in the hearts of people in Kirkuk and Iraq.
"We hope this event will contribute to the consolidation of the ties of brotherhood, love and tolerance between religions, sects and ethnic groups," added Karim.
He said the Kirkuk administration is seeking to provide better services to the people of the province in all religions, sects and ethnic groups.
Priests Asilo Aziz Rassam and Ustaifan Rabban praised the efforts of the Kirkuk governor to improve the province and its services.
The priests said they hoped Christians from overseas will "return to their homeland to help build their city".Kirkuk's Christians held their prayers from 9.00pm until midnight yesterday.