Fonte: THE GLOBE AND MAIL
Di Mark Mackinnon
ANKAWA, IRAQ
Le sere della domenica in questa tranquilla cittadina cristiana nel nord dell’Iraq danno una sensazione di serenità. Al calar della sera i parrocchiani si riuniscono sui gradini della chiesa di Saint Eliya e si congratulano con il sacerdote per l’omelia, mentre i bambini giocano in un giardino adiacente sotto un gigantesco albero con una targhetta su cui si legge: “2007” Se non fosse per i due uomini di guardia armati di Kalashnikov la scena potrebbe essere quella di una chiesa in una qualsiasi parte del mondo.
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Eppure i cristiani iracheni rappresentano una comunità sotto assedio. Pochi di quelli che assistono alla Messa a Saint Eliya sono di Ankawa, che fa parte della regione autonoma curda. La maggior parte di loro è infatti rifugiata dal sud e dal centro del paese dove i cristiani sono presi in mezzo nella violenta guerra civile in corso tra musulmani sunniti e sciiti. “I sunniti e gli sciiti lottano fra loro e noi siamo intrappolati” dice Souad Lahad, una donna di 45 anni, madre di quattro figli, che due mesi fa ha dovuto fuggire ad Ankawa da Mosul. La sua famiglia ha abbandonato tutto dopo aver trovato una lettera attaccata alla porta in cui si accusavano i cristiani di essere spie degli USA, e si chiedeva una non specificata somma di denaro: “o vi taglieremo la testa e distruggeremo la vostra casa.” La lettera, che la signora Lahad ha portato con sé, è firmata da “l’ufficio segreto degli assassinii” del Khalid Bin Walid Movement, un gruppo mai sentito prima. La famiglia è partita immediatamente. “Eravamo convinti che se avessimo aspettato a farlo solo un’ora sarebbero entrati in casa” racconta la signora Lahad che ora divide con altri parenti un’affollata casa a due piani. La sua è una storia tristemente comune ad Ankawa. La messa della domenica pomeriggio a Saint Eliya celebrata in arabo è così frequentata che una parte dei fedeli è costretta ad ascoltarla dall’esterno dell’edificio, ed è stata istituita recentemente proprio per coloro arrivati dalle altre parti dell’Iraq. Ma anche le altre sei funzioni domenicali nelle due chiese della città, celebrate in aramaico antico, sono sempre affollatissime. "I cristiani nel sud sono terrorizzati. Non hanno pace a causa delle squadre della morte e delle bombe. Almeno l’hanno trovata qui in Kurdistan” dice Padre Tariq Choucha, secondo cui la popolazione della sua parrocchia di Ankawa, la chiesa di Saint George, è aumentata del 50% con l’arrivo di 1500 famiglie dal sud e dal centro dell’Iraq dal momento dell’invasione americana quattro anni fa. Molti ad Ankawa sono sgomenti dal fatto che la loro sorte sia stata ignorata in occidente. Quando i soldati americani arrivarono a Baghdad molti cristiani pensarono che le loro vite sarebbero migliorate rispetto al periodo di governo di Saddam Hussein. Invece, dice Padre Tariq, egli si sentì “imbarazzato" come sacerdote, di non poter dare cibo, rifugio e coperte a tutti i nuovi arrivati bisognosi, e chiese alle comunità cristiane del Canada e del mondo di fare di più per i cristiani in Iraq."Se la situazione fosse temporanea andrebbe bene" dice Padre Rayan Atto, sacerdote della vicina chiesa di Saint Joseph. “Abbiamo bisogno di maggior aiuto. C’è molta gente veramente povera, gente che non ha casa, non ha elettricità.” Secondo Padre Atto è necessario fare qualcosa affinché l’intera popolazione cristiana non lasci l’Iraq. Mentre prima della guerra vivevano nel paese 800.000 cristiani, che rappresentavano circa il 3% della popolazione totale, ora essi rappresentano il 20% di coloro che ne sono fuggiti.La maggior parte dei rifugiati arriva da Baghdad e Mosul dove i gruppi militanti sunniti e sciiti hanno reso chiaro il fatto che una delle più antiche popolazioni cristiane del mondo – la maggior parte della quale è caldea, cioè cattolica di rito orientale autonoma da Roma ma che riconosce l’autorità papale, ed assira – non è più gradita in Iraq. Nel 2004 quattro chiese nella capitale ed una a Mosul sono state fatte esplodere nello stesso giorno causando la morte di 11 persone, e la discriminazione nei confronti dei cristiani è aumentata con gli attacchi da parte dei gruppi militanti dei negozi di liquori e l’obbligo per le donne di indossare il velo islamico. La signora Lahad, ad esempio, ha iniziato ad usare il velo e le gonne lunghe, e suo figlio Rami, di 23 anni, ha smesso di indossare abiti di stile occidentale ed ha cambiato pettinatura. I barbieri, d’altronde, rifiutavano di tagliargli la barba: “se i militanti vedevano qualcuno non vestito come loro voleva dire che era un non musulmano e che lavorava per gli americani.”Nei mesi recenti anche i sacerdoti sono diventati bersagli. Cinque di loro sono stati rapiti a Baghdad e rilasciati solo dopo il pagamento di un riscatto. Tre di essi ora vivono in Europa, ma la cosa non è grave dato che anche le loro comunità hanno lasciato Baghdad. “I cristiani stanno lasciando Baghdad ed il centro del paese, le chiese sono vuote” dice Wissam Yousif, un ventiseienne fuggito dalla capitale ad Ankawa qualche mese fa. Padre Tariq dice che malgrado i cristiani abbiano sofferto a causa di Saddam Hussein e del regime baathista – vent’anni di guerre e sanzioni condivise con il resto della popolazione – quei giorni sembrano felici ora."Prima ci si doveva preoccupare solo dei baathisti, ora c’è Sadr, (religioso radicale sciita) Sistani (Grand Ayatollah) ed al-Qaeda e molti altri gruppi.”Padre Tariq si dice preoccupato che la comunità cristiana, in Iraq dall’inizio stesso della religione, possa completamente sparire dal paese."Abbiamo vissuto in questo paese da prima dei musulmani, ma ora siamo distrutti.”
Tradotto ed adattato da Baghdadhope