"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."

Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014

23 maggio 2012

La non libertà nel mondo 2012. Il caso iracheno

By Osservatorio Iraq, 22 maggio 2012

Il voto della Freedom House è 5,5. Ma al di là della pagella, è lo status  assegnato a fotografare la situazione: il 'nuovo' Iraq non è un paese libero. Il rapporto ricostruisce le tappe fondamentali dell’azione politica americana e della nuova dirigenza irachena, dal 2003 ad oggi.

traduzione a cura di Rino Finamore


Status: non libero
Livello di libertà: 5.5
Libertà Civili: 6
Diritti Politici: 5


Introduzione

Nel dicembre del 2011, subito dopo il completamento del ritiro americano dal paese, sono riaffiorate le tensioni tra i partiti sunniti e sciiti. Iraqiya ha boicottato il Parlamento in risposta alla presa di potere del primo ministro Nouri al-Maliki ed al rilascio di un mandato d'arresto contro il vicepresidente sunnita. Durante tutto l'anno, Turchia ed Iran hanno lanciato attacchi nel nord del paese per annientare i gruppi guerriglieri curdi, e la crescente violenza confessionale, terrorista e politica ha preso di mira forze governative, giornalisti e civili.


La Storia
Il moderno Stato iracheno è stato fondato dopo la prima guerra mondiale sotto mandato della Società delle Nazioni e amministrato dalla Gran Bretagna. Gli inglesi hanno instaurato una monarchia costituzionale, che privilegiava la minoranza araba sunnita a scapito di curdi e sciiti.

Il predominio politico arabo sunnita è proseguito anche dopo l'indipendenza del 1932 e dopo il colpo di stato militare che nel 1958 ha rovesciato la monarchia. Il partito nazionalista arabo Baath ha preso il potere nel 1968, e l'uomo forte del nuovo regime de facto, Saddam Hussein, ha assunto la presidenza nell'79.

Nei successivi due decenni, l'Iraq ha dovuto sopportare una brutale repressione politica, una guerra distruttiva contro l'Iran (1980-1988), una sconfitta militare da parte di una coalizione guidata dagli Stati Uniti (nel 1990, dopo l'invasione del Kuwait), e anni di onerose sanzioni commerciali.

Dopo l'istituzione di una no-fly zone a nord del 36° parallelo imposta dagli Usa nel 1991, la maggior parte delle tre province settentrionali di Erbil, Duhok, e Sulimaniyah è passata sotto il controllo del Partito democratico del Kurdistan (KDP) e l'Unione patriottica del Kurdistan (PUK).

Le due fazioni hanno apertamente combattuto a metà degli anni 90', ma alla fine si sono riconciliate ed hanno formato un governo regionale autonomo del Kurdistan (KRG).

Una coalizione a guida Usa ha invaso l'Iraq nel marzo 2003, creando un'Autorità provvisoria della Coalizione (CPA) per amministrare il paese. L'esercito iracheno è stato smantellato e impedito ai membri del partito Baath di prestare servizio nel governo o nelle nuove forze di sicurezza.
Il conseguente vuoto di sicurezza ha portato saccheggi, danni alle infrastrutture, e grave scarsità d'acqua e di elettricità.
Sull'onda delle frustrazioni sunnite provocate dalla politica di de-baathificazione e l'imminente cambio del potere politico a favore della maggioranza sciita, reti libere di ufficiali baathisti membri di tribù sunnite e militanti islamisti associati ad al-Qaeda hanno iniziato ad organizzare e a finanziare un'insurrezione che ha guadagnato rapidamente terreno nel tardo 2003-2004.

Le intimidazioni da parte degli insorti hanno fatto sì che gli arabi sunniti abbiano boicottato le elezioni del 2005 per l'Assemblea nazionale di transizione (TNA) ed i governi provinciali, con il risultato di una schiacciante vittoria per i partiti sciiti e curdi.
Una nuova Costituzione è stata approvata tramite referendum nel mese di ottobre 2005, nonostante più di due terzi dei votanti in due province a maggioranza sunnita abbiano deciso di respingerla.
Nel frattempo, le milizie del partito sciita sono riesciute ad infiltrarsi nella polizia del ministero dell'Interno e nelle forze antisommossa, con la conseguenza che le detenzioni extragiudiziali e le uccisioni hanno raggiunto un boom nel corso del biennio 2005-2006.

Interi quartieri sono strati rastrellati per la pulizia etnica, a Baghdad così come in altre province multietniche o multiconfessionali.

Gli arabi sunniti hanno partecipato alle elezioni parlamentari del dicembre 2005, aumentando la loro rappresentanza politica. Nouri al-Maliki del partito sciita Da'wa è diventato primo ministro.

Tuttavia,  ulteriori progressi sono stati ostacolati sia dal principale blocco arabo sunnita in Parlamento che da una fazione sciita fedele al religioso e populista leader Moqtada al-Sadr. Entrambi hanno attuato un boicottaggio della legislatura nel 2007.

Il Parlamento ha adottato diverse misure simboliche nel 2008 per riportare gli arabi sunniti nel processo politico. Nel mese di gennaio, a molti ex baathisti è stato consentito di recuperare il lavoro che avevano perso, e nel mese di febbraio il governo ha concesso l'amnistia a migliaia di prigionieri prevalentemente sunniti.

Ed è così che il più grande blocco sunnita ha deciso di tornare al governo (aprile), dopo un boicottaggio durato quasi un anno, con sei nuovi ministri che si sono uniti al gabinetto formato da Maliki.

Sempre nel 2008, e con il finanziamento degli Usa, le forze di sicurezza irachene hanno messo in atto un giro di vite contro le milizie sunnite e di al-Sadr.

Ai sensi della legislazione elettorale passata alla fine del 2008, gli elettori nelle elezioni provinciali del gennaio 2009 potevano scegliere dei candidati, piuttosto che delle liste di partito, mentre l'uso di simboli religiosi in campagna elettorale era fortemente limitato.
Alle donne spettava il 25% delle quote e solo sei seggi erano riservati ai cristiani e alle altre minoranze del paese, su un totale di 440 sedi provinciali del consiglio. La votazione si svolge in un clima relativamente pacifico, e l'affluenza nella maggior parte delle province si attesta tra il 50 e il 75 per cento. Vince il partito Da'wa di al-Maliki, ma ha bisogno di nuove coalizioni per governare nella maggior parte delle province.
Le elezioni provinciali 2009 non hanno interessato la regione autonoma curda o la provincia contestata di Kirkuk. Qui le elezioni del luglio 2009 per il Parlamento regionale curdo e la presidenza si sono caratterizzate per una forte affluenza e per l'exploit di un blocco di opposizione nuovo, chiamato Gorran (Change), che ha preso circa un quarto delle preferenze.

Il referendum per stabilire se Kirkuk sarebbe stata annessa alla regione curda è tutt'ora sospeso, nonostante la disposizione costituzionale che lo aveva raccomandato prima della fine del 2007, così come le elezioni parlamentari del marzo 2010 erano state costituzionalmente programmate per gennaio.

La precedente legge elettorale del 2009 aveva un sistema di liste aperte, e di voto proporzionale con diversi distretti e vari candidati corrispondenti alle 18 provincie. Un totale di 8 seggi erano stati riservati ai cristiani e ad altre minoranze.


 La situazione
In quest'ultima tornata, gli elettori hanno manifestato tutta la loro frustrazione, rivotando soltanto 62 membri eletti nella precedente legislatura, con la conseguenza che si assiste oggi ad uno stallo politico.
Nonostante l'obbligo costituzionale di formare un governo entro 30 giorni dall'annuncio dei risultati, nessuno dei blocchi rivali è stato in grado di formare una maggioranza, mentre le potenze straniere  - tra cui Iran, Arabia Saudita e Stati Uniti - hanno giocato un ruolo importante nel ritardare i negoziati.

Il nuovo Parlamento ha rieletto il leader curdo Jalal Talabani come presidente (novembre 2010), e in dicembre Maliki ha ottenuto l'approvazione parlamentare per un governo di unità che comprendesse tutte le principali fazioni, tra cui Iraqiya e il movimento di al-Sadr.

L'interregno post elettorale è stato caratterizzato da una forte escalation di violenza confessionale e antigovernativa.

Gli insorti hanno iniziato a prendere di mira le istituzioni nazionali, in particolare i servizi di sicurezza, così come i luoghi di culto. In estate la violenza ha raggiunto vette che non si vedevano da anni.

All'inizio del 2011, i funzionari militari statunitensi hanno stimato una riduzione del 20 per cento degli incidenti di sicurezza rispetto all'anno precedente. Tuttavia, dopo l'uccisione di Osama bin Laden, al-Qaeda in Mesopotamia ha condotto una dura rappresaglia contro civili, politici, forze di sicurezza irachene e truppe americane.

Inoltre, con l'inizio del ritiro statunitense, vari gruppi di miliziani hanno cercato di approfittare del vuoto di sicurezza, svelando l'incapacità delle forze irachene di arginare la violenza. In totale, nel 2011 gli scontri hanno coinvolto oltre 4000 civili.

In linea con un accordo di sicurezza messo a punto nel 2008 da Iraq e Stati Uniti, circa 50.000 militari americani sono rimasti in Iraq fino alla fine del 2011, nonostante si fossero ritirati dalle città irachene già nel 2009 e avessero formalmente concluso le operazioni di combattimento l'anno successivo.

I leader politici americani e iracheni si aspettavano di concordare una riduzione di 5.000 soldati Usa dopo il 2011, ma il patto è saltato a causa del rifiuto del Parlamento iracheno di concedere al personale degli Stati Uniti l'immunità dai procedimenti giudiziari. Di conseguenza, le ultime truppe hanno lasciato il paese nel mese di dicembre.
Pochi giorni dopo il completamento del ritiro, la tensione si è alzata ancora una volta tra i partiti sunniti e sciiti. In una presa di potere apparente della coalizione di governo del primo ministro Nouri al-Maliki, un mandato d'arresto è stato emesso contro il vicepresidente Tariq al-Hashimi, un politico sunnita, accusato di gestire uno "squadrone della morte" che aveva come obiettivo la polizia e funzionari governativi.
Hashimi è fuggito nella regione settentrionale curda, ma i continui arresti ai danni dei sunniti hanno portato Iraqiya a boicottare il Parlamento in segno di protesta.

Oltre alle violenze in corso e alla lotta politica, l'Iraq continua però a soffrire anche le difficoltà economiche e dei confini tutt'altro che sicuri, sebbene il governo sia stato in grado di fornire almeno alcuni servizi pubblici di base.

La fornitura di energia elettrica, per esempio, è aumentata notevolmente negli ultimi anni, ma non ha tenuto il passo con la crescente domanda, e la maggior parte degli iracheni non dispone di una fonte affidabile e sicura di energia.

A ciò si aggiunga una disoccupazione che ormai supera il 20% a livello nazionale, con punte del 55% in alcune zone rurali.

Nel mese di agosto e ottobre 2011, in risposta agli attacchi guerriglieri curdi, la Turchia e l'Iran hanno lanciato attacchi transfrontalieri contro sospetti guerriglieri nascosti nel nord dell'Iraq. Si tratta dei primi attacchi di tale entità dal 2008.


 Diritti politici e libertà civili
L'Iraq non è una democrazia elettorale. Nonostante le elezioni, la partecipazione politica e al processo decisionale del paese sono ostacolati dalle violenze confessionali, dalla corruzione diffusa e dall'influenza delle potenze straniere.
Secondo la Costituzione, il presidente e i due vicepresidenti sono eletti dal Parlamento e nominano il primo ministro (ogni 4 anni). Il capo del governo costituisce un gabinetto ed esegue le funzioni esecutive dello Stato. Il Parlamento è costituito da 325  seggi nella camera bassa, il Consiglio dei Rappresentanti, e una ancora non formata Camera alta, il Consiglio federale, che dovrebbe rappresentare gli interessi provinciali.

La Commissione elettorale indipendente irachena (IECI), i cui nove membri del board sono stati selezionati da un comitato consultivo delle Nazioni Unite, ha la responsabilità esclusiva per l'amministrazione delle elezioni.

I partiti politici operano senza restrizioni legali, mentre il partito Baath è ufficialmente bandito.
Dopo il ritiro delle truppe Usa, gli ostacoli alla partecipazione politica sembrano essere in crescita, visti i tentativi di Maliki di consolidare il proprio potere.
Sede di un quinto della popolazione del paese, la regione autonoma curda costituisce una comunità politica distinta all'interno dell'Iraq, con la sua bandiera, le sue unità militari, e la sua lingua. I 111 posti della legislatura regionale restano dominati dal KDP e PUK alleati, nonostante la presenza del nuovo blocco di opposizione Gorran dopo elezioni del 2009.

Sebbene i leader politici della regione curda professino la loro fedeltà rimanendo parte di uno Stato federale iracheno, le forze di sicurezza curde mantengono un confine de facto con il resto del paese, con gli arabi vengano trattati come stranieri e il governo regionale che agisce spesso seguendo il proprio interesse nonostante le obiezioni di Baghdad.

L'Iraq è afflitto da una corruzione dilagante a tutti i livelli di governo.

Una Commissione nazionale per l'integrità ha il compito di combattere la corruzione, ma conduce le sue indagini in segreto e non pubblica le sue conclusioni fino a quando i tribunali non hanno emesso decisioni finali.

La stragrande maggioranza degli autori di reati restano impuniti, in gran parte a causa di una legge di amnistia che consente ai ministri di intervenire e respingere le accuse. Di conseguenza, i casi sono in genere portati avanti nei confronti dei funzionari a basso e medio rango.

E se la Commissione di integrità aveva guadagnato un certo slancio negli ultimi anni, nel 2011 ha dovuto affrontare una serie di battute d'arresto.

Ricordiamo tra le cose più importanti che il presidente della Commissione è stato costretto a dimettersi nel mezzo di una crescente pressione politica, dopo numerose segnalazioni di corruzione e tentativi del governo di mettere a tacere gli informatori.

Le reclute presumibilmente pagavano tangenti fino a 5000 dollari per entrare nelle forze di sicurezza irachene, e le rapporti indicano che i cittadini comuni devono ricorrere alla corruzione per svolgere semplici operazioni burocratiche, come ottenere le targhe dei veicoli.

Quest'anno l'Iraq si è posizionato al 175simo (su 183 paesi) dell'Index di Transparency International Corruption Perceptions 2011.


Anche se la libertà di culto è garantita da Costituzione, tutte le comunità religiose hanno ricevuto e continuano a subire minacce. Si stima che tra i 300 e i 900 mila cristiani hanno cercato sicurezza all'estero dal 2003.
Minoranze religiose ed etniche nel nord dell'Iraq - tra cui turkmeni, arabi, cristiani e shabak - hanno segnalato casi di discriminazione e molestie da parte delle autorità curde, anche se erano fuggiti proprio in questa regione per la sua relativa sicurezza.

Le zone precedentemente miste sono ora molto più omogenee, e gli attacchi terroristici continuano ad essere rivolti verso obiettivi religiosi.

 
Le istituzioni accademiche operano in un ambiente altamente politicizzato e insicuro.
Centinaia di professori sono stati uccisi durante il picco di violenza confessionale e molti altri ancora hanno smesso di lavorare o sono fuggiti dal paese, nonostante alcuni ricercatori siano tornati a seguito dei miglioramenti degli ultimi anni.
I diritti alla libertà di riunione e di associazione sono riconosciuti dalla Costituzione, ma "in un modo che non violi l'ordine pubblico e la moralità".Alcune proteste isolate si sono tenute nel mese di febbraio e marzo 2011, ispirate dalle sollevazioni popolari del Nord Africa.
A Baghdad nel mese di febbraio, più di 20 manifestanti sono stati uccisi dalle forze di sicurezza mentre cercavano di disperdere la folla.

Le organizzazioni non governative nazionali e internazionali (ONG) sono in grado di operare senza restrizioni di legge, anche se i problemi di sicurezza limitano fortemente le loro attività in molte aree.

La Costituzione prevede il diritto di formare sindacati e di aderirvi. L'attività dell'Unione è fiorita in quasi tutti i settori industriali dal 2003, e gli scioperi non sono stati rari.

Tuttavia il diritto del lavoro del 1987 rimane in vigore, vietando i sindacati nel settore pubblico, e un decreto del 2005 ha concesso al governo il potere di bloccare tutti i fondi sindacali e prevenire il loro esborso.

Alcuni membri del governo si sono poi attivati per vietare i sindacati a maggio 2011, ma l'opposizione a livello nazionale e internazionale ha costretto questi funzionari ad abbandonare la loro causa.

L'indipendenza dei magistrati è garantita da Costituzione. Il Consiglio superiore della magistratura - presieduto dal giudice capo del Supremo tribunale federale e composto da 17 giudici d'appello  e numerosi giudici della Corte federale di cassazione - ha l'autorità amministrativa sul sistema giudiziario.

Nei fatti i giudici sono sottoposti a immense pressioni politiche e settarie e non sono stati in gran parte in grado di perseguire i casi di criminalità organizzata, la corruzione e le attività delle milizie, anche a fronte di prove schiaccianti.

I cittadini iracheni si rivolgono spesso alle milizie locali e ai gruppi religiosi per amministrare la giustizia, piuttosto che cercarla attraverso gli organi ufficiali delle forze dell'ordine considerati corrotti o inefficaci.

Il codice di procedura penale e la Costituzione vieta arresti arbitrari e le detenzioni, anche se entrambe le pratiche sono comuni. La Costituzione proibisce anche qualsiasi forma di tortura e trattamenti inumani e offre alle vittime il diritto al risarcimento, ma ci sono poche tutele efficaci in vigore.

Un centro di detenzione precedentemente sconosciuto dove sono state riportate accuse credibili di tortura è risultato essere sotto il diretto controllo dell'ufficio del primo ministro nel 2010.
Stesso copione per il nord: sebbene anche le leggi del Krg proibiscano i trattamenti disumani, è ampiamente riconosciuto che le forze di sicurezza curde praticano detenzioni illegali e tattiche di interrogatorio quantomeno discutibili.
Anche i detenuti sotto custodia degli Stati Uniti sono stati soggetti a tortura e maltrattamenti, nonostante dal 2011 le forze Usa non possano più gestire detenuti direttamente in Iraq.

Circa cinque milioni di iracheni sono stati sfollati dalle loro case dal 2003, e mentre centinaia di migliaia di persone - la maggior parte arabi sunniti - sono fuggiti in Giordania e in Siria, quasi tre milioni di iracheni sono sfollati all'interno dell'Iraq.

In regioni come Kirkuk, il regime di Saddam Hussein ha costretto circa 250.000 di curdi residenti a muoversi dalle loro case in nome della "arabizzazione".

Conflitti etnici nella regione hanno portato ad una lunga impasse politica tra i curdi e le minoranze di arabi, turcomanni e cristiani assiro-caldei.

La Costituzione garantisce altresì i diritti delle donne uguali davanti alla legge, anche se in pratica si trovano ad affrontare varie forme di discriminazione giuridica e sociale. A loro spetta il 25 per cento dei seggi del Parlamento, e la loro partecipazione alla vita pubblica è effettivamente aumentata negli ultimi anni.

Nonostante le gravi pressioni sociali e le restrizioni, le donne sono tornate in massa ai posti di lavoro e università. Godono di maggiori protezioni legali e libertà sociali nella regione curda, ma il loro potere politico è ancora limitato.

Inoltre, i cosiddetti delitti d'onore e gli abusi domestici  sono diffusi in tutto il paese. Nel luglio 2010, i leader religiosi curdi hanno formalmente dichiarato che le mutilazioni genitali femminili (MGF) non costituiscono una pratica islamica, ma alcuni gruppi di difesa sostengono che oltre il 50 per cento delle ragazze adolescenti curde sono ancora vittime di MGF.

Nel rapporto 2011 sulla tratta di persone stilato dal dipartimento di Stato Usa, l'Iraq, oltre a figurare al secondo posto della classifica, è additato anche per lo sfruttamento sessuale di donne e bambini provenienti da famiglie povere e/o sfollate, senza contare i casi di abuso degli stranieri che vengono reclutati a lavorare in loco.