Francesco Peloso
25 ottobre 2023
Il patriarca caldeo di Baghdad, Louis Raphaël Sako, parla del conflitto in corso: la soluzione è sempre quella, due popoli due Stati, ma non si vede chi lavori per la pace --
«Ci sono forti timori che il conflitto israelo-palestinese si allarghi a tutta la regione; le popolazioni sono preoccupate e anche i cristiani, non c’è più una cultura della pace in Medio Oriente, c’è una tendenza verso la violenza, prevale il tribalismo e il sentimento della vendetta che ha una sua sacralità, mentre non c’è la stessa considerazione per il dialogo, la riconciliazione e il perdono così come sono concepiti dai cristiani».
«Ci sono forti timori che il conflitto israelo-palestinese si allarghi a tutta la regione; le popolazioni sono preoccupate e anche i cristiani, non c’è più una cultura della pace in Medio Oriente, c’è una tendenza verso la violenza, prevale il tribalismo e il sentimento della vendetta che ha una sua sacralità, mentre non c’è la stessa considerazione per il dialogo, la riconciliazione e il perdono così come sono concepiti dai cristiani».
Parlando con Domani, il cardinale Louis Raphaël Sako, patriarca di Baghdad e capo della chiesa caldea in Iraq, esprime un forte senso di allarme per il conflitto in corso in Terra Santa e le sue possibili conseguenze sulla regione.
Dal luglio scorso Sako ha trasferito per protesta la propria sede a Erbil capitale del Kurdistan iracheno; il governo infatti aveva deciso di abrogare un decreto emanato nel 2013, che seguiva però una tradizione risalente al califfato Abbaside e all’epoca ottomana, che assegnava al patriarca – nominato dal papa – autorità e giurisdizione sulle proprietà della chiesa e sui cristiani nel paese. La revoca del provvedimento era dovuta alle pressioni delle milizie armate, prevalentemente al servizio dell’Iran, che fanno il bello e il cattivo tempo in Iraq.
Dal luglio scorso Sako ha trasferito per protesta la propria sede a Erbil capitale del Kurdistan iracheno; il governo infatti aveva deciso di abrogare un decreto emanato nel 2013, che seguiva però una tradizione risalente al califfato Abbaside e all’epoca ottomana, che assegnava al patriarca – nominato dal papa – autorità e giurisdizione sulle proprietà della chiesa e sui cristiani nel paese. La revoca del provvedimento era dovuta alle pressioni delle milizie armate, prevalentemente al servizio dell’Iran, che fanno il bello e il cattivo tempo in Iraq.
«La guerra fra Israele e Hamas», continua il patriarca, «è collegata a quanto avviene in Libano, Siria, Iraq. La soluzione è “due popoli due stati”, bisogna però cercare un modo per negoziare con gli altri, provando a lavorare insieme per un accordo capace di soddisfare tutti, israeliani e palestinesi».
«Ma chi lavora a questo negoziato? Le divisioni fra i palestinesi fra Gaza e Ramallah, Hamas e Autorità nazionale palestinese, non aiutano, chi è che li rappresenta? Per dialogare bisogna essere uniti, e poi anche in Israele ci sono fondamentalisti che hanno le loro ambizioni. Infine è necessario rispettare il diritto internazionale: insomma se qualcuno commette un atto malvagio non è giusto punire tutte la sua famiglia».
Il ruolo dei gruppi armati
Uno dei problemi da affrontate in Medio Oriente, per il card. Sako, è quello del dilagare dei gruppi armati fuori controllo che, fra le altre cose, con il loro modo di agire, generano una corruzione diffusa.
«Le milizie», ci dice, «dominano in molti di questi paesi a cominciare dall’Iraq ma non solo; si tratta di corpi militari più forti a volte di quelli statali, degli eserciti, le milizie non sono autonome, vengono finanziate dall’estero, con denaro e con armi, non rispettano i valori né religiosi né umani né morali, allora possono fare qualsiasi cosa, compiere qualsiasi delitto».
«In Iraq c’è questa milizia, nominalmente cristiana, Babilonia, ma che nei fatti non lo è (la milizia Babilonia, in realtà sciita legata all’Iran, ndr), che sta cercando di appropriarsi di tutte le proprietà della chiesa e dei cristiani soprattutto caldei; si tratta di circa 1500 immobili, terreni, abitazioni ecc., nella piana di Ninive; l’obiettivo è quello di cambiare la demografia della regione e a Baghdad e cacciare per sempre i cristiani».
«Di recente», racconta ancora, «l’incidente del matrimonio cristiano a Qaraqosh, con un incendio che ha provocato 126 morti, in apparenza dovuto a negligenze nella manutenzione, sembra una cosa studiata, anche il modo di indagare sull’episodio è stato oggetto di contestazioni. Lo scopo di tutto questo non è quello di intimidire il patriarca caldeo, io rappresento i cristiani e la chiesa, e lo scopo è colpire i cristiani».
Stato e religione
Stato e religione
Pesa anche il disinteresse crescente dell’occidente e dell’Europa in particolare, verso i cristiani del Medio Oriente, un tempo «aiutati e sostenuti dall’Europa, dalla Francia, dall’Italia, dalla Germania e da altri paesi. Ora non si fa più nulla. Riceviamo sostegno dalla Caritas, da Aiuto alla chiesa che soffre, e dall’Oeuvre d’Orient, da altre chiese. Ma quello di cui abbiamo bisogno è un aiuto politico più che materiale. In Medio Oriente bisogna separare la religione dallo stato, è importante costruire un regime civile, questo è un discorso fondamentale».
Il tema è particolarmente caro al cardinale: «L’islam», insiste - deve fare un aggiornamento come ha fatto la chiesa cattolica. Come noi cristiani cerchiamo il messaggio di Dio nella Bibbia, loro devono anche cercare di capire che messaggio c'è nel Corano per la gente di oggi, non per la gente di 1500 anni fa».
«Noi siamo le radici del cristianesimo, se non ci saranno più cristiani in Medio Oriente», spiega il patriarca, «non ci saranno più radici e per questo è molto importante venire a visitare questi cristiani per vedere con loro cosa fare. È importante anche formare un quadro politico-diplomatico capace di dialogare con i governi della regione».
Cristiani e nazionalismi
Cristiani e nazionalismi
Ma anche i cristiani nella regione devono imparare a fare la loro parte, il che significa per esempio, «parlare con una voce sola sul piano politico e sociale, qui abbiamo molte chiese con tradizioni molto antiche, ma sono piccole chiese: ci sono caldei, cattolici, maroniti, melchiti, armeni, copti, ortodossi, assiri, non c’è unità fra noi; va bene che ognuno mantenga i suoi riti, ma sul piano pubblico serve unità per farsi ascoltare e rispettare, perché poi la voce dei cristiani in Medio Oriente è importante. La nostra unità è una testimonianza per gli altri».
D’altro canto, aggiunge Sako, «anche i cristiani risentono del nazionalismo e del settarismo etnico, per questo bisogna lavorare sul principio di cittadinanza, i cristiani non possono essere considerati cittadini di seconda fascia, inferiori. Tutto deve essere basato sulla cittadinanza e sul rispetto dei diritti dell’uomo, anche se adesso non c’è molta speranza che questo possa realizzarsi».
Infine «il dialogo con gli altri è molto importante e certo bisogna anche saper dialogare, aiutare i musulmani a capire la nostra fede, se noi sapremo lavorare insieme avremo un futuro migliore; dobbiamo collaborare con i musulmani perché noi siamo iracheni a tutti gli effetti, e dobbiamo costruire con loro un regime civile, non c’è futuro nel settarismo».
Il vescovo non è un principe
Infine «il dialogo con gli altri è molto importante e certo bisogna anche saper dialogare, aiutare i musulmani a capire la nostra fede, se noi sapremo lavorare insieme avremo un futuro migliore; dobbiamo collaborare con i musulmani perché noi siamo iracheni a tutti gli effetti, e dobbiamo costruire con loro un regime civile, non c’è futuro nel settarismo».
Il vescovo non è un principe
Ma se lo sguardo del card. Sako è rivolto in modo attento alla sua terra e ai paesi mediorientali, in queste settimane ha partecipato al sinodo convocato dal papa a Roma per discutere sul futuro prossimo della chiesa e sulle forme dell’annuncio evangelico nell’epoca che stiamo vivendo.
«Penso che questo passo era molto necessario e urgente» afferma in merito all’assise che si sta avviando alla conclusione (fra un anno, nell’ottobre del 2024, padri e madri sinodali si ritroveranno a Roma per assumere delle decisioni in modo definitivo).
«Dopo 2000 anni», osserva il patriarca caldeo, «noi dobbiamo pensare in che direzione andiamo, il mondo è cambiato, la mentalità è cambiata. Il mondo è diventato un villaggio digitale. Dobbiamo chiederci come parlare di Dio e Cristo con la gente, come formare i cristiani, con quale linguaggio, attraverso quali forme; e anche i ruoli nella chiesa vanno rivisti, va cambiata la struttura: certo, sono tutti i ruoli di servizio e l'autorità non va intesa come sovranità, diciamo. Bisogna superare il modello costantiniano dell'unità fra chiesa e stato».
È invece importante, prosegue il cardinale, «riformare la struttura in senso sinodale, il vescovo non può essere più da solo al comando e prendere le decisioni; in Iraq oltre al sinodo annuale, io ho un sinodo permanente con il quale prendo le decisioni, c’è il concilio diocesano ci sono dentro laici, donne, consacrati. Il vescovo inteso come uomo superiore agli altri, come fosse un principe, è una conseguenza della concezione imperiale della chiesa, del modello nato dopo Costantino, bisogna aprire le porte ai battezzati».
«L’idea per i tempi in cui viviamo», conclude Sako, «dovrebbe essere quello della famiglia, la chiesa in famiglia. Siamo fratelli e sorelle diversi, ma noi siamo membri della stessa famiglia, abbiamo responsabilità diverse, ma siamo uniti, camminiamo insieme e aiutiamo gli altri. Io nel corso dell’assemblea, ho fatto un intervento, ho detto che la sinodalità e solidarietà, ecco questo è importante io non cammino da solo ma con gli altri e sono attento a loro, nello stesso modo loro mi aiutano».