By Asia News
Gli irakeni devono “aprire un dialogo politico coraggioso” e sviluppare una “strategia concordata” da tutti gli schieramenti politici, adoperandosi “per la sua attuazione” per uscire “dalle crisi e dalle calamità correnti”. È quanto scrive il primate caldeo, il card Louis Raphael Sako, in un accorato appello al popolo irakeno e alla leadership politica e istituzionale, pubblicato sul sito del patriarcato e inviato per conoscenza ad AsiaNews. “Gli irakeni - avverte - devono avere fiducia in loro stessi, nelle loro capacità e unità” sfidando le difficoltà, i problemi e i pericoli che minacciano ancora oggi il futuro della nazione.
Gli irakeni devono “aprire un dialogo politico coraggioso” e sviluppare una “strategia concordata” da tutti gli schieramenti politici, adoperandosi “per la sua attuazione” per uscire “dalle crisi e dalle calamità correnti”. È quanto scrive il primate caldeo, il card Louis Raphael Sako, in un accorato appello al popolo irakeno e alla leadership politica e istituzionale, pubblicato sul sito del patriarcato e inviato per conoscenza ad AsiaNews. “Gli irakeni - avverte - devono avere fiducia in loro stessi, nelle loro capacità e unità” sfidando le difficoltà, i problemi e i pericoli che minacciano ancora oggi il futuro della nazione.
Dalle tensioni fra Iran e Stati Uniti, che rischiano di coinvolgere l’Iraq, alla difficile ripresa di una nazione segnata
dalle violenze fondamentaliste e dagli anni bui di dominio dello Stato
islamico, sconfitto a livello militare ma non sul piano ideologico, sono
molte le sfide da affrontare. In questo contesto il patriarca caldeo
invita i politici ad “assumersi le responsabilità” per “preservare i
risultati raggiunti”, evitando di restare invischiati “in una guerra per
procura” di fronte alla crisi in atto fra Washington e Teheran.
Un conflitto che, se dovesse scoppiare, provocherà “rovina,
distruzione e frammentazione” spingendo sempre più persone “a emigrare” e
causando “più vittime nell’intera regione”. Ecco perché, spiega il card
Sako, è sempre più urgente operare per la pace e lavorare secondo una
“visione futura” di una nazione che sia fondata sulle basi “della
democrazia, dello Stato di diritto e del rispetto della diversità”.
Rafforzando l’impegno comune “alla pace e alla prosperità”.
In un momento critico per la vita dell’Iraq e di tutto il Medio
oriente, il primate caldeo riserva una riflessione particolare per la
comunità cristiana che, negli ultimi anni, ha abbandonato
in massa la regione in cerca di salvezza e riparo in Nord America,
Europa e Australia. “I cristiani - avverte - sono una componente
essenziale”; essi sono stati fra i primi a difendere “i valori della
cittadinanza e della fratellanza umana”, preservando “le città, le
chiese e i monasteri dall’alba del cristianesimo fino alla caduta del
regime [di Saddam Hussein] nel 2003”.
Il crollo del precedente sistema ha aperto le porte all’avanzata
jihadista e fondamentalista, favorito l’ingresso di terroristi che hanno
rapito e ucciso fedeli e sacerdoti, fatto saltare in aria le chiese come è accaduto alla siro-cattolica di Nostra Signora della liberazione a Baghdad.
Il porporato ricorda poi l’ascesa dell’Isis e la fuga dei cristiani da
Mosul e dalla piana di Ninive, con il corollario di luoghi di culto ed
edifici storici “bruciati o fatti saltare in aria”. “Oggi - afferma -
nonostante la liberazione delle loro aree, non hanno ricevuto alcun
sostegno dal governo irakeno per ricostruire le case e riparare le
infrastrutture”.
I cristiani, oggi, sono suddivisi in 14 chiese la più importante
delle quali è la caldea, che - accusa il porporato - ha formato “partiti
politici e organizzazioni che non hanno fatto nulla per loro”. Il
numero è “diminuito drasticamente” dopo il 2003, anche a causa del
terrorismo e dalla progressiva esclusione dalla vita politica e
istituzionale del Paese. La comunità locale, prosegue, “è stata
emarginata” e sono state emanate “leggi sleali nei loro confronti”; il
“culmine” è rappresentato dall’ascesa dell’Isis e dalla successiva
perdita delle proprietà e della fiducia in un futuro. “Molti sono
emigrati […] per garantire l’educazione dei figli e il loro futuro”.
Ecco perché, conclude il patriarca caldeo, il governo, le autorità
religiose musulmane e i blocchi politici devono “prendere sul serio le
preoccupazioni dei cristiani, rassicurarli e incoraggiarli a rimanere
nella loro terra”. I cristiani “contribuiranno a sensibilizzare gli
irakeni sui valori di cittadinanza, tolleranza e rispetto e il
consolidamento della convivenza su questa terra”.