By Fides
Le manovre e le pressioni delle forze politiche in vista delle prossime elezioni politiche irachene, in programma il 12 maggio, stanno condizionando pesantemente il processo di ritorno alle proprie aree di residenza degli sfollati che avevano abbandonato Mosul e ampie aree della provincia di Ninive durante gli anni del regime jihadista imposto dai miliziani del sedicente Stato Islamico (Daesh). Lo sostengono in particolare i militanti dell'Unione Patriottica del Kurdistan (UPK), che accusano i rivali del Partito Democratico del Kurdistan (PDK), di ostacolare il ritorno alle proprie case dei profughi di Mosul e della provincia di Ninive ancora ospitati nei campi presso Erbil, allo scopo di spingerli a votare per i propri candidati alle prossime elezioni politiche.
In tale operazione, i militanti del PDK – sostengono i rivali dell'UPK - avrebbero anche disseminato di check point le vie di comunicazione che uniscono il governatorato di Erbil con Mosul e diversi distretti della provincia di Ninive, compreso quello di Sinjar, abitato in larga parte dalla minoranza yazida.
Sono almeno 800mila i rifugiati iracheni interni che continuano a vivere nei campi allestiti nelle regioni di Erbil e Dohuk. Tra loro sono compresi anche molti delle decine di migliaia di cristiani che erano fuggiti dai propri villaggi della piana di Ninive nell'estate del 2014, davanti all'offensiva dei jihadisti di Daesh. Anche attivisti della componente Yazida, negli ultimi giorni hanno fatto riferimento a pressioni messe in atto dal PDK per ottenere voti e appoggi elettorali da parte di quella comunità.
I militanti dell'UPK hanno sollecitato il governo federale, la Commissione elettorale e il Parlamento iracheno a non rinunciare alle regole elettorali che dispongono il ritorno a casa degli sfollati, per consentire loro di esercitare il diritto di voto nelle proprie aree d'origine. Agli allarmi dell'UPK e di esponenti yazidi si uniscono quelli lanciati da Hanin al Qaddo, parlamentare appartenente alla componente minoritaria Shabak, che ha denunciato l'esistenza di un piano volto a dispiegare truppe statunitensi nella provincia di Ninive durante le elezioni, su richiesta e a garanzia della componente sunnita.
In questi giorni il redentorista Bashar Warda, Arcivescovo caldeo di Erbil, nel corso di conferenze e interviste realizzate negli USA ha riferito che i cristiani rimasti in Iraq dopo gli ultimi anni di conflitti e violenze sarebbero ormai meno di 200mila.
Le manovre e le pressioni delle forze politiche in vista delle prossime elezioni politiche irachene, in programma il 12 maggio, stanno condizionando pesantemente il processo di ritorno alle proprie aree di residenza degli sfollati che avevano abbandonato Mosul e ampie aree della provincia di Ninive durante gli anni del regime jihadista imposto dai miliziani del sedicente Stato Islamico (Daesh). Lo sostengono in particolare i militanti dell'Unione Patriottica del Kurdistan (UPK), che accusano i rivali del Partito Democratico del Kurdistan (PDK), di ostacolare il ritorno alle proprie case dei profughi di Mosul e della provincia di Ninive ancora ospitati nei campi presso Erbil, allo scopo di spingerli a votare per i propri candidati alle prossime elezioni politiche.
In tale operazione, i militanti del PDK – sostengono i rivali dell'UPK - avrebbero anche disseminato di check point le vie di comunicazione che uniscono il governatorato di Erbil con Mosul e diversi distretti della provincia di Ninive, compreso quello di Sinjar, abitato in larga parte dalla minoranza yazida.
Sono almeno 800mila i rifugiati iracheni interni che continuano a vivere nei campi allestiti nelle regioni di Erbil e Dohuk. Tra loro sono compresi anche molti delle decine di migliaia di cristiani che erano fuggiti dai propri villaggi della piana di Ninive nell'estate del 2014, davanti all'offensiva dei jihadisti di Daesh. Anche attivisti della componente Yazida, negli ultimi giorni hanno fatto riferimento a pressioni messe in atto dal PDK per ottenere voti e appoggi elettorali da parte di quella comunità.
I militanti dell'UPK hanno sollecitato il governo federale, la Commissione elettorale e il Parlamento iracheno a non rinunciare alle regole elettorali che dispongono il ritorno a casa degli sfollati, per consentire loro di esercitare il diritto di voto nelle proprie aree d'origine. Agli allarmi dell'UPK e di esponenti yazidi si uniscono quelli lanciati da Hanin al Qaddo, parlamentare appartenente alla componente minoritaria Shabak, che ha denunciato l'esistenza di un piano volto a dispiegare truppe statunitensi nella provincia di Ninive durante le elezioni, su richiesta e a garanzia della componente sunnita.
In questi giorni il redentorista Bashar Warda, Arcivescovo caldeo di Erbil, nel corso di conferenze e interviste realizzate negli USA ha riferito che i cristiani rimasti in Iraq dopo gli ultimi anni di conflitti e violenze sarebbero ormai meno di 200mila.