By Asia News
di Joseph Mahmoud
Si inasprisce la disputa fra il governo
centrale irakeno e l'amministrazione regionale del Kurdistan per il
controllo della città di Kirkuk, nel nord del Paese, e della sua immensa
ricchezza petrolifera, i giacimenti e le riserve quantificate - secondo
stime recenti - in 10 miliardi di barili. Essa è un mosaico di etnie,
lingue e religioni, con una popolazione pari a 1,3 milioni di abitanti
suddivisi fra musulmani, curdi arabi e turcomanni. Per questo
l'arcivescovo locale, mons. Louis Sako, lancia un invito per la "pace e
dialogo" a tutte le fazioni in lotta.
Il governo centrale, a maggioranza sciita e guidato da Nouri
al-Maliki, cerca di imporre la sua autorità sulla città settentrionale,
disponendo l'invio dell'esercito per mantenere il controllo e limitare
la presenza curda attraverso le milizie peshmerga, il fronte autonomista
combattente. La fazione curda è contraria all'intervento di Baghdad e
non sono mancati scontri: uno di questi è avvenuto a Tuzkhurmato, circa
50 km a sud di Kirkuk.
La città vive un momento di fortissima tensione; la gente teme
un'escalation delle violenze e ha paura di un conflitto per la conquista
del territorio e la supremazia di una delle fazioni in lotta. Si
ripetono le minacce e gli avvertimenti reciproci fra il premier irakeno e
la leadership curda della regione.
Per scongiurare un nuovo bagno di sangue, l'arcivescovo di Kirkuk ha
inviato a tutte le parti in causa un appello alla calma e al dialogo,
mirato a salvaguardare la salute della popolazione civile, che si mostra
sempre più sfiduciata e non crede alle promesse di "stabilità e
sicurezza". Nel suo intervento, mons. Louis Sako sottolinea che "gli
iracheni hanno sofferto molto, i loro occhi sono stanchi di aspettare
giorni migliori, non hanno la capacità né la forza di subire nuovi
conflitti". Il prelato aggiunge che "la loro preoccupazione, la loro
speranza e la loro preghiera sono quelle di vivere in tutta sicurezza e
stabilità".
In qualità di irakeno e di cittadino di Kirkuk, continua
l'arcivescovo, "vorrei unire la mia voce alle voci di molti uomini e
donne i di Kirkuk" e di "tanti imam musulmani, per chiedere a tutti i
partiti politici e al governo centrale e regionale del Kurdistan, di
calmare la situazione e sedersi attorno a un tavolo per negoziare e
dialogare in modo sincero". Perché, spiega ancora il prelato, "non c'è
pace senza dialogo". L'obiettivo è dar vita a "un ambiente più sicuro,
in cui vige la giustizia, in cui ci sono dignità e gioia". Ed è compito
degli amministratori e dei politici, conclude mons. Sako, "essere
messaggeri di pace" e "il cielo benedirà tutti i loro sforzi".