By Zenit
di padre John Flynn LC
Sempre più cristiani vivono sotto la minaccia di altri gruppi
religiosi. Lo afferma il giornalista Rupert Shortt in un suo recente
libro.
Shortt, che è editorialista di temi religiosi sul Times Literay Supplement e autore di numerosi libri sulle medesime tematiche, ha recentemente pubblicato il suo ultimo saggio Christianophobia (Random House).
Ben prima degli attacchi terroristici dell’11 settembre, molte
comunità cristiane erano già vittime dell’intolleranza, afferma l’autore
nell’introduzione, e nell’ultimo decennio il problema è drammaticamente
degenerato.
“Questo team dovrebbe essere un argomento di politica estera di primo piano per parecchi governi del mondo”, scrive Shortt.
Lo studioso mette in luce le numerose difficoltà affrontate dai
cristiani in vari paesi a maggioranza musulmana. Coloro che si
convertono al Cristianesimo in tali paesi, vanno incontro a dure
punizioni e c’è anche il serio rischio che le Chiese cristiane possano
sparire dalle terre bibliche del Medio Oriente.
Shortt cita poi un indagine condotta nel 2008 da Freedom House, che
dimostra che, se qualche paese musulmano libero esiste davvero, come ad
esempio il Senegal, si tratta di eccezioni.
“C’è un problema con l’Islam o qualcosa di simile?”, si è domandato
Shortt. Ci sono elementi dell’Islam che giustificano davvero la
violenza, ma l’autore ha anche ritenuto che riportare citazioni
selettive dal Corano non dimostra un granché.
È un dato di fatto, comunque, prosegue lo studioso, che il diritto di
criticare la fede dominante è ben più limitato che nei paesi cristiani.
Al tempo stesso l’Islam non ha sviluppato, a differenza del
Cristianesimo, un atteggiamento più autocritico o tollerante.
Shortt specifica che il suo libro non è basato sul presupposto di uno
scontro di civiltà, né manca di autocritica sulle mancanze del
Cristianesimo in passato.
La fede, aggiunge l’autore, ha mobilitato milioni di persone nella
lotta per la democrazia e per il sostegno ai diritti umani, così come
per il sollievo dell’umana sofferenza. Ha anche giocato, tuttavia, un
ruolo nelle guerre e nei conflitti.
La Primavera Araba
L’Egitto è uno dei paesi presi in esame da Shortt: qui la caduta
dell’ex presidente Hosni Mubarak non ha portato alcun sollievo alle
difficoltà dei cristiani locali.
Dopo aver documentato un ampio numero di casi di persecuzione negli
anni precedenti alla Primavera Araba, Shortt descrive vari episodi di
anti-cristianesimo, seguiti dal rovesciamento del governo in Egitto.
In un altro capitolo Shortt analizza la situazione in Iraq,
affermando che poche popolazioni cristiane hanno sofferto quanto quelle
irakene degli ultimi anni. Le tribolazioni hanno portato a un esodo di
cristiani, il cui numero in Iraq è passato da 1,2 milioni a meno di
200mila.
Sarebbe sbagliato pensare che il regime di Saddam Hussein proteggesse
i Cristiani, ha precisato l’autore, dal momento in cui i Cristiani
hanno sofferto discriminazioni e costrizioni alla fuga negli ultimi
decenni. La situazione, comunque, è peggiorata drammaticamente dopo
l’invasione americana del 2003, con il clero e i fedeli cristiani laici
nel mirino dei terroristi.
All’inizio del 2011 non meno di 63 chiese sono state bombardate o invase dal 2003.
In Occidente c’è molta ignoranza sulla ricca storia cristiana della
regione, ha commentato Shortt. Per molti secoli l’Iraq ha avuto una
comunità cristiana con una ricca vita culturale e un ampio numero di
chiese e monasteri ma le prospettive sono ora molto tristi per i
Cristiani.
Autorità
La Turchia, il Pakistan, la Nigeria e l’Indonesia sono gli altri
paesi presi in esame nel libro, ma Shortt dà anche uno sguardo a nazioni
non a maggioranza musulmana. Elenca, ad esempio, i molti atti di
persecuzione patiti dai cristiani in India e le restrizioni da parte del
duro governo cinese.
Shortt, inoltre, esamina brevemente ulteriori paesi come Cuba e
Venezuela. In relazione a Cuba, nota che una somiglianza tra i governi
musulmani e il comunismo è la negazione di fonti di autorità
alternative.
La situazione dei Cristiani è migliorata negli ultimi anni, ma Cuba non può ancora essere classificata come una società aperta.
Nelle sue conclusioni Shortt aggiunge che le ingiustizie commesse
contro i Cristiani sono scarsamente riportate dalla stampa. Ciò è dovuto
in parte al pensiero dominante che considera la religione come una
grande causa di conflitto, più che ad altri fattori.
Poiché molti ritengono la religione sia una causa di simpatia
irrazionale per i comportamenti violenti, poiché la difficile situazione
dei credenti è ignorata. Shortt afferma anche che in alcune ex colonie
occidentali, il Cristianesimo è visto da alcuni come un derivato del
potere imperiale e che in paesi come il Pakistan i Cristiani sono visti
come una sorta di anomalia.
Shortt conclude nel segno di un cauto ottimismo, esprimendo la
speranza che, così come il Cristianesimo si è evoluto, lo stesso potrà
avvenire per l’Islam. In che misura ciò avverrà è difficile dirlo,
ammette l’autore, concludendo però con l’affermazione della virtù della
speranza. Essa è una virtù di cui molti cristiani avranno bisogno in
dosi sempre più ampie, viste le circostanze sempre più difficili.
[Traduzione dall’inglese a cura di Luca Marcolivio]