By Asia News
Habib Mohammed Hadi Sadr, ambasciatore della Repubblica dell'Iraq presso la Santa Sede, ha scritto questo articolo sulla posizione e il ruolo dei cristiani arabi nel momento attuale in Medio Oriente.
La primavera araba interpella i cristiani arabi; c’è un’escalation di critiche nei loro confronti per la posizione che alcuni di loro hanno espresso a proposito delle rivolte nei Paesi arabi; alcuni analisti ritengono che una rinascita dei cristiani arabi avverrà grazie a ciò che sta per accadere, nel mondo arabo, e non in base a quello che è passato. Cristo non è mai stato un modello per i dittatori; e c’è chi ritiene che un vero, sincero dialogo islamo-cristiano possa nascere proprio con la rivoluzione, oppure nel periodo che seguirà alla rivoluzione.
Ci sono persone che criticano l’atteggiamento di una parte dei cristiani arabi nei confronti dei movimenti di rivolta in corso, e ricordano con ammirazione la nobile posizione che i cristiani arabi hanno avuto nei confronti dell’Impero ottomano, al tempo dei movimenti di liberazione arabi, e l’atteggiamento molto negativo dei cristiani verso le politiche francesi e britanniche in Medio Oriente, e in particolare nei confronti dei piani e comportamenti dei sionisti nei territori arabi occupati.
In realtà dobbiamo analizzare a fondo le diverse posizioni, in maniera neutrale e realistica. E allora dobbiamo riconoscere un primo fatto importante: la componente arabo-cristiana è una minoranza all’interno delle società in cui vive. Non si può negare l’importanza e il peso del loro ruolo, attraverso diverse epoche storiche, ma il numero conta, e il peso della maggioranza è completamente diverso da quello della minoranza. La minoranza è allarmata. Teme che gli sconvolgimenti politici, sociali ed economici che avvengono in maniera imprevista, che si svolgono in base a emozioni, e non a programmi, e che non tengono conto delle condizioni interne ed internazionali, possano avere conseguenze gravi sulla vita delle minoranze, e aprire la strada a un futuro ignoto, e terribile.
Le prime rivolte arabe hanno ricevuto il pieno consenso dal mondo arabo; ma oggi non è così. Per esempio le società nei cui Paesi avviene una rivolta – Siria, Yemen, o Bahrain – soffrono per le divisioni con cui si affronta la prospettiva di cambiamento e si chiedono le riforme democratiche. Abbiamo luoghi dove si chiede una soluzione pacifica, e si contesta l’ingerenza straniera; ma altrove c’è chi usa la violenza, e lo scontro, e c’è chi si affida alla protesta armata e usa forze straniere per rovesciare il regime. La situazione è resa più difficile dall’atteggiamento della comunità internazione e dal Consiglio di sicurezza dell’Onu. Ogni parte agisce secondo i suoi interessi, le sue analisi e le sue strategie per operare nel presente e nel futuro della regione. E questa situazione fa sì che i cristiani arabi attendano prima di impegnarsi, per non commettere errori nella valutazione delle probabilità.
Ed è anche giusto che i cristiani diffidino di queste proteste, temendo che esse siano guidate da forze radicali islamiche che vogliono conquistare il potere, basandosi sul fatto che sono più organizzate e hanno una grande, efficace capacità di mescolare le carte. Sono forze che hanno versato sangue cristiano e dissacrato le chiese. Allora i cristiani arabi si trovano a scegliere fra accettare sistemi autoritari, ma con una certa dose di laicità, che garantiscono la libertà religiosa, o sistemi di tipo totalmente diverso. A loro scegliere quello che sembra il male minore.
Ciò che rende il problema complesso, e lo scenario confuso, è la mancanza di un’alternativa convincente ai sistemi che si desidera cambiare. Inoltre i movimenti di protesta non hanno un comando unificato, una visione chiara, programmi e tendenze precisi. E’ una situazione che permette agli opportunisti di cavalcare l’onda di protesta e di condurre la protesta stessa verso obiettivi estremisti. I cristiani arabi fanno uso con saggezza della loro posizione per prendere una decisione. Vedono il pericolo dei conflitti fra manifestanti e potere, l’uccisione di persone innocenti, la distruzione delle proprietà e il blocco degli interessi. Pensano che le soluzioni pacifiche, cercare le vie per un dialogo sobrio e discreto fra popolo e governanti, aprire la strada alle riforme necessarie e alla ristrutturazione sia il modo migliore per scongiurare la possibilità di interventi esterni nell’acqua resa torbida dalle rivolte.
L’aspirazione a soddisfare il desiderio dei cittadini arabi a un modello democratico che vuole ottenere il trasferimento pacifico del potere con il ricorso alle urne è un diritto dei cittadini; ma si raggiunge con i diritti costituzionali, non con il metodo e il linguaggio dei proiettili.
I cristiani arabi non sono migliori dei loro fratelli, ma portano una voce molto potente di saggezza nella gestione di questa crisi. Anche loro sono vittime di ciò che i regimi dittatoriali dei Paesi arabi hanno prodotto, e cioè l’emarginazione nel processo decisionale, il silenzio e una condizione di cittadini di seconda categoria; e per questo motivo un gran numero di loro ha deciso di emigrare dal suo Paese, alla ricerca di libertà e dignità.
Queste ragioni hanno portato a una chiusura, al declino demografico e al loro ruolo attuale. Questa regione è la loro casa natale, la culla storica delle religioni monoteiste.
La Santa Sede, preoccupata, ha deciso la convocazione di un Sinodo dei vescovi dedicato al Medio Oriente nel mese di ottobre dell’anno scorso, per studiare questo grave problema e prendere le misure necessarie a fermare questa tendenza. La convinzione di base è che la ricchezza di questa regione sta nella pluralità e nella diversità che esiste all’interno delle varie nazioni: religiosa, di lingua, di storia; e la coesistenza fra le diverse fedi. L’etica e la cultura cristiana sono centrate su un sistema di valori che si oppongono all’ingiustizia, lontani dalla corruzione, e aperti al concetto di libertà. Il messaggio di Gesù Cristo ai popoli è il rifiuto dell’autoritarismo, e la promozione della virtù; la rinuncia a ogni forma di odio, di violenza e di coercizione.
Quindi dobbiamo accettare, dopo tutto quello che abbiamo visto, l’atteggiamento dei cristiani, incoraggiandoli a interpretare ciò che è giusto e logico, a seconda del contesto, e a non dare importanza ad accuse infondate; sono nostri compatrioti, hanno tutto in comune con noi, Patria, scopo e destino.
Habib Mohammed Hadi Sadr, ambasciatore della Repubblica dell'Iraq presso la Santa Sede, ha scritto questo articolo sulla posizione e il ruolo dei cristiani arabi nel momento attuale in Medio Oriente.
La primavera araba interpella i cristiani arabi; c’è un’escalation di critiche nei loro confronti per la posizione che alcuni di loro hanno espresso a proposito delle rivolte nei Paesi arabi; alcuni analisti ritengono che una rinascita dei cristiani arabi avverrà grazie a ciò che sta per accadere, nel mondo arabo, e non in base a quello che è passato. Cristo non è mai stato un modello per i dittatori; e c’è chi ritiene che un vero, sincero dialogo islamo-cristiano possa nascere proprio con la rivoluzione, oppure nel periodo che seguirà alla rivoluzione.
Ci sono persone che criticano l’atteggiamento di una parte dei cristiani arabi nei confronti dei movimenti di rivolta in corso, e ricordano con ammirazione la nobile posizione che i cristiani arabi hanno avuto nei confronti dell’Impero ottomano, al tempo dei movimenti di liberazione arabi, e l’atteggiamento molto negativo dei cristiani verso le politiche francesi e britanniche in Medio Oriente, e in particolare nei confronti dei piani e comportamenti dei sionisti nei territori arabi occupati.
In realtà dobbiamo analizzare a fondo le diverse posizioni, in maniera neutrale e realistica. E allora dobbiamo riconoscere un primo fatto importante: la componente arabo-cristiana è una minoranza all’interno delle società in cui vive. Non si può negare l’importanza e il peso del loro ruolo, attraverso diverse epoche storiche, ma il numero conta, e il peso della maggioranza è completamente diverso da quello della minoranza. La minoranza è allarmata. Teme che gli sconvolgimenti politici, sociali ed economici che avvengono in maniera imprevista, che si svolgono in base a emozioni, e non a programmi, e che non tengono conto delle condizioni interne ed internazionali, possano avere conseguenze gravi sulla vita delle minoranze, e aprire la strada a un futuro ignoto, e terribile.
Le prime rivolte arabe hanno ricevuto il pieno consenso dal mondo arabo; ma oggi non è così. Per esempio le società nei cui Paesi avviene una rivolta – Siria, Yemen, o Bahrain – soffrono per le divisioni con cui si affronta la prospettiva di cambiamento e si chiedono le riforme democratiche. Abbiamo luoghi dove si chiede una soluzione pacifica, e si contesta l’ingerenza straniera; ma altrove c’è chi usa la violenza, e lo scontro, e c’è chi si affida alla protesta armata e usa forze straniere per rovesciare il regime. La situazione è resa più difficile dall’atteggiamento della comunità internazione e dal Consiglio di sicurezza dell’Onu. Ogni parte agisce secondo i suoi interessi, le sue analisi e le sue strategie per operare nel presente e nel futuro della regione. E questa situazione fa sì che i cristiani arabi attendano prima di impegnarsi, per non commettere errori nella valutazione delle probabilità.
Ed è anche giusto che i cristiani diffidino di queste proteste, temendo che esse siano guidate da forze radicali islamiche che vogliono conquistare il potere, basandosi sul fatto che sono più organizzate e hanno una grande, efficace capacità di mescolare le carte. Sono forze che hanno versato sangue cristiano e dissacrato le chiese. Allora i cristiani arabi si trovano a scegliere fra accettare sistemi autoritari, ma con una certa dose di laicità, che garantiscono la libertà religiosa, o sistemi di tipo totalmente diverso. A loro scegliere quello che sembra il male minore.
Ciò che rende il problema complesso, e lo scenario confuso, è la mancanza di un’alternativa convincente ai sistemi che si desidera cambiare. Inoltre i movimenti di protesta non hanno un comando unificato, una visione chiara, programmi e tendenze precisi. E’ una situazione che permette agli opportunisti di cavalcare l’onda di protesta e di condurre la protesta stessa verso obiettivi estremisti. I cristiani arabi fanno uso con saggezza della loro posizione per prendere una decisione. Vedono il pericolo dei conflitti fra manifestanti e potere, l’uccisione di persone innocenti, la distruzione delle proprietà e il blocco degli interessi. Pensano che le soluzioni pacifiche, cercare le vie per un dialogo sobrio e discreto fra popolo e governanti, aprire la strada alle riforme necessarie e alla ristrutturazione sia il modo migliore per scongiurare la possibilità di interventi esterni nell’acqua resa torbida dalle rivolte.
L’aspirazione a soddisfare il desiderio dei cittadini arabi a un modello democratico che vuole ottenere il trasferimento pacifico del potere con il ricorso alle urne è un diritto dei cittadini; ma si raggiunge con i diritti costituzionali, non con il metodo e il linguaggio dei proiettili.
I cristiani arabi non sono migliori dei loro fratelli, ma portano una voce molto potente di saggezza nella gestione di questa crisi. Anche loro sono vittime di ciò che i regimi dittatoriali dei Paesi arabi hanno prodotto, e cioè l’emarginazione nel processo decisionale, il silenzio e una condizione di cittadini di seconda categoria; e per questo motivo un gran numero di loro ha deciso di emigrare dal suo Paese, alla ricerca di libertà e dignità.
Queste ragioni hanno portato a una chiusura, al declino demografico e al loro ruolo attuale. Questa regione è la loro casa natale, la culla storica delle religioni monoteiste.
La Santa Sede, preoccupata, ha deciso la convocazione di un Sinodo dei vescovi dedicato al Medio Oriente nel mese di ottobre dell’anno scorso, per studiare questo grave problema e prendere le misure necessarie a fermare questa tendenza. La convinzione di base è che la ricchezza di questa regione sta nella pluralità e nella diversità che esiste all’interno delle varie nazioni: religiosa, di lingua, di storia; e la coesistenza fra le diverse fedi. L’etica e la cultura cristiana sono centrate su un sistema di valori che si oppongono all’ingiustizia, lontani dalla corruzione, e aperti al concetto di libertà. Il messaggio di Gesù Cristo ai popoli è il rifiuto dell’autoritarismo, e la promozione della virtù; la rinuncia a ogni forma di odio, di violenza e di coercizione.
Quindi dobbiamo accettare, dopo tutto quello che abbiamo visto, l’atteggiamento dei cristiani, incoraggiandoli a interpretare ciò che è giusto e logico, a seconda del contesto, e a non dare importanza ad accuse infondate; sono nostri compatrioti, hanno tutto in comune con noi, Patria, scopo e destino.