By Asia News
di Joseph Mahmoud
“La chiusura è segno della morte. L’apertura è segno di crescita e integrazione. Ciascuno deve iniziare questo lavoro a partire da sé e con il desiderio di ricostruire”.
È questo l’invito di mons. Louis Sako, arcivescovo di Kirkuk, alle diverse realtà etniche e religiose dell’Iraq in occasione della conferenza sul tema “Insieme rinforziamo la convivenza a Kirkuk e in Iraq”.
L’evento si è tenuto oggi ed è stato organizzato dall’arcivescovado cattolico caldeo in collaborazione con l’Associazione per i popoli minacciati di Erbil (Kurdistan). All’incontro hanno partecipato circa 150 fra leader religiosi e politici delle comunità cristiane e musulmane di etnia curda, araba, turcomanna, caldea, assira yazida, mandea. Insieme a mons. Sako sono intervenuti tre rappresentanti delle comunità cristiana e musulmana di etnia kurda, araba e turkmena: Umer Ibrahim, Abdul Karim Khalifa e Adil Salih. Essi hanno analizzato il tema della convivenza sul piano socio- culturale, educativo – psicologico e religioso.
Riportiamo di seguito i passi più significativi del discorso dell’arcivescovo di Kirkuk, che ha incentrato il suo intervento sul pluralismo religioso e la coesistenza pacifica fra le varie comunità del Paese.
“L’Iraq – afferma mons. Sako - è formato da vari gruppi, che costituiscono un mosaico di culture e civiltà, religioni, sette e linguaggi con più facce e colori. Tutti però portano con sé un patrimonio, che ci lega in profondità. Il nostro Paese ha ora bisogno di un modello culturale e sociale che promuova l’unità attraverso il pluralismo, la tolleranza e la convivenza armoniosa fra le varie religioni ed etnie. La chiusura è segno della morte. L’apertura è segno di crescita e integrazione. Ciascuno deve iniziare questo lavoro a partire da sé e con il desiderio di ricostruire l’Iraq”.
Secondo l’arcivescovo “le religioni devono agire in modo positivo”, “smantellando il clima di odio e incoraggiare una partecipazione responsabile della popolazione” per raggiungere una maggiore giustizia e armonia fra gli uomini. Per fare ciò il prelato sottolinea l’importanza di una politica che favorisca l’unità e non gli interressi dei singoli gruppi, causa di divisioni e conflitti.
Mons. Sako spiega che occorre un dialogo fra le religioni per “conoscersi e imparare a vivere insieme”, "ma questo incontro non può avvenire senza la tutela della libertà religiosa”. Secondo l’arcivescovo gli odii del moderno Iraq sono stati generati da una eccessiva politicizzazione della religione. Il prelato indica alcune proposte pratiche per favorire l’unità e la separazione fra religione e politica.
1) Ciascun iracheno deve essere disponibile a incontrare l’altro, con il desiderio di conoscerlo, eliminando la tendenza a esaltare le differenze a discapito del confronto.
2) La necessità di spingere i politici a creare una costituzione che garantisca diritti e doveri uguali per tutti i cittadini.
3) Plasmare un sistema educativo che spinga all’unità nazionale, eliminando nei programmi scolastici, nei libri e nelle istituzioni religiose, espressioni che invitano all’odio e all’emarginazione di un gruppo religioso rispetto a un altro.
di Joseph Mahmoud
“La chiusura è segno della morte. L’apertura è segno di crescita e integrazione. Ciascuno deve iniziare questo lavoro a partire da sé e con il desiderio di ricostruire”.
È questo l’invito di mons. Louis Sako, arcivescovo di Kirkuk, alle diverse realtà etniche e religiose dell’Iraq in occasione della conferenza sul tema “Insieme rinforziamo la convivenza a Kirkuk e in Iraq”.
L’evento si è tenuto oggi ed è stato organizzato dall’arcivescovado cattolico caldeo in collaborazione con l’Associazione per i popoli minacciati di Erbil (Kurdistan). All’incontro hanno partecipato circa 150 fra leader religiosi e politici delle comunità cristiane e musulmane di etnia curda, araba, turcomanna, caldea, assira yazida, mandea. Insieme a mons. Sako sono intervenuti tre rappresentanti delle comunità cristiana e musulmana di etnia kurda, araba e turkmena: Umer Ibrahim, Abdul Karim Khalifa e Adil Salih. Essi hanno analizzato il tema della convivenza sul piano socio- culturale, educativo – psicologico e religioso.
Riportiamo di seguito i passi più significativi del discorso dell’arcivescovo di Kirkuk, che ha incentrato il suo intervento sul pluralismo religioso e la coesistenza pacifica fra le varie comunità del Paese.
“L’Iraq – afferma mons. Sako - è formato da vari gruppi, che costituiscono un mosaico di culture e civiltà, religioni, sette e linguaggi con più facce e colori. Tutti però portano con sé un patrimonio, che ci lega in profondità. Il nostro Paese ha ora bisogno di un modello culturale e sociale che promuova l’unità attraverso il pluralismo, la tolleranza e la convivenza armoniosa fra le varie religioni ed etnie. La chiusura è segno della morte. L’apertura è segno di crescita e integrazione. Ciascuno deve iniziare questo lavoro a partire da sé e con il desiderio di ricostruire l’Iraq”.
Secondo l’arcivescovo “le religioni devono agire in modo positivo”, “smantellando il clima di odio e incoraggiare una partecipazione responsabile della popolazione” per raggiungere una maggiore giustizia e armonia fra gli uomini. Per fare ciò il prelato sottolinea l’importanza di una politica che favorisca l’unità e non gli interressi dei singoli gruppi, causa di divisioni e conflitti.
Mons. Sako spiega che occorre un dialogo fra le religioni per “conoscersi e imparare a vivere insieme”, "ma questo incontro non può avvenire senza la tutela della libertà religiosa”. Secondo l’arcivescovo gli odii del moderno Iraq sono stati generati da una eccessiva politicizzazione della religione. Il prelato indica alcune proposte pratiche per favorire l’unità e la separazione fra religione e politica.
1) Ciascun iracheno deve essere disponibile a incontrare l’altro, con il desiderio di conoscerlo, eliminando la tendenza a esaltare le differenze a discapito del confronto.
2) La necessità di spingere i politici a creare una costituzione che garantisca diritti e doveri uguali per tutti i cittadini.
3) Plasmare un sistema educativo che spinga all’unità nazionale, eliminando nei programmi scolastici, nei libri e nelle istituzioni religiose, espressioni che invitano all’odio e all’emarginazione di un gruppo religioso rispetto a un altro.