By Asia News
Il virus della fame “rischia di essere, se possibile, ancora più cattivo” del Covid-19 ed è forte il rischio che la crisi economica innescata dal nuovo coronavirus “possa alimentare criminalità e dare nuovo slancio ai gruppi terroristi”. È quanto racconta ad AsiaNews p. Samir Youssef, parroco della diocesi di Amadiya, nel Kurdistan irakeno, secondo cui potrebbe già essere iniziato “il reclutamento dei giovani” che sono rimasti senza lavoro, né prospettive per il futuro. Intanto lo Stato islamico (SI, ex Isis) ha “ripreso forza in alcune zone” del Paese, sfruttando “le debolezze economiche, sociali e politiche” perché “disponendo di soldi e risorse” finisce per esercitare una forza attrattiva verso il jihad, la guerra santa.
Il virus della fame “rischia di essere, se possibile, ancora più cattivo” del Covid-19 ed è forte il rischio che la crisi economica innescata dal nuovo coronavirus “possa alimentare criminalità e dare nuovo slancio ai gruppi terroristi”. È quanto racconta ad AsiaNews p. Samir Youssef, parroco della diocesi di Amadiya, nel Kurdistan irakeno, secondo cui potrebbe già essere iniziato “il reclutamento dei giovani” che sono rimasti senza lavoro, né prospettive per il futuro. Intanto lo Stato islamico (SI, ex Isis) ha “ripreso forza in alcune zone” del Paese, sfruttando “le debolezze economiche, sociali e politiche” perché “disponendo di soldi e risorse” finisce per esercitare una forza attrattiva verso il jihad, la guerra santa.
I gruppi estremisti, dall’Isis ad al-Qaeda, in Medio oriente come in
Africa o in ogni parte del mondo “cercano una situazione di debolezza”
sociale ed economica “per entrare e attaccare”. Le difficoltà legate al
nuovo coronavirus hanno comportato anche un drastico calo nelle risorse
“per combattere il fondamentalismo” e questo ha favorito nuovi attacchi.
Non è un caso, prosegue p. Samir, che “di recente siano stati uccisi
una decina di soldati nei pressi di Kirkuk”, nel contesto di un attacco
sferrato “da una cellula locale dell’Isis”.
Il timore, avverte, “non riguarda solo l’Iraq” e se finora
l’estremismo era “legato soprattutto al mondo sunnita, ora nel contesto
dello scontro fra Iran e Stati Uniti emergono anche sempre più realtà
fondamentaliste anche nella galassia sciita”. Sono milizie “che prendono
di mira. Prima di tutto i gruppi moderati all’interno dell’islam
stesso” e rappresentano “un pericolo concreto”.
Il parroco di Enishke, fra i beneficiari della campagna di AsiaNews "Adotta un cristiano di Mosul",
conferma i timori di una nuova chiusura per il Paese nel tentativo di
contenere la diffusione del virus. “Ai tempi del coprifuoco - spiega -
qui nel Kurdistan irakeno siamo riusciti a limitare i contagi. Con la
riapertura stanno emergendo nuovi casi, soprattutto legati a persone
provenienti da Baghdad, dove si sono verificati i maggiori focolai”.
Fra le vittime vi sono anche cristiani, come testimonia “il decesso di
una infermiera cristiana ieri nella capitale, di soli 25 anni. E nei
giorni precedenti un’altra ragazza, parte della corale di una parrocchia
di Baghdad, anch’essa deceduta per il virus”.
Nel Kurdistan la situazione era migliore, tanto che le autorità
avevano disposto la riapertura delle attività commerciali e persino
delle chiese e dei luoghi di culto per le celebrazioni. Ieri è arrivata
la marcia indietro, con l’emergere di nuovi contagi nella regione. “Con
l’allentamento delle misure restrittive - sottolinea p. Samir - era
inevitabile, anche perché non tutti osservano le misure di contenimento
della pandemia, fra cui l’indicazione di indossare le mascherine e
rispettare il distanziamento sociale. E poi vi sono gli scambi fra Erbil
e Baghdad: le comunicazioni fra Erbil e Dohuk sono interrotte, mentre
si può viaggiare senza restrizioni da e per la capitale. Ciò ha causato
nuovi contagi in queste ore, anche ad Ankawa (4 sui 9 di Erbil) e Dohuk
con sette casi”.
All’emergenza sanitaria si affianca il problema economico, che ha
inciso in un contesto già di per sé critico a causa di anni di guerre,
violenze estremiste, scontri interni. “La crisi - afferma il sacerdote
caldeo - inizia a mordere. Il 60% delle persone ha perso il lavoro, il
governo trova sempre maggiore difficoltà a corrispondere i salari e vi
sono famiglie che non ricevono soldi da almeno due mesi. Il crollo dei
prezzi del petrolio, principale se non unica fonte di reddito per
l’Iraq, è stato un colpo durissimo e questo fa emergere in modo ancor
più marcato” l’errore di essersi affidati quasi solo in esclusiva ai
proventi dell’oro nero, “mentre molte fabbriche sono andate distrutte
negli anni”.
Anche l’opera di aiuto e di sostegno della Chiesa ha risentito della
pandemia di nuovo coronavirus, perché “per diverso tempo, con le banche
chiuse, non sono arrivati aiuti. Adesso - spiega p. Samir - possiamo
contare su donazioni alimentari che abbiamo distribuito alle famiglie
più bisognose”. Il desiderio è “di far sentire la nostra vicinanza, di
restare un punto di riferimento per i più deboli, portando il conforto
del Signore e quel poco di cibo e beni di prima necessità che riusciamo a
raccogliere”. “In fondo al tunnel - conclude - vi è ancora il buio e
non si sa come uscirne, non solo a livello locale, ma per tutto il
mondo. Dopo due mesi di chiusure, vediamo profilarsi all’orizzonte lo
tsunami che rischia di travolgere l’economia.”