"La situazione sta peggiorando. Gridate con noi che i diritti umani sono calpestati da persone che parlano in nome di Dio ma che non sanno nulla di Lui che è Amore, mentre loro agiscono spinti dal rancore e dall'odio.
Gridate: Oh! Signore, abbi misericordia dell'Uomo."

Mons. Shleimun Warduni
Baghdad, 19 luglio 2014

23 aprile 2019

A Mosul dopo 4 anni torna la Pasqua celebrata da un vescovo. Per altare la tomba di mons. Rahho, martire dei jihadisti

By AgenSIR
Daniele Rocchi
20 aprile 2019

“Non abbiate paura, abbiate il coraggio di essere cristiani. La nostra missione è testimoniare Cristo. Questo è il messaggio che vogliamo trasmettere ai nostri fratelli di altre fedi e a tutta la popolazione irachena”.

È racchiuso in queste parole l’annuncio pasquale che giunge da Mosul, capoluogo del governatorato di Ninive. A lanciarlo è il suo arcivescovo caldeo, il domenicano Michaeel Najeeb Moussa, che da gennaio di quest’anno guida la diocesi (Mosul-Akra).
Il tempo della paura.

Sembrano lontani i giorni della conquista, nel giugno del 2014, della seconda città irachena e di gran parte della provincia settentrionale di Ninive da parte dei miliziani jihadisti dello Stato islamico (Isis). Le bandiere nere di Daesh erano arrivate fin nel cuore di Mosul, e proprio da lì, dalla moschea Al Nuri, Abu Bakr al-Baghdadi, aveva proclamato il califfato. Era il 29 giugno 2014. Poi la conquista dei villaggi cristiani della Piana di Ninive, la cacciata e la persecuzione violenta dei loro abitanti. Tra le decine di migliaia di cristiani in fuga anche mons. Najeeb Moussa, nativo di Mosul. A lui si deve la messa in sicurezza di circa 1300 manoscritti antichi e la fondazione dell’Oriental Manuscript Digital Center, istituito per conservare la cultura cristiana dell’Iraq.

Un nuovo arcivescovo.

Dopo cinque anni il padre domenicano torna a Mosul, città martire riconquistata, come arcivescovo caldeo per celebrare la Pasqua. Le chiese, usate come prigioni dal Califfato, tornano lentamente ad aprire i loro battenti. Profanate, distrutte, incendiate, tutte da ricostruire. Come del resto la città. E come la chiesa di san Paolo, dove, dice al Sir, “riposano i resti del nostro vescovo martire mons. Paulos Faraj Rahho, rapito e ucciso dai jihadisti nel 2008 a Mosul. Questo è l’unico luogo di culto che abbiamo in qualche modo rimesso in piedi e dove è possibile dire messa”.
“Qui celebriamo la Pasqua a testimonianza di come la luce vince le tenebre della nostra realtà quotidiana”.
Il tempo del coraggio.

“Che sia una Pasqua di Resurrezione e di rinascita – è la preghiera dell’arcivescovo –. Spero che il popolo di Mosul e tutti i fedeli della Piana di Ninive si rimettano in cammino per cominciare una nuova vita. Celebrare qui questa prima Pasqua è significativo. La situazione resta difficile: la maggior parte dei fedeli non è ancora rientrata nelle proprie case e terre”. Le cifre, infatti, parlano di meno della metà delle famiglie rientrate nella Piana di Ninive, per un totale di poco più di 41 mila persone.
“A Mosul la situazione è ancora più delicata e non del tutto sicura a causa della presenza di terroristi di Daesh. Molte famiglie cristiane hanno desiderio di rientrare a Mosul ma al momento ne sono tornate solo una quindicina. La mia Pasqua è con loro”.

Non il numero.

“È il segno della rinascita – sottolinea mons. Najeeb Moussa – riprendiamo il cammino con questo piccolo gregge.
Non conta il numero ma la qualità della fede.
Importante è viver in maniera ferma e salda la nostra fede, che non abbiamo mai abbandonato, nonostante la violenza, la persecuzione e le ingiustizie subite da Daesh. E come noi anche i fedeli di altre religioni e etnie. Tutto questo non ci ha impedito di vivere la fede oggi più forte di quella di un tempo. Nelle avversità si è rinsaldata”.
“La Resurrezione di Gesù ci sprona a non avere paura, a mostrare il coraggio di essere testimoni di Cristo. Questa è la missione che ci attende e il messaggio da trasmettere a tutti i nostri fratelli iracheni. A loro diciamo che i cristiani sono uomini e donne di gioia, di speranza, di carità. La gioia che il Signore ci ha donato, morendo e risorgendo per noi, non dobbiamo disperderla”.
Ma, avverte l’arcivescovo caldeo, “non ci sarà futuro per i cristiani in Iraq senza la giustizia. È l’appello che rivolgiamo anche al governo: applicare la giustizia e garantire i diritti per tutti i cittadini, senza differenze di religione ed etnia. Si parla di cittadinanza e
noi cristiani siamo cittadini a pieno titolo, come tutti gli altri.
Ognuno nel rispetto della fede dell’altro, dobbiamo comportarci come fratelli in umanità. È il senso del messaggio che Papa Francesco sta lanciando a tutto il mondo, vivere la solidarietà umana. Questa è la priorità. La fede diventa un valore aggiunto che alimenta l’umanità e la solidarietà. Costruire ponti di fraternità, demolire muri e seminare speranza”
.
Passa anche da qui la nuova vita di Mosul e la rinascita dell’Iraq.