By Asia News
"Siamo sicuri che la Chiesa di tutto il
mondo prega per l'Iraq", ma l'Occidente e i suoi governi sembrano aver
"dimenticato" il dramma che vive la sua popolazione; come se ormai
"fosse normale sentire tutti i giorni di morti, attentati, violenze".
Così mons. Emil Shimoun Nona, arcivescovo caldeo di Mosul, nel nord
dell'Iraq, descrive ad AsiaNews il clima di un Paese e di una
città in particolare, teatro di continui episodi di sangue, mentre la
comunità cristiana si fa sempre più esigua. "Non se ne parla più -
continua il prelato - ma noi speriamo che si torni l'attenzione [sul
dramma irakeno], che sentano il nostro bisogno di pace e serenità:
questo, più di tutto, è ciò che vogliamo". In passato proprio la diocesi
di Mosul ha pianto la morte violenta anche dei propri pastori, fra cui
il precedente vescovo mons. Faraj Rahho (nel contesto di un sequestro) e di p. Ragheed Ganni.
Mosul è una roccaforte del fondamentalismo sunnita wahabita, che ha
intrecciato stretti legami con l'Arabia Saudita. Nei giorni scorsi un
gruppo di miliziani ha sferrato un attacco a una postazione militare del
villaggio di Ayn al-Jahish, poco distante da Mosul, roccaforte
islamista nel nord dell'Iraq, uccidendo più di 20 soldati. Episodi
simili erano avvenuti anche nel recente passato e avevano come obiettivo
sempre reparti speciali o forze della sicurezza irakena. I militari
erano a guardia di un oleodotto petrolifero, utilizzato per convogliare
il greggio verso i mercati internazionali.
Assalti contro gli oleodotti sono una prassi comune nella zona di
Mosul, circa 360 km a nord-ovest di Baghdad, perpetrati da gruppi legati
ad al Qaeda e al jihadismo che seminano da anni morte e distruzione in
tutta la nazione. Il tutto a spese delle minoranze, che non hanno alle
spalle un sistema di potere o un movimento politico in grado di
tutelarne gli interessi.
Mons. Nona riferisce che "la situazione non è cambiata di molto negli
ultimi mesi, le elezioni non hanno rappresentato un grande passaggio",
perché gli attentati "si ripetono quasi ogni giorno, così come le
uccisioni". Talvolta le autorità applicano "il coprifuoco in città,
l'esercito blocca le strade ed è difficile spostarsi da un punto
all'altro" di Mosul e questo rende "ancor più difficile la vita della
gente comune".
"Siamo quasi sempre in situazioni di emergenza - racconta
l'arcivescovo - ma le persone sembrano quasi essersi abituate alle
difficoltà della vita quotidiana". In particolare, aggiunge, la "nostra
piccola comunità cristiana sta vivendo come gli altri, con queste
difficoltà che aumentano ogni giorno di più". È dal 2003, sottolinea il
prelato, "che aspettiamo un miglioramento, ma non si vede una luce in
fondo al tunnel" e i problemi restano immutati. L'auspicio è che "con le
elezioni politiche possa cambiare qualcosa" e che dalle urne emerga un
"governo forte, unito, in grado di affrontare e risolvere i problemi
legati alla sicurezza, la mancanza di servizi al cittadino", le
infrastrutture di base e la crisi occupazionale.
"La nostra comunità cristiana di Mosul - spiega mons. Nona - spera e
prega che la società irakena possa maturare, sia in grado di accettare
persone diverse, perché il dramma della convivenza e dell'accettazione
dell'altro si fanno sempre più urgenti e difficili". Questo è il
risultato, commenta, della mancanza di sicurezza, mentre il nostro
obiettivo è la costruzione di una realtà sociale "che sia più aperta e
moderata".
La risposta dei cristiani, continua l'arcivescovo, in molti casi
continua a essere la fuga, in particolare "nelle grandi città, e la
Chiesa non può fare molto". I leader cristiani si adoperano per
risolvere alcuni elementi di difficoltà, spiega, ma è compito del
governo irakeno risolvere le questioni più grandi e sciogliere i nodi
irrisolti. "Per noi cristiani è importante essere presenti all'interno
dello Stato, delle istituzioni, ma il numero dei fedeli - conclude mons.
Nona - si fa sempre più esiguo; il pericolo maggiore è costituito dal
fatto che quanti lasciano sono, nella maggior parte dei casi, persone
istruite e benestanti, mentre restano i poveri, i più deboli, quelli che
non hanno la possibilità di scappare".