By Tempi, 11 febbraio 2014
di Leone Grotti
Nel 2003 c’erano 1,5 milioni di cristiani in Iraq. Oggi non più di 300 mila. Circa dieci cristiani al giorno lasciano il paese mentre la guerra tra sunniti e sciiti fa quasi mille morti al mese. A guidare la Chiesa cattolica caldea in un momento così drammatico è Sua Beatitudine Louis Raphael I Sako, eletto patriarca di Babilonia un anno fa, l’1 febbraio 2013.
Facendo un bilancio del suo primo anno alla guida della Chiesa caldea con tempi.it, il patriarca Sako si dimostra assai combattivo: «Le sfide che mi ritrovo ad affrontare sono tante e complesse: da una Chiesa che era ridotta al caos all’esodo dei cristiani, dal rapporto con i musulmani e il governo a quello con papa Francesco: vedo segnali di speranza ma per ottenere quello che ci spetta dobbiamo lottare, non possiamo aspettare che qualcuno ci conceda diritti che ci appartengono come se fosse un regalo».
Facendo un bilancio del suo primo anno alla guida della Chiesa caldea con tempi.it, il patriarca Sako si dimostra assai combattivo: «Le sfide che mi ritrovo ad affrontare sono tante e complesse: da una Chiesa che era ridotta al caos all’esodo dei cristiani, dal rapporto con i musulmani e il governo a quello con papa Francesco: vedo segnali di speranza ma per ottenere quello che ci spetta dobbiamo lottare, non possiamo aspettare che qualcuno ci conceda diritti che ci appartengono come se fosse un regalo».
La Chiesa caldea era allo sfascio?C’era una situazione difficile perché mancava l’ordine e non c’era un’autorità. Quest’anno abbiamo cominciato piano piano a organizzarci, a seguire i preti e due settimane fa abbiamo consacrato tre nuovi vescovi, che ci danno grande forza e speranza.
I cristiani, però, continuano a scappare dal paese.È vero ma le cose stanno cambiando. Da un anno abbiamo cominciato un dialogo con le autorità a Baghdad: ora ci rispettano e la presenza cristiana è un po’ più forte. I cristiani non hanno più paura come prima, escono, vanno in chiesa, si mostrano all’aperto. La settimana scorsa a Bassora si è insediato il nuovo arcivescovo e tutte le autorità civili musulmane sono venute alla celebrazione.
In che modo aiutano i cristiani?Il governatore ci ha detto che non vogliono che i cristiani se ne vadano e mi ha fatto una promessa.
Quale?Darà a tutte le famiglie cristiane che torneranno a Bassora una casa, un lavoro e molte altre facilitazioni per vivere.
I cristiani hanno più fiducia?I cristiani hanno poca fiducia nell’avvenire perché hanno sofferto tanto, ma ora scappano meno persone. Di solito sono i figli all’estero a chiedere ai genitori di raggiungerli, anche perché una volta partita questa gente perde tutto. Chi scappa perde la sua storia e una volta che si inserisce nella società occidentale smarrisce la lingua, la morale, le tradizioni, la liturgia, tutto: questi cristiani perdono tutto. E non solo loro.
Che cosa intende?Una storia di cristianesimo che dura da duemila anni in queste terre sarà interrotta, finirà e ci rimetterà tutto il Medio Oriente, tutto l’Iraq e anche i musulmani. Loro infatti perderanno la componente della società più aperta, che si occupa della formazione, dell’educazione e aiuta lo sviluppo di un paese riconoscendo dignità alle donne. La Chiesa, poi diventerà più debole: che senso ha infatti la Chiesa senza i cristiani?
Che cosa fate per convincerli a restare?Noi aiutiamo le famiglie povere, abbiamo costruito appartamenti per loro e anche aperto un ospedale a Baghdad, che accoglie sia cristiani sia musulmani. Una piccola testimonianza della nostra carità.
Ha detto spesso che l’islam estremista è una delle principali cause della fuga dei cristiani.Ed è vero anche se da un anno circa i cristiani qui in Iraq non sono più un obiettivo. La guerra è soprattutto tra sciiti e sunniti. Fino a due anni fa, però, vivevamo la stessa situazione dei cristiani in Siria. I musulmani li vedono come un ostacolo per la costruzione dello Stato islamico e per l’applicazione della sharia. Quando hanno bisogno di denaro gli estremisti attaccano i cristiani perché sono deboli, non vengono difesi da nessuna tribù, senza contare che quando vengono sequestrati i cristiani pagano perché per loro la vita ha un valore assoluto. Anche da noi due anni fa la persecuzione era a questo livello ma ora le cose vanno meglio.
Anche i rapporti tra cristiani e musulmani migliorano?I rapporti in genere sono buoni: il popolo è aperto, non è fanatico. Purtroppo si trovano tanti capi religiosi chiusi. Un imam poche settimane fa ha chiesto ai musulmani di non salutare i cristiani. Io sono andato dal primo ministro e gli ho detto che queste cose non devono succedere. L’imam è stato subito chiamato dalla polizia, che gli ha chiesto conto delle sue parole.
È un caso isolato?Purtroppo no. Un altro imam a Mosul ha detto che tutti i cristiani sono “porci” e per questo non bisogna avvicinarli. Io sono andato dal presidente del Parlamento e lui ha avvertito subito la polizia, perché così si creano tensioni tra gli iracheni. Non bisogna avere paura di dire le cose. Io quando incontro i capi religiosi islamici dico sempre che devono cambiare il modo di parlare nelle moschee ed essere più aperti. È inaccettabile che il cristianesimo venga solamente “tollerato”: noi vogliamo avere pari dignità, non vogliamo che qualcuno ci dia il diritto di vivere. Questo è inaccettabile, è disumano.
Il cristianesimo è discriminato anche a scuola?Sì. L’insegnamento religioso parla male dei cristiani, falsifica tutto: si insegna che il Vangelo vero è quello di Barnaba, la Trinità viene travisata, l’incarnazione non è capita. Ma noi abbiamo reagito: io ho fatto un fascicolo spiegando il cristianesimo ai musulmani in una maniera aggiornata e anche un po’ l’islam ai cristiani.
Lei critica spesso l’Occidente, dicendo che “siamo ciechi”. Perché?L’Occidente è cieco perché non ha religione, non se ne preoccupa più, anzi accoglie i musulmani, permette loro di costruire moschee e centri religiosi mentre i paesi arabi non permettono ai cristiani neanche di tenere in casa la Bibbia. Ci deve essere reciprocità ma l’Occidente non la richiede. I paesi occidentali devono aiutare i cristiani non in quanto cristiani, ma in quanto minoranze. Si parla dei diritti dell’uomo, ma dove sono questi diritti? L’Occidente cerca solo interessi, basta guardare che risultato hanno avuto le guerre in Medio Oriente. Dove sono la democrazia e la libertà in Libia? Dove sono in Siria?
Lei ha già incontrato papa Francesco tre volte in un anno. Molti lo accusano di non essere vicino alle vostre sofferenze. È così?Non è vero, il Papa ci è molto vicino con la preghiera ma anche quando parla. Quando ha detto che i cristiani del Medio Oriente devono avere gli stessi diritti dei musulmani in Occidente ha usato parole molto forti. Ma lui ha tanti problemi, il suo fardello è pesante. La nostra situazione non è l’unica sua preoccupazione. Io penso che lui sia un uomo che vede le cose con occhi profetici, è davvero un dono di Dio.
Nel suo messaggio di Natale ai cristiani ha parlato di “speranza”. Da dove deriva?Non si vive senza speranza e la nostra nasce dalla Chiesa. Ci aiuta anche il miglioramento della situazione nel paese. I cristiani però devono lavorare e non solo aspettare che qualcuno conceda loro i diritti che gli spettano come se fossero un regalo. Questo non va bene, bisogna chiedere, lottare, collaborare con tutti, rafforzare la presenza cristiana. Dobbiamo anche aiutare i musulmani ad aprirsi alla convivenza, al rispetto, al perdono, a una morale comune. Questo è possibile, quando i cristiani sono formati e coraggiosi. Ci sono segnali di speranza nel paese, ma ci vuole tanto lavoro anche per formare una squadra di politici cristiani che possano giocare un ruolo importante nella politica del paese. Questi sono fondamentali, perché anche se sono pochi possono fare tanto. I cristiani non devono pensare a scappare in Occidente perché se qui abbiamo tante difficoltà, il Paradiso non è certo da voi.